Le ore sotterranee
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Il difensore dell'alba d'argento ha perso...
Questo libro è la cronaca di due solitudini che si sfiorano.
Perché la vita va proprio così, spesso ci si incontra senza vedersi, ci si scontra senza davvero toccarsi, ci si guarda senza avere il tempo di riconoscersi, e forse quel che sarebbe potuto accadere non accadrà mai.
Mathilde e Thibauld, quarantenni parigini, stanno vivendo un momento difficilissimo della loro vita: lei vittima di un mobbing spietato e crudele, lui che lascia, suo malgrado, la donna di cui è innamorato perché non corrisposto come vorrebbe.
Non si conoscono, ma per 24 ore noi seguiremo i loro passi, la loro angoscia, la disperazione di chi è troppo stanco di lottare e vorrebbe solo due braccia a cui sostenersi e una spalla su cui abbandonarsi...
Due anime disperate che soccombono sotto il peso di una vita che sembra averli abbandonati.
La De Vigan è bravissima a farci vivere tutta l'angoscia e la tensione di Mathilde, la cui storia è terribilmente attuale: dai piani alti ai gabinetti è davvero un passo, soprattutto se ti permetti il lusso, anche solo per una volta, di commettere un piccolissimo atto di ribellione, ovvero di dissentire da chi detiene il potere...anche quello di distruggerti.
La sua sarà una lotta che la consumerà nel profondo...e neanche il "Difensore dell'Alba d'Argento" riuscirà a proteggerla dall'ingiustizia subita, dall'insopportabile isolamento a cui è stata confinata.
E la descrizione che ne fa l'autrice è feroce, ferocemente esatta e dettagliata.
Fa male.
La storia di Thibauld, a mio parere, è più debole, meno incisiva.
Ma in fondo sono complementari, due voci che ci raccontano due diverse forme di dolore, quello pubblico e quello privato.
Lavoro e amore.
Un libro che ci mostra il lato più buio di Parigi, quello dei sotterranei della metro dove se non sei veloce, se non stai al passo con la folla trascinante, devi fare un salto di lato, metterti da parte...
Mathilde e Thibauld non ce l'hanno fatta, non sono riusciti a tenere il passo, hanno ceduto, lasciato la presa.
Per non morire.
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Gridare MOBBING! senza vergogna
Ci sono libri che, lungo il nostro cammino, diventano pietre miliari. Libri che si incuneano nel nostro essere e che, a prescindere da quale ne sia la motivazione, teniamo sempre bene in vista come un baluardo. Si tratta degli stessi libri che regaliamo, quei libri che ci precipitiamo a comprare non appena qualcuno intorno a noi manifesta i sintomi allarmanti di necessitarne. Quegli stessi libri che poi stiamo lì a somministrare quasi si trattasse di una medicina: Leggilo eh! mi raccomando, leggilo che vedrai che ti cambia la vita!
Ecco, "Le ore sotterranee" è per me uno di quei libri, e se l’ho riletto per l’ennesima volta è stato solo perché negli ultimi tempi l’ho regalato alla mia amica R.
R. l’ho conosciuta una anno fa, lungo i tragitti infiniti a cui siamo costretti quotidianamente noi pendolari; e come una folgorazione mi ha irrimediabilmente ricordato Mathilde, la protagonista del romanzo di Delphine De Vigan.
R., come Mathilde, è rimasta vedova quando i suoi tre figli erano piccoli e, come Mathilde, è riuscita a tirarli su con dignità e determinazione, consacrandosi anima e corpo alla grande azienda che l’ha assunta. Dieci anni di dedizione assoluta, dieci anni di “servitù” instancabile al suo capo che l’aveva scelta e a cui doveva la salvezza, dieci anni di sacrificio a di rinunce a se stessa pur di sentirsi realizzata a lavoro e di portare a casa lo stipendio. Poi un giorno qualcosa si è rotto. Un evento banale, un dissenso appena accennato rispetto ad un progetto da avviare, e quel capo, un capo come se ne possono incontrare tanti, noti per essere esigenti, diretti, aspri e che godono nel mettere in soggezione chiunque debba rivolgere loro la parola, l’emblema dell’azienda moderna, insomma, dove quasi sempre ai vertici se ne stanno appollaiati questi galli competenti ma completamenti privi del senso umano del resto del mondo, dunque quel capo, ha deciso che R./Mathilde doveva “morire”, di una “morte” lenta e invisibile che non avrebbe fatto scalpore ma che avrebbe finito per alienarla e “sconfiggerla”.
