Le nostre anime di notte
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Recensione della Redazione QLibri
Delicato, semplice, essenziale: Kent Haruf!
Le nostre anime di notte - Kent Haruf
Avendo letto e soprattutto, essendomi piaciuta, tutta la precedente trilogia aspettavo questo ultimo libro di Hauf con trepidazione. In Italia si è scatenato una sorta di culto per questo autore e che soprattutto on line assume i contorni di un hype (successo iperbolico) al quale è difficile restare indifferenti e che porta ad una naturale curiosità verso l’opera dell’autore della trilogia della pianura.
Detto questo ho iniziato il libro aspettandomi di trovare Holt e le sue atmosfere (Holt è la cittadina immaginaria inventata da Haruf dove si ambientano tutte le sue storie) e non ne sono rimasto deluso; in questa storia i protagonisti sono un uomo, Louis Waters, e una donna Addie Moore ormai in là con gli anni entrambi vedovi e entrambi soli. Per vincere questa solitudine iniziano a frequentarsi a casa di Addie di sera per parlare guardando le stelle; pian piano la loro relazione atipica inizia a far scalpore nella pur sempre piccola cittadina di Holt e a questo si aggiungerà il piccolo nipote di Addie che verrà parcheggiato dalla nonna da un padre a dir poco discutibile. Bella la forma di raccontare, la semplicità delle parole e dei sentimenti messi in mostra. Si sviluppa subito una certa empatia per i due protagonisti e in seguito una vera e propria simpatia anche per il piccolo ragazzino che è davvero un amore.
Come già detto lo stile di Haruf è semplice e lineare, lui ha sempre detto che voleva scrivera quanto più vicino all’osso dei sentimenti e delle emozioni umane e ci è sempre riuscito. I suoi personaggi sono persone comuni, con storie normali che fanno cose normali e forse proprio per questo piacciono tanto qui da noi in Italia che di super uomini ne abbiamo abbastanza.
Tra le pagine di questo romanzo in molti hanno sentito la fretta dell’autore nel terminare il racconto, una fretta determinata dalla sua malattia che se lo sarebbe portato via poco dopo aver consegnato questo scritto alle stampe. Personalmente ho avvertito ancora di più una certa urgenza di raccontare un periodo della vita, quello dell’anzianità, e un particolare aspetto quello della solitudine che è molto trascurato al giorno d’oggi dove nessuno ammette di essere solo e dove gli anziani sono considerati un peso. Invece da queste pagine traspare una speranza, la possibilitá che anche se il fiore degli anni sia già passato ancora qualcosa di buono può arrivare.L’importante è restare aperti verso gli altri e non dire mai: alla mia età non me lo posso più permettere, soprattutto se si parla d’amore!
In definitiva Le nostre anime di notte è un bel libro, corto, che si legge molto facilmente e che parla al cuore in maniera delicata. Si l’aggettivo giusto per questo libro è delicato!
Ai più attenti non sfuggirà una piccola autocitazione alla vechia trilogia, un sorriso mi si è disegnato in volto a pensare a quei personaggi. Bravo Kent!
E adesso non resta che aspettare la prossima uscita del film tratto da questo libro, con Robert Redford e Jane Fonda che fanno ben sperare per una degna trasposizione cinematografica di un bel libro.
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Non ho l'età per amarti
Non ho l’età per amarti, per uscire da sola con te.
Sono i versi di una canzonetta di una volta, che rispecchiano esattamente il costume di quei tempi: al giorno d’oggi, nella nostra società moderna, libera ed emancipata, tutt’al più il testo suscita un sorriso.
Ma tant’è, le intenzioni allora erano buone, la morale del tempo lo esigeva, il contesto lo accettava.
Amare, innamorarsi, condividere un affetto, vivere una relazione è una cosa dolcissima: una giusta maturità aiuta a vivere con consapevolezza una qualsiasi unione, dopotutto si usa dire ogni cosa a suo tempo. Eppure, ancora c’è qualcuno convinto che, paradossalmente, ciò non sia accettabile per chi è fin troppo maturo!
I vecchi, gli anziani, i vegliardi, non possono più innamorarsi, stare insieme mano nella mano, occhi negli occhi, appaiono sciocchi, imbarazzanti, ridicoli.
