Lieto fine
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Glielo auguriamo tutti
Elliot ha detto che il genere umano non può sopportare troppa realtà. In effetti, la frase è particolarmente vera dopo la lettura di un libro del genere, quinto romanzo che chiude le vicende della famiglia Melrose, romanzo purtroppo autobiografico. L’inizio è molto bello e interessante e getta una luce ancora più sinistra sui rapporti umani in casa Melrose. L’aggettivo umani, in effetti, è una esagerazione in questo caso. Leggendo questo romanzo è difficile ricordare il barlume di pietà per David che avevano suscitato nel lettore i precedenti romanzi. Di David vengono fuori crudeltà, sadismo, cattiveria che hanno chiaramente una origine patologica ma non trovano ostacoli di nessun tipo né nei domestici, in Eleanor o negli amici di famiglia. Viene voglia di bruciare non solo il cadavere di Eleanor ma di cremare tutta questa società bacata e decadente, dove è falsa anche la miseria dato che la gente diseredata è stra-miliardaria e che pure una ciabatta è valutabile in mesi di stipendio. St Aubyn fa un’analisi interessante e spietata delle sue difficoltà di relazione: narcisismo, mancanza di empatia, tendenza a considerare gli altri esseri umani in funzione della propria utilità, incapacità di tollerare il ricordo del bambino impotente che era e quindi delirio di onnipotenza, scarsa autostima e bisogno di affetto e di accudimento, tendenza autodistruttiva. Rispetto agli altri romanzi la consapevolezza della inutilità di certe sue azioni e relazioni compulsive lo portano a individuare con maggiore chiarezza le persone sane della sua vita. Per fortuna qualcuno c’è. Certo, la ricchezza esagerata, la non necessità di lavorare, tirano fuori il peggio dall’essere umano. Anche le persone che sembravano migliori come Annette e Eleanor tendono a una vacuità, a una superficialità, all’evasione dalla realtà. Questo ultimo difetto manca a Edward che se ha un pregio è la sincerità e la lucidità. Il suo romanzo è molto interessante dal pdv psicologico. A volte però il peso dato alle vicende economiche della famiglia è eccessivo data la mancanza di conseguenze pratiche: quel Seamus che imperversa dal quarto libro stanca o il fatto che tutti i diseredati restano straricchi innervosisce il lettore normo-stipendiato. A parte questo, a me sembra promettente la simpatia e il calore (certo non esagerato) che St Aubyn mette nel descrivere Mary e i due figli e l’amico Johnny. E’ stato fortunato a incontrare un paio di persone normali, in fin dei conti. Il lettore non essendo psicologo si aspetta che la riflessione ossessiva e maniacale su se stesso porti Patrick a superare i propri limiti, cioè comporti una evoluzione e certo, io credo che questa ci sia anche stata, ma il cammino è lento e impegnativo. Certo, visto l’inferno da cui St Aubyn viene, è già un miracolo che sia una persona che non nuoce agli altri, e che parli di alcuni esseri umani con simpatia. Magari l’intelligenza e gli amici aiutano, anche se non è facile uscire da certe dinamiche così perverse e invalidanti. Certo, la tentazione è fare da sé ma fidarsi solo di se stessi credo che sia parte della patologia, così come il desiderio di usare gli altri e di assumerne il controllo in qualche modo. Il desiderio di controllo sugli altri e su se stesso è comprensibile dopo aver subito simili violenze, così come
la tentazione distruttiva/autodistruttiva. La soluzione credo che ci sia da qualche parte, anche se è difficile trovarla in quel marasma interiore e non solo. Leggendo un libro così viene voglia di cercarla.