Lizzie
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Elizabeth, Beth, Betsy e... Bess.
«Le davano una sensazione preziosa, era come se alla fine qualcuno l’avesse scovata, qualcuno di intimo e caro, qualcuno che voleva averla sempre sotto gli occhi […].»
Protagonista di questo particolare romanzo a firma Shirley Jackson è Elizabeth Richmond, una donna di circa ventitré anni, all’inizio del romanzo, che vive con la zia Morgen in una cittadina di provincia americana e che lavora presso il museo della zona. Non ha particolari progetti, Elizabeth. È una donna apatica, ordinaria, cerca di vivere aspettando la propria dipartita cercando di soffrire il meno possibile. Vive in un silenzio fatto di se stessa, di una ingannevole tranquillità. Ha perso la madre cinque anni prima, vive da allora con la parente più prossima e sarà, una volta compiuti i venticinque anni, effettivamente ereditiera della grande fortuna lasciata dal padre. Le circostanze della morte della madre di Elizabeth sono alquanto ambigue e non è chiaro quale sia la risposta giusta attinente alla verità su questa. La giovane soffre di profonde e ricorrenti emicranie, vertigini e strane amnesie. Queste le fanno talvolta perdere il controllo in circostanze inadeguate, soprattutto per lei che incarna il modello della vera “gentildonna”.
«Un generale che ordinasse la ritirata quando sul suo esercito è ancora forte e in grado di combattere sarebbe considerato un gran vigliacco, ma chi potrebbe condannare il guerriero che, rimasto senz’armi, tradito dagli alleati che l’abbandonano, sentendosi sfidato su un terreno che l’avversario controlla meglio di lui, fuggirà senza dar battaglia?»
Diventando sempre più frequenti, manifestandosi in luoghi pubblici e palesandosi anche in orari improponibili della notte, zia Morgen spinge la nipote a recarsi dal medico curante che a sua volta la indirizza dal Dottor Wright, specialista in casi di questo genere. La zia Morgen non è una donna particolarmente empatica, anzi. È una donna anaffettiva ma a suo modo vuol bene alla nipote e si preoccupa, e spaventa, sinceramente. Dal momento in cui Elizabeth varca la porta dello studio del dottor Wright, ecco che il romanzo prende concretamente avvio e che noi conosciamo le vere sfaccettature dell’anima e personalità della protagonista.
«Veniamo tutti misurati, buoni e cattivi, dal male che facciamo agli altri. Io avevo creato un mostro e l’avevo lasciato libero di andare in giro per il mondo, e – poiché l’ammissione è, dopotutto, il dolore più crudele – ammetto che avevo visto tutto con chiarezza e lucidità: Elizabeth R. non esisteva più. L’avevo corrotta irredimibilmente, e in quei freddi occhi che adesso appartenevano solo a Bess avevo letto la mia vanità e la mia arroganza. Dunque alla fine mi svelo: sono un mascalzone, per aver creato alla leggera, e un malvagio, per aver distrutto senza pietà. Non ho scusanti.»
Il Dottor Wright all’inizio tende a sottovalutare “il problema”. È convinto che si tratti di un malessere temporaneo, dettato dal lavoro, dalla quotidianità. Ben presto si rende conto che miss Elizabeth Richmond non è sola. Ricorrendo all’ipnosi scopre che la ragazza è affetta da un disgregamento di personalità, è abitata da personalità multiple che sono un po’ i frammenti della Elizabeth completa ma anche volti propri che vogliono prendere il sopravvento su colei che a conti fatti è la personalità più debole. In primo luogo, il medico incontra Beth, l’amabile e femminile, Beth. Una donna tranquilla, affabile, premurosa, che prende in simpatia il dottor Wright e che è disposta ad aiutarlo in tutti i modi e con ogni mezzo. La chiamerà R2. Ma se Elizabeth è R1, Beth è R2, chi è R3? È Betsy, la parte diabolica, malefica, birbante e immatura di Elizabeth. Questo pensa all’inizio il dottore che la vede come una figura quasi demoniaca ma poi nel concreto bambina. Ognuna di queste personalità ha un suo blocco e nemmeno Betsy è esclusa. Quando, tuttavia, le personalità inizieranno a prendere il controllo di Elizabeth e accadrà un fatto che porterà la protagonista lontano da casa, si scoprirà che vi è anche una quarta personalità molto più pericolosa, infima e malvagia di Betsy. Quest’ultima non ha alcun rimorso e ritegno, è pronta a schiacciare le altre tre e chiunque si metta sulla sua strada pur di averla vinta.