Trattasi di un’autentica esagerazione, se non una vera aberrazione.
Rughe, capelli bianchi, corpi non più tonici e traballanti, nulla hanno più a che fare con i sentimenti, nel caso contrario è segno evidente di decadenza, di demenza, o peggio di lascivia.
Kent Haruf, con la sua scrittura a voce unica, potente, omnicomprensiva, con il suo tono monocorde e però sempre discorsivo, incisivo, esaustivo, questo ci racconta: quelli avanti negli anni, gli stessi che conta lo scrittore stesso quando scrive questo libro, hanno una loro valenza, un loro spirito, una loro essenza, e come tutti si innamorano, esattamente con gli stessi palpiti dei più giovani.
Lasciamoli vivere la loro affettività: l’energia di un nuovo amore brilla, sfavilla, riluce, li eleva.
Si appresta così anche per chi ha un’età avanzata questo spettacolo dolcissimo, mirabile, spendente: il librarsi libere nel cielo stellato delle loro anime di notte.
Lo scrittore americano, alla pari di Ernest Hemingway, è un mirabile cantore del tessuto connettivo della società americana del suo tempo, quello della sua provincia rurale; che è quello più vero, cristallino, genuino e rappresentativo, con pregi e difetti, fatti e personaggi descritti nei particolari, seppure in poche righe. Qui ci offre un breve testo, più un racconto lungo che un romanzo, in cui contesta chi afferma che taluni non hanno più l’età per provare sentimenti, e questo è davvero l’ultimo lavoro dello scrittore americano, redatto in pochi giorni appena prima del termine alla sua esistenza.
Il testo della canzonetta citata Haruf la declina all’incontrario: l’età per nutrire un sentimento affettuoso, e si badi si intende qui più una comunione di anime che un’attrazione fisica ed emozionale, qui ci sarebbe anche, e di parecchio di più. I due protagonisti, Addie e Louis, ambedue vedovi, sono anziani, per non dire vecchi, insomma davvero assai avanti con gli anni, liberi da impegni con figli e parentado vario, economicamente indipendenti e tutto sommato in accettabili condizioni di salute fisica e mentale. Adulti e consenzienti, liberi e indipendenti, a chi devono dar conto di una loro scelta affettiva? Invece il loro desiderio di unire le reciproche esistenze, è decisamente ostacolato, diremmo di più, aspramente disapprovato, contrastato, negato esclusivamente per egoismo dai loro prossimi e dal contesto generale della comunità in cui vivono, peggio della storia di Romeo e Giulietta dei bei tempi andati. Si sa, sono sempre le ragazze a prendere l’iniziativa, Addie non è una ragazzina, non ha tempo da perdere, sa perfettamente che alla sua età i giorni contengono poche gocce di nettare, vanno centellinati tutti con cura per gustarli a fondo; perciò, con grazia e schiettezza si rivolge un giorno direttamente a Louis: “Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me”.
Niente di pruriginoso, di fisico, di sessuale. Solo compagnia, affetto, fuga dalla solitudine, voglia di tenerezza, e quant’altro di dolce, se viene, è ben accetto, tanto di guadagnato, riempie gli ultimi giorni.
Un cane, per esempio, o gli strilli gioiosi di un nipotino che gioca in giardino.
Sic et simpliciter, questo di Haruf è una grande storia d’amore, e niente più.
Ma ben presto, la storia di due anziani che vanno a convivere insieme, agli occhi dei benpensanti, parenti prossimi compresi, si trasforma, non è più una voglia di stare insieme gli ultimi giorni, è uno scandalo al sole. Inammissibile: sono due vecchi, perciò non capiscono quanto di sconcio possa essere la loro insana relazione. Uno stare vicini che è in realtà un rapporto candido ed innocente, che soccombe, si frantuma sotto i colpi dell’egoismo altrui.
Devono comportarsi bene, ad ogni costo. Devono solo avere paura di morire, come si fa alla loro età.
Prima o poi, inizia per tutti un lungo viaggio al termine della notte.
