Le mille luci di New York
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Tu, gli altri, e tutto il resto
1984. Il lavoro, l’arrivismo, l’assenteismo, la citta tentacolare che nasconde tra i suoi meandri all’ombra dei grattaceli o sul proscenio della sfavillante 5th avenue ogni tipologia d’essere: dal miliardario al barbone, dall’onesto cittadino al drug dealer, dall’intellettuale yuppie alla modella stupidella; e poi ancora la musica dell’epoca, la mentalità, le feste e i party della popolazione dabbene e la vita notturna al terminare di questi e con essa gli eccessi e la trasgressione, non più fenomeno di massa come il precedente decennio, ma individualizzata, domestica, alla portata del singolo e delle sue risorse economiche, sottoforma di sostanze allucinogene, droghe, psicofarmaci; e la conseguente depressione post effetto ricreativo e il conseguente pentimento del giorno dopo, sotto la sferzante luce del sole che delinea così bene le forme dei grattaceli, netti, definiti, regolari... loro, i grattacieli, poiché tu non lo sei, tu sei solo un essere umano, e come tale non sei d’acciaio, sei debole, sei stressato, e lo stress gioca brutti scherzi: ti fa toppare al lavoro, ti fa dimenticare le persone che hai attorno, chi ancora nonostante tutto cerca di volerti bene, ti fa insomma incasinare una vita e ti fa sentire solo, solo in un mondo dove tutti sembrano cavarsela egregiamente tranne te, trentenne con una carriera in crescita e una vita potenzialmente invidiabile ma che forse perché hai il vizio di pensare troppo, di non accontentarti della normalità, delle apparenze, non riesci a visualizzarla, non riesci a capirla e consumarla... e allora di nuovo la depressione e il male di vivere e il bisogno di dimenticare con l' alcool e le droghe finchè strafatto, rimbambito, sprecato nulla sembra più giusto, nulla sembra più corretto, nulla sembra più normale se non tu e il tuo riflesso nello specchio di un sordido bagno di un bar mentre aspetti con una sgualdrina altrettanto strafatta che “i soldatini boliviani” facciano il loro effetto nel tuo cervello fino all’alba del nuovo risveglio, fino a quando stancamente dovrai riaprire gli occhi un’altra volte e vergognandoti dovrai osservare il sole riflesso sui grattaceli, il sole che si suddivide e moltiplica trasformandosi in mille luci, le mille luci di New york, i mille volti di un mondo che giudica e non si lascia giudicare.
Questo è il romanzo di McInerney, una storia singolare, intensa, introspettiva ma che pure lascia spazio all’ironia, alla leggerezza, al (strano ma vero) ottimismo, poiché è vero che tutta la vicenda è impregnata di una profonda e melanconica depressione ma questo non è l’allucinato viaggio senza speranza di un uomo destinato a fallire, al contrario è la spinta di ribellione ad un mondo, a suo modo brutale, di un giovane che, malgrado ciò che gli accade, o ciò che si fa accadere, continua a vedere la luce infondo al tunnel e che, anche se talvolta sembra sul punto di lasciarsi andare, continua a combattere per quella luce.
Questa dunque la vicenda di Bright Light Big City, una vicenda singolare e totale, che racconta di un uomo, rendendo omaggio, o meglio memoria (poiché se ne parla sia bene sia male) a una società, a un mondo e a un tempo che magari non per fatti, non per accadimenti, ma per idee, passioni, gusti, ha fatto la storia recente del cammino evolutivo dell’uomo sul pianeta Terra: gli anni ’80; e a un luogo, a una città, dove forse più che in ogni altro posto tale cammino in quegli anni si è reso evidente: New York.
Non è infatti questo solo il racconto disincantato delle angosce di un giovane di quegli anni, è il resoconto di una storia che per semplicità e singolarità riesce a rendersi emblematica di un'epoca, di un decennio, di un mondo, in cui la vita dell'uomo comune per la prima volta da molti anni sembra scevra di tensioni e aspetti negativi, dove tutto sembra in crescita, ma che in realtà nasconde tra i riflessi della sua presunta perfezione regioni di profonda, individuale, oscurità.
Tutto va bene, tutto volge al meglio, basta adeguarsi alla corrente... ma se tu non ci riesci, se tu per tua natura, perché sei troppo scaltro per credere nei sogni o troppo rassegnato per non crederci, non ce la fai, allora sei un "diverso", e come tale sei segnato, sei additato, sei respinto, emarginato, e non hai altra scelta se non quella di rifugiarti nell’irrealtà dello sballo del sabato sera, nell’oblio della perdizione da droghe e alcool, un oblio talmente profondo che in esso vi si può trovare perfino gente che ci sguazza dentro divertendosi, senza accorgersi del male che si sta facendo, e gente, come te, che sa perfettamente di farsi del male e continua a farselo consapevolmente come punizione per quello che non è, per quello che non riesce a diventare.
Questo è Le mille luci di New York, una breve occhiata sull’esistenza di un uomo in bilico tra gli abissi dell’eccessivo, finto, vuoto, ingenuo benessere, (come quello della bellissima Amanda, l’ex moglie/modella/trofeo del protagonista) e dell’auto distruttivo, autolesionistico, malessere, di una coscienza e una ragione che malgrado tutto non si vogliono arrendere alla realtà, di una coscienza e di una ragione, al pari di un mondo, costantemente in bilico tra la beata ipocrisia di un presunta perfezione e l’endemica depressione di uno scontato insuccesso.
Ricchezza, sicurezza, certezza, povertà, angoscia, dubbio, trasgressione, colpa, emarginazione, libertà e... tu.
Questa è l’opera prima di McInerney, un’ opera che sarebbe potuta risultare, pesante, noiosa e deprimente, ma che grazie ad uno stile diretto, onesto, disincantato, ironico e persino innovativo (forse è il primo libro ad essere scritto tutto in seconda persona, qui confesso la mia ignoranza), si trasforma in un piccolo capolavoro e in una sorprendente e inaspettata dimostrazione di bravura di un autore, allora esordiente, che è riuscito a creare un romanzo perfettamente bilanciato in ogni sua parte e che in pochissime pagine è riuscito a sondare i più profondi e sopiti istinti dell’uomo, a rielaborarli con ragione e dialettica, e ad elevarli a manifesto di un’ intera epoca e di un intera cultura.
Questo è il lavoro di McInerney, un lavoro perfetto, l’opera prima che ogni scrittore affermato o meno avrebbe voluto scrivere.