«Era obnubilata dalla memoria, il bisogno di trovare razionalità e coerenza in un tempo che ne era privo la disorientava; era perduta in un mondo che si rifletteva all’infinito, e lì solo la zia Morgen e il dottor Wright riuscivano a seguirla mentre lei inseguiva loro.»
Avventurarsi in “Lizzie” di Shirley Jackson, significa avventurarsi in un romanzo profondo, complesso, stratificato e dove nulla è come appare. In primis c’è evidenziare la particolarità narrativa che vede mutare la voce narrante capitolo per capitolo rendendo quindi l’opera tangibile e veritiera man mano che la vicenda viene a ricostruirsi. Tutto ruota attorno alla morte della madre e al mistero che si cela dietro questa ma, al contempo, Lizzie è anche un titolo che non teme di sollevare domande e questioni sulla psicanalisi, l’ipnosi, la malattia mentale, la frammentarietà delle individualità dell’anima, il trauma, il “mostro”, la personalità, l’incubo.
Tanti temi che vengono introdotti con una penna precisa, minuziosa, descrittiva. Talvolta anche con delle descrizioni di troppo che rallentano la lettura. Un plauso all’autrice per la maestria con cui ha gestito la parte finale dedicata al prevaricare delle varie personalità. Ad ogni modo “Lizzie” è forse l’opera più strutturata e complessa dell’autrice e merita di essere letta e assaporata in ogni sua sfaccettatura.
«Pensavo a come ci si debba sentire a essere un prigioniero che va a morire; guardi il sole e il cielo e l’erba e gli alberi, e siccome è l’ultima vola che li vedi, sono meravigliosi, pieni di colori che non avevi mai notato e intensi e beli ed è terribilmente difficile lasciarli. E poi mettiamo che l’esecuzione sia sospesa, e ti svegli il mattino dopo e non sei morto; riuscirai a guardare il sole e gli alberi e il cielo e pensare che sono il solito vecchio sole, il solito vecchio cielo, i soliti vecchi alberi? Che non hanno niente di speciale, che sono le stesse vecchie cose che hai visto tutti i giorni, solo perché non sei più costretto a rinunciarvi?»
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Quale personalità?
…”Veniamo tutti misurati, buoni e cattivi, dal male che facciamo agli altri. Io avevo creato un mostro e l’avevo lasciato libero di andare in giro per il mondo, e ammetto che avevo visto tutto con chiarezza e lucidità: Elizabeth R non esisteva più. L’ avevo corrotta irrimediabilmente e in quei freddi occhi che adesso appartenevano solo a Bess adesso avevo letto la mia vanità e la mia arroganza. Dunque alla fine mi svelo: sono un mascalzone per aver creato alla leggera e un malvagio per aver distrutto senza pietà, non ho scusanti”…
Richiamando i noti Jekyll e Frankestein “ Lizzie “ è un romanzo sorprendente per lucidità espositiva nonostante le innumerevoli voci e personalità che ne formano e deformano trama e contenuto.
Elisabeth Richmond, ventitreenne bruttina, silenziosa, poco invadente, impiegata in un museo, senza amici, genitori, conoscenti, sopravvive in attesa della propria dipartita, una maschera malata che potrebbe rivelare altro.
Che cosa nasconde, una certa remissività, una personalità multipla e una famigliarità frammentata, voci in fuga da scatole chiuse in una dimensione estraniante?
È questo che il dottor Wright, un medico della mente piuttosto schivo cerca di focalizzare inducendo in Elisabeth uno stato di ipnosi che sveli gli strani comportamenti da lei negati. Insonnia, cefalee, insolenza, cattiveria, gelosia, vendetta, dolcezza, riconoscenza, chi si nasconde dentro questa strana ragazza, una persona allegra, una giovane abulica, un diavolo narcisista ? Tre personalità distinte, non complementari, un solo corpo, tre visioni del mondo, una storia di sofferenza dopo la morte dell’ adorata madre, la convivenza forzata con una zia dal carattere forte e pratico.