Quando il cielo è completamente buio, allora si vede meglio la strada che percorriamo, aiutandoci con la luce delle stelle, e se abbiamo fortuna anche con quella della luna, i più fortunati con quella del plenilunio. Ma sul finire della notte, ai primi grigiori, l’ultimo tratto è ancora fievole di luce chiara, si procede alla cieca, confusi, scoordinati, serve un’altra fonte luminosa, e questa la fornisce solo l’amore, l’affetto, la solidarietà, sono le uniche cose che fanno brillare le nostre anime di notte, perché appunto non è vero che non si ha più l’età per amare.
Questi anziani che amano…lasciamoli andare, senza fargli pressione di alcun genere.
Non metteteli alle strette, sono solo canzonette.
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Per non restare soli
“Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me
Cosa? In che senso?
Nel senso che siamo tutti e due soli. Ce ne stiamo per conto nostro da troppo tempo. Da anni. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare".
Il significato profondo di quest’ultimo romanzo di Haruf (scritto proprio come ultimo libro prima della sua scomparsa) sta proprio in quel breve ma efficace dialogo. Perché la straordinaria bravura dell’autore risiede innanzitutto nel suo stile così asciutto, ma tremendamente diretto, che senza tanti fronzoli va subito al dunque. “Le nostre anime di notte” (il libro ha avuto fortunate trasposizioni cinematografiche e teatrali), è una storia di assoluta delicatezza, che entra in punta di piedi e con grande rispetto nelle vite di un uomo (Louis) ed una donna (Addie) che si conoscono superficialmente in quanto vicini di casa con un punto in comune: il fatto di essere rimasti vedovi, con la solitudine quale compagna di vita quotidiana ed il ricordo indelebile, rispettivamente, della moglie e del marito scomparsi. Ecco che allora la proposta che Addie fa a Louis non ha certamente un doppio senso, considerato che l’unica vera ragione è quella di mettere assieme queste rispettive solitudini cercando di alleviare un dolore troppo intimo e silenzioso, che non può essere mostrato in pubblico.
Se Addie e Louis iniziano a frequentarsi lo fanno esclusivamente per raccontarsi, per parlare delle loro vite, dei drammi vissuti, degli errori compiuti e dei conseguenti rimorsi, tuttora presenti. Con l’intento di sopravvivere a quelle notti in cui la mente comincia a vagare trascinando il suo carico di dolore; quelle notti in cui si sente il bisogno di confessarsi stringendo la mano della persona con la quale si sta condividendo il letto (“Adoro questa cosa. E’ meglio di quel che speravo. E’ una specie di mistero. Mi piace per il senso di amicizia. Mi piace il tempo che passiamo insieme. Starcene qui al buio di notte. Parlare. Sentirti respirare accanto a me se mi sveglio”).
La dolcezza che Haruf riesce a fare arrivare al lettore supera la storia personale di Addie e Louis, riuscendo a mostrare un concetto più ampio di solitudine che coinvolge anche il giovane nipote di Addie, che ne soffre a causa della separazione dei suoi genitori. Le loro vite vengono così mescolate, nonostante la differenza di età tra i due protagonisti ormai settantenni ed il giovane nipote, ne scaturisce un forte legame, come se si trattasse di una nuova famiglia, a dimostrazione del fatto che quando le relazioni umane sono autentiche la voglia di stare insieme è la sola autentica medicina.
Per chi conosce Haruf e ha letto “La trilogia della pianura” questo romanzo rappresenta un ritorno a casa, in quella cittadina del middlewest del Colorado che si chiama Holt nella quale l’autore tratteggia le vite di persone comuni (per dirla con le parole del traduttore Fabio Cremonesi rappresentanti della working class o della middle class, a seconda delle storie narrate) affette da problematiche comuni e quotidiane così simili alle nostre. Ed è forse questo, sotto sotto, il principale motivo per il quale non è possibile non amare Haruf.
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Forse potremmo farci compagnia….
Parlare della vecchiaia non è semplice perché solitudine, preoccupazioni o banalità sembrano esserne compagni fedeli, e sono argomenti che intristiscono chi legge.
Kent Haruf riesce ad affrontare il tema da un’altra prospettiva, in modo positivo, solare, attivo, di chi non si piega alla routine di giorni vuoti e ormai finiti non restando altro che rimuginare su essi, ma vede invece una possibilità nuova di rimettersi in gioco, provare e destare interesse, avere giornate libere per poter incontrare, far compagnia, uscire a pranzo fuori e perché no amare. Raccontarsi.
"Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me." "Cosa?
In che senso?"
Il romanzo è tanto breve quanto dolcissimo e la malinconia che fa capolino solo a tratti compare davvero.
Ritornare ad Holt, immaginaria cittadina in Colorado, è un tuffo al cuore.
Conosciamo Addie Moore e Louis Waters entrambi vedovi e settantenni ma ancora aperti alla vita e alle occasioni che essa può presentare.
E’ proprio Addie a presentarsi un giorno alla porta di Louis per chiedere ed offrire compagnia. Instaurare con il suo vicino una tenera quotidianità: chiudere insieme la giornata e passare la notte insieme facendosi reciprocamente compagnia perché quando si è soli, il buio, la notte, le ore, possono essere momenti di sconforto e disperazione. E’ la proposta di una donna emancipata che non vuol arrendersi alla arretratezza sociale e culturale. E trova in Louis una spalla forte che si ritrova nei pensieri di lei. Quello che doveva essere un tentativo diventa una necessità a cui entrambi non vorrebbero rinunciare. Perciò ci spiace quando proprio dalla famiglia arrivano critiche e pregiudizi e attacchi verbali violenti.
Inizia un’ amicizia che diventa conforto e poi amore, che oltrepassa anche le maldicenze di una piccola e chiusa provincia americana. Perché se la vita ha ancora da offrire, sarebbe un delitto non cogliere le opportunità.
E quando ad arricchire ulteriormente le loro giornate arriverà il nipotino di Addie, Jamie, la famiglia ci sembra davvero formata. Siamo ancora più felici. Sono ancora più completi.
Lo stile di Haruf è caldo, tiene compagnia, osserva e racconta senza essere indiscreto, non è inutilmente buonista ma prova a costruire una visione della vita dove l’attesa di un momento da vivere ci faccia compagnia per affrontare la lunga giornata. Dove di cose da pensare e da fare ancora ce ne possono essere.
Mi ha colpita l’ottimismo della visione dell’autore di una parte di vita a cui penso spesso, e non nascondo con un certo timore, e il suo infondere coraggio e gioia di vivere. Mi ha confortata. Leggere questo romanzo mi ha fatto felicemente sorridere, perché racconta direttamente ai nostri cuori. Perché mi ha aiutata ad aprire gli occhi, tranquillizzandomi, su una fase della vita a cui non sempre penso con la dovuta serenità.
Buone prossime letture.
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Una storia d'amore
Finalmente anch'io ho letto “Le nostre anime di notte” di Kent Haruf, e scrivo “finalmente” perché in effetti è stata un'esperienza di lettura meravigliosa.
Addie Moore e Louis Waters sono due anziani che vivono nella immaginaria cittadina di Holt, in Colorado. Sono entrambi vedovi e molto soli, finché un giorno, in un modo del tutto inaspettato per Louis, Addie gli chiede di passare la notte insieme. Nasce così un'intensa e tenera storia d'amore, basata non sul sesso ma su una condivisione del reciproco vissuto, attraverso un dialogo molto aperto, che renderà la relazione profondamente confortante ed accogliente.
Pian piano Addie e Louis imparano a conoscersi e ad accettarsi per quello che sono veramente, il loro legame non è affatto un ripiego come potrebbe sembrare dalle prime pagine: non si esaurisce in un rimedio contro la solitudine ma cresce e si arricchisce ogni giorno di più. L'età dei due protagonisti sicuramente condiziona questo amore, non è un amore che si vive a vent'anni, fatto di passione, progettualità ma anche una certa dose di improvvisazione e, a volte, anche di molta incomprensione. Il loro amore vive nel presente, nel qui ed ora, non per questo è incapace di farli stare bene o portare in misura minore felicità.
Addie e Louis costruiscono un legame che si nutre di intimità fisica – ecco spiegato il dormire insieme, non per fare sesso ma proprio per condividere una delle azioni più intime fra persone: stare insieme nello stesso letto, al buio, e abbandonarsi insieme al sonno in un atto di estrema fiducia- e mentale, raccontandosi tutto della propria vita: le aspirazioni, i sogni, i desideri e ciò che è stato veramente.