E così è stato: sono bastati pochi mesi, una serie di piccole cose insidiose e ridicole, appuntamenti annullati senza informarla, i sospiri esasperati, le battute pungenti, il rifiuto a comunicare, e poi la privazione graduale delle mansioni che ha costretto i colleghi a non dover rivolgersi a lei per la normale collaborazione, l’assegnazione di pratiche illeggibili, i continui richiami per errori commessi da altri, l’analisi attenta dei suoi orari di entrata e di uscita. R./Mathilde, stupita ed incredula, non si è ribellata, piuttosto ha incominciato a comportarsi da colpevole, lavorando il doppio, evitando le ferie, abituandosi al nuovo stato di cose, sempre più stanca, più sfinita, chiedendosi come un’azienda potesse tollerare un violenza simile per quanto silenziosa, e come i colleghi potessero far finta di nulla davanti alla distruzione di un essere umano. A niente sono servite le avvisaglie di cedimento del fisico, la preoccupazione dei figli al suo stato di salute, quelle strane fantasie di ammalarsi gravemente pur di non dover lavorare più, il senso di solitudine nel recarsi al lavoro, spingendo e sgomitando sui mezzi pubblici e guardando finalmente in faccia anche la solitudine degli altri: R./Mathilde ha maturato la convinzione di non farcela e dopo un tempo indefinito è giunta ad una consapevolezza: sa cosa le sta succedendo, sa che quello che le stanno facendo ha un nome, ma non riesce a pronunciarlo, si VERGOGNA TROPPO.
Quale speranza?
Per la protagonista del romanzo, la speranza risiede in un giorno: il 20 Maggio. Una data buttati lì da una veggente a cui si è rivolta per ritrovare un barlume di luce, lei che non ha mai creduto ai ciarlatani. La stessa data in cui, allo stesso modo, Thibault vaga per le strade di Parigi con la muta preghiera che esista una donna in grado di amarlo nonostante la fatica di vivere che si porta dietro. Mathilde e Thibault si incroceranno diverse volte in quel giorno, ma riusciranno veramente a Vedersi?
Perché credimi, R., la speranza aleggia sempre intorno a noi, tocca solo aguzzare lo sguardo e non chiudere il cuore. Tocca non soccombere, lottare ed avanzare a testa alta, per non perdere magari quell’amore che stiamo cercando e che ci scruta casualmente da lontano. Soprattutto tocca gridare, gridare forte ai soprusi, indignati e consapevoli dei propri diritti, perché sarà pur vero che nel mondo c’è ancora chi muore di stenti e di sfruttamento, sarà pur vero che c’è chi perde la vita nelle fabbriche annientato dalla mancanza delle più banali norme di sicurezza, ma è anche vero che non si può morire dietro ad una scrivania. Tocca gridare MOBBING senza vergogna, amica mia, e ricordarsi sempre che si lavora per vivere e che il Lavoro dovrebbe essere un Diritto di Tutti e non una concessione a pochi eletti.
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Un romanzo inferiore alle attese
L’ultimo romanzo della de Vigan ha un po’ deluso le attese dei lettori, se messo a confronto con “Gli effetti secondari dei sogni”. L’autrice vuole porre l’accento sulla solitudine e sulle problematiche esistenziali dei due protagonisti, Mathilde e Thibault. Che cosa significa provare il vuoto interiore, l’assenza di un’emozione intensa, che dia un senso alla loro vita scandita dalla ripetizione di eventi e gesti sempre uguali? E’ indubbiamente originale il tentativo dell’autrice di presentare i protagonisti avvolti da una tristezza totale, quasi a un bivio, sospinti dal desiderio di dare un calcio a tutto, di fare un salto nel buio, per provare a……ricominciare daccapo, con una vitalità nuova ed un’energia creativa. L’intento della scrittrice è riuscito solo in parte, perché non si è riusciti ad individuare l’analisi interiore degli stati d’animo di Mathilde e Thibault, a capire i processi emotivi ed intellettivi, che li hanno condotti a vivere una situazione limite. Quello che affiora è semplicemente un’esperienza di mobbing per la prima e il dolore causato da un amore finito per il secondo: l’indagine introspettiva si arresta a un livello superficiale. In definitiva i personaggi sembrano un po’ fittizi, costruiti, lontani dalla nostra realtà. Il romanzo comunque è scorrevole e lascia, nel complesso, un’impronta positiva. Ciò che veramente manca è qualcosa…….che vada in profondità.
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che libro!
Una donna,
Un uomo.
Il 20 Maggio.
Thibault è angosciato. Lascia la donna che ama e di cui è l'amante. Perché? Perché la ama! Lei invece è fredda e distante, sempre. E lo ringrazia. Lo ringrazia per qualsiasi cosa.
Mathilde è angosciata. La situazione che ha sul lavoro la sta schiacciando. Era la prediletta, il suo capo e lei erano una squadra, ma non era più così. E la responsabilità di questa situazione di chi è? Ormai anche i suoi figli si stanno preoccupando: è da troppo tempo che non sorride.
E' il 20 Maggio. La vita di entrambi cambia.
Si incontreranno? Si toccheranno? Si parleranno? Si conforteranno l'un l'altro?
Un romanzo che penetra nel profondo delle emozioni, quasi fosse un'autopsia dell'Angoscia.