Elisabeth, Betty, Betz, R1, R2, R3, anime diverse, Elisabeth, nervosa, afflitta da dolori lancinanti, torturata dalla paura, oppressa dall’ imbarazzo, modesta, chiusa e riservata fino alla paralisi verbale, Betty, forse una ragazza serena, tutta sorrisi, graziosa e rilassata, Betz, sfrenata, insolente, chiassosa, dozzinale.
Ciascuna rimanda i propri tratti recitativi, tratti unici e frammentari, una miscela di verità e menzogna, microcosmo di ipotesi, intervalli di attesa, presenze invadenti, pause amnesiche, ricordi frammentati, la lotta impari tra bene e male, un’ isteria collettiva e personale che origina da un lutto inevaso in attesa di un’ eredità, ipotesi su cui costruire certezze.
Il dottor Wright, novello Frankestein, il deus ex machina di questa rappresentazione psichica, ha generato l’ impossibile, instaurando una corsia preferenziale con una parte da lui rivelata, un gioco furente che può portare all’ autoannientamento, una condivisione forzata per nascondere il desiderio di fuga, tutto parrebbe sotto controllo per trasformarsi in qualcosa di pericoloso e perverso, una trama dentro la trama che precipita, la comparsa di una quarta personalità, Bess, diversa dalle altre, dominante, forse la più sgradevole.
A un certo punto, nel reiterato trasformismo di un thriller psicologico con deviazioni psichiatriche ogni personalità potrebbe nasconderne altre, rimpiazzarle, eluderle, annientarle, un nemico rinchiuso e vigile dentro di se’, in attesa di una soluzione che mostri una tregua, la pacificazione con il proprio vissuto in una neo dimensione cosciente.
Come il passato ritorna, chi era la propria madre, come e perché è morta, c’è una colpa che ci appartiene, un senso di colpa, quale verità celata?
“ Lizzie “ è un viaggio schizofrenico nella mente di una giovane donna che nasconde il possibile, che ha sofferto immensamente trattenendo la propria sofferenza, inevitabilmente esplosa in segni inequivocabili.
Shirley Jackson richiama una polifonia ingravescente attraverso una certa vivacità espressiva, stabilisce relazioni improbabili all’ interno di porzioni di personalità nascoste che mostrano la propria essenza.
Forse un giorno il recupero alla vita riporterà il sorriso mostrando la propria bellezza, riacquistando il se’ smarrito, il sorriso, in attesa di un nome….
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Le affollate, rissose personalità di Lizzie
Elizabeth Richmond è una giovane di ventitré anni, pacata, non particolarmente avvenente o intraprendente e con un’aura di mestizia che l’avvolge sempre. Lavora nel museo della piccola città di Owenstown in un ruolo impiegatizio privo di particolari stimoli e vive con la zia Morgen nella casa di famiglia in un tran-tran quotidiano abbastanza monotono. Questa grigia esistenza, però, non sarebbe particolarmente sgradevole se Elizabeth non fosse afflitta da frequentissimi, dolorosissimi mal di testa e di schiena che la prostrano e se, talvolta, non avesse dei comportamenti decisamente anomali e “sopra le righe” che imbarazzano la zia e i conoscenti. Su consiglio del medico di famiglia, il dott. Floyd, la ragazza si fa visitare da un altro sanitario, il dott. Victor Wright. Costui, dopo un iniziale scetticismo, decide di sottoporre la giovane ad alcune sedute di ipnosi per accertare se i problemi fisici lamentati non abbiano, invece, delle cause psicologiche. Scoprirà quasi subito che la sua paziente soffre di sdoppiamento della personalità. Dentro di lei vivono una remissiva, timorosa, chiusa e opaca Elizabeth, una dolce, serena e affettuosa Beth, una capricciosa, insolente e infantile Betsy; le tre si combattono ferocemente e si ostacolano tra di loro, pur ignorando la reciproca presenza. La situazione precipita quando Betsy, per cercare di avere il totale controllo del corpo, fugge di casa “rapendo” le altre due sé stessa, ma dando così modo di emergere, durante il suo breve soggiorno a New York, a una quarta personalità, quella dell’arrogante e avida Bess. Quest’ultima componente si rivelerà la più robusta e aggressiva nel gruppo e tenterà con violenza di prendere il sopravvento su tutte. La guerra interna alla giovane si farà così aspra, dura, e coinvolgerà nella lotta sia la zia che il dott. Wright sinché la drammatica dissociazione non deflagrerà in una inaspettata soluzione finale.