«Sei troppo duro con te stesso, osservò Addie. Chi riesce ad avere quello che desidera? Non mi pare che capiti a tanti, forse proprio a nessuno. E' sempre un incontro alla cieca tra due persone che mettono in scena vecchie idee e sogni e impressioni sbagliate. Anche se, ripeto, questo non vale per noi due. Non in questo momento, non oggi.»
In conclusione quindi, un libro prezioso nella sua estrema semplicità: una storia dolce, romantica e malinconica, delineata con parole tanto precise ed essenziali da diventare potenti. Una lettura coinvolgente, emozionante ed intensa da non lasciarsi sfuggire.
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Vieni da me, stanotte?
"Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me.
In che senso?
Nel senso che siamo tutti e due soli. Io mi sento sola. Penso che anche tu lo sia. Mi chiedevo se ti andrebbe di venire a dormire da me, la notte. E parlare."
Colei che fa questa proposta (ad un uomo) è una donna di settant'anni, vedova, una donna che avverte improvvisamente tutto il peso "dell'urgenza", del tempo che sta per finire, dei programmi a breve scadenza.
Una donna che ha vissuto abbastanza, che ha conosciuto il dolore più grande in assoluto, ha sofferto, ha accettato (con dignità) il tiepido calore di un amore ormai spento, e finalmente si trova nella posizione di poter scegliere di non avere rimpianti, di infischiarsene dei pregiudizi e del perbenismo della gente, di chiedere sfacciatamente alla vita una cosa di cui sente di avere diritto: una piccola felicità.
Una voce dolce a cui raccontarsi la sera, una mano da stringere nel buio della notte...
Quanta dolcezza, tristezza, malinconia...e quanto coraggio.
Mica facile rimettersi in gioco quando la vita sembra già averti dato e tolto tutto, mica semplice combattere contro l'ottusità di chi, avendo ancora tanto futuro davanti, non capisce il linguaggio dell'urgenza, del "prima che sia troppo tardi".
Il finale è, per me, molto simbolico e significativo: quando sei certo di essere nel giusto, quando senti di dovere a te stesso quel che resta della felicità...alla fine un modo lo trovi.
E il freddo della notte fa di nuovo un piccolo passo indietro.
Haruf ti tocca piano, ma lascia il segno.
Anche stavolta.
(Ciao Holt, mi mancherai...)
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Voglia di tenerezza
«Mi chiedevo se ti andrebbe qualche volta di venire a dormire da me»
Una donna che propone a un uomo una cosa del genere fa supporre che in caso di accettazione ci si debba imbattere in pagine di erotismo sfrenato. Non è così, però, perché Addie, la donna che fa questa strana proposta, e Louis, il destinatario, sono due vedovi, avanti con gli anni, anzi decisamente anziani, il che non esclude però un risvolto sessuale, ma comunque lo rende poco probabile. In effetti, la solitudine di chi ha raggiunto una certa età impone che si debba trovare una via d’uscita, che si debba porre accanto alla propria persona un’altra, con cui colloquiare, scambiare opinioni, avere un piccolo, ma significativo contatto fisico. Non sarà amore nel senso più ampio del termine, ma di certo è affetto, è convivere i giorni di un’età che non consente di fare programmi a lunga scadenza. Il tema deve essere stato particolarmente sentito da Haruf perché ha scritto l’opera in pochi giorni, prima di morire, dipartita della cui imminenza doveva avere conoscenza, atteso che è riscontrabile nella scrittura una certa fretta che, se nulla toglie al piacere della lettura, però appare inusuale, considerata anche l’età dei protagonisti, più propensi naturalmente a tempi lenti. La stessa sensibilità riscontrata nei tre romanzi del ciclo del Canto della pianura è presente anche in questo testo, un’opera che, per quanto ambientata come le altre nell’immaginaria città di Holt, non può essere assimilata alle stesse, perché nel racconto della breve relazione fra Addie e Louis si avverte l’esigenza di imperniare tutto su di loro, nel senso che non ci sono tante storie parallele, ma un’unica storia, quei giorni, soprattutto quelle notti, trascorse insieme, a dispetto dei pregiudizi degli altri e che verranno interrotte solo dall’esigenza egoista e sciocca di un figlio adulto, ma che non diventerà mai maturo. Può darsi che il libro possa essere più compreso da chi ha una certa età, sta di fatto però che mi è parso che in questo ultimo canto l’autore abbia profuso tutta la sua energia, spremendo fino all’ultima goccia l’estro creativo. Lo stile è quello consueto, sobrio, per certi aspetti distaccato, ma questa volta nei personaggi di Addie e di Louis si avverte un po’ di partecipazione, una più marcata traccia dell’artista che ha vissuto con loro gli ultimi giorni della sua esistenza.
