Le sirene di Baghdad
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Devastazioni
Iraq del dopo Saddam Hussein. Con la caduta del ra'ìs nel 2003, le truppe statunitensi controllano il Paese, che continua tuttavia a essere devastato da esplosioni e attentati. Le città, inclusa la capitale, sono campi di battaglia in cui i morti ormai non si contano più tra i civili, spesso vittime da un lato del fuoco americano e dall'altro degli attacchi (anche suicidi) degli stessi combattenti locali. Dimenticato nel mezzo del deserto iracheno, il villaggio di Kafr Karam è rimasto a lungo incolume al di fuori di tutta quella follia, finché la guerra non irrompe brutalmente anche lì, tra la polvere e la monotonia delle abitudini senza tempo dei suoi abitanti, attraverso i marines con le armi spianate. È da qui che partirà la rabbia feroce di un giovane beduino, pronto a tutto pur di vendicare l'offesa e l'umiliazione subite.
L'abile penna di Yasmina Khadra si concentra stavolta su un altro martoriato angolo di quel Vicino Oriente dove la parola pace – come da lungo tempo ci raccontano le cronache – sembra rivelarsi pura illusione, nonostante i tentativi di esportare democrazia e sicurezza... a suon di bombe. Come farà poi in “Khalil” (Sellerio, 2018), lo scrittore algerino scandaglia con cura le devastazioni dell'animo di chi crede di non avere altro mezzo, per porre fine ad abusi e ingiustizie, se non il proprio corpo. Il protagonista, l'io narrante che accompagna il lettore, a Baghdad finisce in una rete terroristica che, ovviamente, di islamico nel senso proprio del termine non ha nulla, nella quale ritrova diversi giovani del suo stesso villaggio, tutta gente prima sfaccendata al vecchio caffè Safir. I personaggi, da quelli principali a quelli secondari, hanno la loro giusta collocazione, contribuendo a rendere la storia narrata più che verosimile; tra quelli più riusciti, Omar il Caporale, un ex militare, a Kafr Karam considerato “un malessere ambulante”. In principio volgare e apparentemente insensibile, sarà però lui a rivolgee al giovane protagonista uno dei discorsi più sensati e di cuore in mezzo alle farneticazioni di gente senza scrupoli:
“Se vuoi combattere, fallo con onestà. Combatti per il tuo Paese, non contro il mondo intero. Non uccidere il primo che passa, non sparare alla cieca. Muoiono più innocenti che farabutti. […] Il mondo non è nostro nemico. Ricorda i popoli che hanno protestato contro la guerra preventiva, i milioni di persone che hanno sfilato a Madrid, Roma, Parigi, Tokyo, in America e in Asia. […] Sono stati più numerosi che nei Paesi arabi. […] Sarebbe atroce fare di ogni erba un fascio. Sequestrare giornalisti, giustiziare membri di Ong che sono in mezzo a noi solo per aiutarci, non è nelle nostre abitudini. Non offendere nessuno. Se pensi che il tuo onore debba essere salvato, non disonorare il tuo popolo. Non cedere alla follia. […]”
Una prosa, quella di Khadra, assai scorrevole nella forma e pesante come un macigno quanto alle tematiche affrontate che trovano saldo appiglio nella crudele e incancrenita realtà del nostro tempo. Un romanzo che si legge d'un fiato, decisamente appassionante e coinvolgente sino alle pagine conclusive, quando con sollievo, nonostante il tragico epilogo, si scopre che briciole di cuore e di speranza resistono alla tempesta più atroce che vorrebbe spazzarle via.
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le sirene di baghdad
L'ho trovato sconcertante pechè ci mostra la guerra, con tutte le sue brutture, vista dagli occhi di un arabo, e non come siamo abituati, con gli occhi di un occidentale. Ci mostra quello che loro, giustamente, pensano di noi e quello che noi occidentiali siamo andati a fare in Iraq. E' di una tristezza immensa. questo scrittore è favoloso, di lui ho già letto le rondini di Kabul e mi ha mostrato la follia immensa che sta vivendo l'Afganistan. Credo che vada letto anche quello.
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Fermiamoci e ripartiamo da zero
Tema delicato da trattare e sempre nell'occhio del ciclone: il rapporto tra Occidente e Medio Oriente.
Il modo in cui lo scrittore utilizza è partendo dalla visione di un paesino sperduto, non lontano da Baghdad, in cui il mondo sembra fermarsi, rallentando i ritmi della quotidianità.
In questo silenzio ovattato, dei fragori risvegliano gli abitanti intorpiditi e ci riportano tristemente alla ribalta delle cronache.
Prima con l'uccisione di un ragazzo disabile, la cui colpa è quella di scappare spaventato alla vista delle uniformi e delle armi spianate, poi con l'esplosione di una bomba durante un matrimonio, causando varie vittime fra i civili.
Di fronte alle blande giustificazioni occidentali, sale lo sdegno degli abitanti, che in un attimo si trasforma in odio e in desiderio di vendetta. Obiettivo: ripagare con la stessa moneta.
Qui comincia la storia di un ragazzo, che decide di lasciare il suo paesino per ridare dignità al proprio popolo.
Le mie perplessità iniziali si sono trasformate in una piena approvazione, man mano che procedevo nella lettura, colma di significato, profonda nella descrizione di una realtà completamente diversa dalla nostra, ma alla ricerca di scopi comuni: il dialogo e il confronto, l'accantonamento degli interessi personali, per dedicarsi a quelli del popolo e la difficoltà di attuare tutto questo, inseguendo affannosamente il modo di vincere a una sorta di braccio di ferro, solo per dimostrare di essere i più forti.
Ma non ci sono nè vinti, nè vincitori. Una grande lezione per tutti.
Fermiamoci e ripartiamo da zero.