Che Shirley Jackson sia una maestra nel descrivere situazioni estreme, dove, sotto la sottile scorza della normalità si cela un travaglio dolorosissimo, è fatto di cui non vale neppure la pena di discutere. In questo tesissimo romanzo, forse ispirato da un fatto reale, l’A. propone per la prima volta in letteratura, e con buona verosimiglianza delle rilevanze cliniche documentate dalla psichiatria, quello che in medicina si chiama disturbo della personalità multipla.
La storia in parte è narrata in terza persona e, in parte, riferita dagli appunti del dott. Wright. In essa il rapido evolversi delle turbe di Elizabeth inizialmente sorprende, poi sconcerta e, talvolta, terrorizza. Non è possibile restare indifferenti o non essere coinvolti dal crescendo che porta alla ribalta le quattro componenti psichiche della protagonista. Il fatto stesso che ognuna, pur parzialmente ignara delle altre, le consideri come nemiche da combattere con ogni mezzo, anche con la violenza fisica, toglie il fiato. Così si rimane coinvolti in quel turbine che, sempre più rapidamente, vede il loro sostituirsi convulso e vorticoso nella lotta per la supremazia.
L’A. è molto abile nel differenziare le quattro “anime” di Lizzie al punto che, dopo un po’, il lettore non fatica a comprendere immediatamente chi pronunci le singole battute senza necessità di spiegazioni. Se, inizialmente, la ragazza assomiglia molto, come carattere, alla sognatrice Eleanor Vance de “Il mistero di Hill House”, in seguito, la personalizzazione evolve divenendo sempre più accurata e netta. Però mi hanno lasciato un po’ perplesso alcuni atteggiamenti descritti: ad esempio sono decisamente troppo infantili quelli inizialmente mostrati da Betsy (che mentalmente dovrebbe avere sedici anni, ma si comporta a volte come una bambina di non più di dieci); quelli del dott. Wright sono spesso assai poco professionali e "umorali"; sin troppo empatici, invece, quelli dei perfetti sconosciuti che la ragazza incontra nella grande città; a volte incomprensibili quelli della zia. In generale ho percepito un fondo di ingenuità e chiusura mentale oggi difficilmente accettabili. Questo è un difetto che ho già riscontrato negli scritti della Jackson la cui impostazione, probabilmente, era condizionata dal fatto di vivere in una piccola città della provincia americana, ancora intrisa di perbenismo puritano e di una qual meschinità di giudizio e, quindi, di subirne inevitabilmente gli influssi e le malignità (forse pure sulla propria pelle!) e di trasfonderli nella sua scrittura.
Anche lo stile narrativo non è fluidissimo: i lunghissimi periodi che descrivono le varie situazioni e le divagazioni (a volte divertenti, ma non di rado tediose) del dottore influiscono negativamente sul grado di attenzione che si riesce a conservare nella lettura. Complessivamente, però, il romanzo si legge con facilità e partecipazione.
Il climax della lotta finale, che rischia di portare alla follia anche coloro che stanno a fianco di Lizzie, e il capitolo conclusivo, enigmaticamente aperto, sono due veri colpi da maestro che confermano quale grande artista fosse la Jackson.
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Mi si consenta un piccolo appunto per l’angolo del pignolo. Durante le sedute d’ipnosi la ragazza stava sempre con gli occhi chiusi, anche se più volte aveva implorato il dottore per poterli riaprire. Allora, come mai, durante una delle prime apparizioni di Betsy, questa “Completò la frase con un’occhiata malevola e ripugnante”? Errore della traduttrice o svista della Jackson?
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Un corpo, tante persone.
Thriller psicologico del 1954, un altro bellissimo romanzo di Shirley Jackson che i lettori italiani possono leggere grazie ad Adelphi. Come in quasi tutti i romanzi che si rispettino, anche qui ci sono tanti personaggi che intrecciano le loro esistenze, ma la peculiarità di Lizzie sta nel fatto che i vari protagonisti della storia abitano (quasi tutti) nello stesso corpo e nella stessa mente. Primo romanzo delle personalità multiple, dalla maestra americana del thriller nero. Scrittura impeccabile con lampi di genio. Da leggere.