Haruf non vide stampata la sua fatica, perché il libro uscì postumo, e ciò accentua quella sensazione di umana pietà che si prova leggendo quelle pagine, in cui due esseri umani vogliono illuminare l’ultimo tratto di strada, mano nella mano, una voglia di tenerezza che possa dare ancor un senso a quel che resta da vivere.
Indimenticabile.
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Addie e Louis, Jane e Robert
Fa sempre discutere la realizzazione di un film la cui sceneggiatura sia tratta da un celebre romanzo. È l’immagine contro la parola, la parola contro l’immagine. Non c’è dubbio che il cinema agevoli la fruizione di un’opera, con la sua immediatezza e con il fascino degli attori. Ciononostante il potere dell’espressione verbale è di gran lunga superiore quando si tratta di un grande scrittore che affida alla parola storie, pensieri e riflessioni che possono eventualmente essere penalizzate dal “movimento” cinematografico. Si, perché il cinema, anche il più statico, è pur sempre movimento. Non a caso gli anglosassoni lo chiamano “movie”.
Ora il bel libro di Kent Haruf, “Le nostre anime di notte”, racconta una storia originale e delicata, che si dipana intorno a due personaggi principali, Addie e Louis, che vivono anche loro a Holt, cittadina immaginaria del Colorado, come i protagonisti della trilogia. Il tema centrale del romanzo è sicuramente il tempo, con la sua velocità e la sua lentezza, con il suo inesorabile scorrere verso una meta senza ritorno. E il tempo è quello che scandisce i giorni della vecchiaia di Addie e Louis, come i giorni dell’infanzia di Jamie, e quelli degli errori di Gene e Holly. Il peso degli anni fa sì che Addie e Louis pur nella loro naturale lentezza fisica, si affrettino a vivere e a godere di quelli che considerano ormai gli ultimi giorni della loro vita, quasi con frenesia, consapevoli dell’opportunità che offre loro ancora una volta la vita. Avvicinarsi, condividere e colmare il vuoto delle loro vite, li induce a sfidare le maldicenze della gente, scettica sulla reale possibilità di trascorrere insieme delle ore a raccontarsi la propria vita, i propri errori, i rimpianti, senza pensare al sesso. Anche qui il tempo è inesorabile, perché non concede di portare indietro le lancette, di correggere ciò che si è sbagliato. E la solitudine, quella stessa solitudine che Addie e Louis cercano consapevolmente di colmare, affligge l’animo del piccolo Jamie, e accentua l’arroganza e l’egoismo di Gene.
Ancora una volta Haruf è riuscito a incantare il lettore con la sua prosa semplice, densa di contenuti profondi, a tratti malinconica: “ Ci divertiremo un sacco a parlare, eh? Disse lei.
Anch’io voglio sapere tutto di te. Non abbiamo fretta, disse lui.
No, prendiamoci tutto il tempo che ci serve.”
Ecco, Addie e Louis cercano di fermarlo il tempo, quanto basta per vivere un’illusione.
Difficile esprimere con la stessa delicatezza e con la stessa efficacia queste espressioni e questi sentimenti attraverso l’immagine, anche se certamente i volti di Jane Fonda e Robert Redford sono perfetti per questi personaggi, superato un certo sforzo per non vederli ancora correre a piedi nudi nel parco.
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Due leoni d'argento
Romanzo breve di un autore che ancora non conoscevo. Racconta la storia di due settantenni, non ancora inariditi né nel corpo né nell’anima, che decidono di attraversare le notti insieme. Da questo libro è stato tratto un film, con protagonisti Robert Redford e Jane Fonda, che, proprio in questi giorni a Venezia hanno ricevuto il premio per la loro carriera. Leggendo il libro, non poteva essere che loro i protagonisti. Perché è un libro delicato, elegante, sussurrato. Infonde malinconia, poesia, rispetto, tenerezza. I due protagonisti sono due leoni dai capelli d’argento, che hanno vissuto vite non facili, con tutti i loro errori e la loro forza nel risollevarsi. Trovano l’uno nell’altro un rifugio per continuare ad amare la vita. Gli altri sono contrari a questo rapporto. Molto spesso gli altri ed i loro pregiudizi possono rovinare un bel rapporto, anche se strano. Lo stile in cui il libro è scritto è particolare: i dialoghi non sono contraddistinti e questo crea come un flusso continuo, come se fosse un fiume che ti trasporta. Elegante questo libro. Umana questa storia.
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Assieme
Faccio bene con Kent Haruf a superare il sospetto delle pubblicazioni il cui successo sembra organizzato da esperti del marketing. Infatti, il mio viaggio in treno scorre veloce, la lettura del romanzo risulta piacevole, di conforto.
Addie e Louis, solitari e dispersi in un mondo di conoscenze in superficie, si scelgono e diventano l’uno per l’altra un luogo sicuro. Si incontrano di notte, a casa di lei e, nel lettone, prima di dormire si raccontano, si scambiano confidenze. Non si innamorano, né si desiderano pazzamente. Addie e Louis non conoscono gli eccessi, si fidano, riconoscono l’odore della pelle e della intimità costruita un po' per volta. Sono potenti davvero, lenti e tenaci, lontani dalla energia dirompente della passione e dalle giovinezze rapite nella presunzione e nella voracità.
Un’amicizia amorosa che “il caro vecchio buio” protegge, scopre, sussurra, rivela. Un esame di coscienza a due voci: i due ricordano e raccontano per se stessi, per ascoltarsi più che per informare l’altro. Due esseri umani che, in presenza, recuperano le ragioni dell’amore, del dolore, della solitudine, della morte. Per Addie e Louis, a settant’anni, è il tempo di meritare la compagnia e di ascoltare assieme il profumo della pioggia.
“Adoro questa cosa. È meglio di quel che speravo, è una specie di mistero. Mi piace per il senso di amicizia. Mi piace il tempo che passiamo assieme. Starcene qui al buio di notte. Parlare. Sentirti respirare accanto a me se mi sveglio.” p.84
“Dov’è la tua mano? Proprio qui accanto a te, dove sta sempre.”p.83
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Ci vuole coraggio
“Lui la fissò, rimase a osservarla incuriosito, cauto.
Non mi dici nulla. Ti ho lasciato senza parole? Chiese lei.
Penso di sì.
Non parlo di sesso.
Me lo stavo chiedendo.
No, non intendo questo. Credo di aver perso qualsiasi impulso sessuale un sacco di tempo fa. Sto parlando di attraversare la notte insieme. E di starsene al caldo nel letto, come buoni amici. Starsene a letto insieme, e tu ti fermi a dormire. Le notti sono la cosa peggiore, non trovi?
Sì. Credo di sì".
Per la prima volta mi trovo nella Holt di Haruf e la sua realtà, ai miei occhi, è tangibile. I protagonisti sono Addie Moore e Louis Waters, entrambi settantenni, stanno affrontando una fase particolare della loro vita. Una vita già “impostata” su binari ben delineati che grazie al coraggio, invece di arrivare al capolinea, prende una strada nuova.
Come spesso succede, il coraggio e la voglia di vivere non sempre vengono presi nel modo giusto dagli “altri” e come in tutte le cittadine che si “rispettino” le voci e le malelingue non mancano mai.
"Ho deciso di non badare a quello che pensa la gente. L'ho fatto per troppo tempo - per tutta la vita".
Haruf con una delicatezza sconvolgente affronta un tema davvero molto toccante. Addie è una vera forza della natura che tenta in tutte le maniere di non farsi piegare e Louis è così sorprendente nella sua seconda gioventù.
Due anime che si incontrano la notte e fanno sperare.
“Addie spense la luce. Dov’è la tua mano?
Proprio qui accanto a te, dove sta sempre.”
Buona lettura!