Le fedeltà invisibili
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Recensione della Redazione QLibri
Ma l'autrice non sapeva come concludere?
Ho dato a questo romanzo un ottimo voto, ma vi assicuro che avrebbe potuto essere facilmente più alto, se non fosse per qualcosa che traspare già dal titolo della mia recensione. Ma ne parlerò tra poco.
Cominciamo dallo stile dell'autrice, che mi ha stupito molto: avvincente come un thriller, ti cattura dalla prima all'ultima pagina e scorre che è un piacere. L'ho letto in due tre ore, pensate un po' voi, anche se è comunque un libro breve, neanche 140 pagine.
L'autrice riesce a caratterizzare molto bene i suoi personaggi, donando agli adulti (con una psicologia più sviluppata) una narrazione in prima persona, e ai bambini (più acerbi) una narrazione in terza. Forse i genitori di Théo si comportano in maniera un po' troppo inverosimile, ma è una cosa su cui si può sorvolare, perché la De Vigan riesce a essere profonda e a rendere alla perfezione i rapporti tra i vari attori della storia che, principalmente, sono bambini, genitori e insegnanti. È un quadro reso molto bene, devo ammettere.
Ma allora vi starete chiedendo, perché quei voti al contenuto e allo stile? Devo ammettere che allo stile ero tentato di dare 5 e al contenuto 4, fino a che non ho letto l'ultima pagina; o forse anche prima, quando mi sono reso conto di quanto fosse impossibile, in così poche pagine, chiudere il cerchio aperto dalla scrittrice. Un finale aperto può essere assolutamente efficace quando l'autore è bravo a impregnarlo di significati nascosti, a scatenare riflessioni nel lettore e portarlo a concluderlo nella sua mente. Questa conclusione, purtroppo, è talmente brusca e immotivata che fa perdere punti a un romanzo che avrebbe potuto essere bellissimo. Ci sono tratti psicologici non portati a termine, situazioni interrotte bruscamente e che non vedranno conclusione (a meno di un sequel? Ma mi pare assurdo, per un libro così breve), indagini psicologiche che avrebbero potuto scavare molto più in profondità ma che invece si fermano a metà strada, donando la sensazione che l'autrice non sapesse come andare avanti. Il motivo deve essere questo, a meno che nella sua mente, con questo finale aperto, l'autrice sperasse di scatenare l'immaginazione di cui ho parlato poco fa. Mi dispiace dirlo, ma credo che si sia sopravvalutata, nonostante sia molto brava.
La storia si concentra su quattro personaggi in particolare: il piccolo Théo, che vive una situazione familiare molto brutta, con due genitori separati e in condizioni psicologiche disastrate, completamente concentrati su loro stessi e quasi indifferenti alla loro creatura; il piccolo Mathis, migliore amico di Théo, suo complice in un gioco molto pericoloso che ha a che fare con l'assunzione di alcool; l'insegnante dei due ragazzini, Hélène, con un infanzia dura alle spalle, l'unica a percepire la condizione disastrata in cui riversa Théo; la madre di Mathis, alle prese anche lei coi ricordi di un'infanzia difficile e un presente che lo è altrettanto.
Un quadro non molto allegro, direi, e che non fa altro che peggiorare di pagina in pagina.
È molto interessante come l'autrice tesse i rapporti tra i vari personaggi, questi quattro in particolare. È molto brava a gestirne le azioni in base alla loro personalità particolare, senza mai farli apparire incoerenti né forzati, portando avanti una storia tragica in cui si spera possa esserci un barlume di speranza, ma che non fa altro che sprofondare nell'oblio più profondo. Mi sarebbe piaciuto sapere se questo oblio sarebbe stato definitivo o se, alla fine del tunnel, ci sarebbe stata una luce.
L'autrice ha sprecato un'occasione per scrivere un libro che potesse essere di grande valore; è un libro comunque piacevole da leggere, bello, ma si avverte comunque la sensazione dell'occasione sprecata.
Peccato.
"Le fedeltà invisibili. Sono fili che ci legano ad altri, ai vivi come ai morti, sono promesse che abbiamo sussurrato e di cui non riconosciamo l'eco, lealtà silenziose, sono contratti per lo più stipulati con noi stessi, parole d'ordine accetate senza averle comprese, debiti che custodiamo nei recessi della memoria."
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Le colpe dei padri...
Condensata in poche pagine una storia che costringe a continue riflessioni. Ogni personaggio è descritto o si descrive con ciclici lampi che tratteggiano azioni e riflessioni. Il vero protagonista è il piccolo Théo, un bambino travolto dall’egoismo, la presunzione e la vigliaccheria dei suoi genitori. Presunzione perché, troppo spesso, gli adulti sono convinti di poter facilmente comprendere i pensieri dei loro figli, forti dell’esperienza maturata grazie a una sola infanzia, la propria. Egoismo perché le facili conclusioni sulle quali si basano le reazioni degli adulti, non sono altro che giustificazioni che permettono loro di smacchiare la propria coscienza. La vigliaccheria nasce dalla mutazione di questo egoismo in paura di rivelare la propria debolezza, facendo gravare un peso insostenibile sulle spalle di un’anima pura e perciò letalmente corruttibile.
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“Le nostre ali e le nostre catene”
Ci sono forze che nessuna legge fisica potrà mai codificare e nessuno strumento potrà mai misurare. Sono quei fili trasparenti e impalpabili che ci tengono legati alla famiglia, ai ricordi, al passato. Non sappiamo nemmeno di averli stipulati, eppure questi silenziosi patti sono capaci di mettere a tacere la voce, di bloccare la mano, di imprigionare il cuore. Sono “i trampolini da cui troviamo la forza di lanciarci e le trincee in cui seppelliamo i nostri sogni”.
Ragnatele di silenzi e sensi di colpa, capaci di imprigionare e distruggere un’intera esistenza, ma anche fili con cui cucire nuovi, salvifici legami.
Delphine de Vigan affida a questo romanzo una storia a quattro voci, due ragazzini e due donne adulte, per scrutare questo lato complesso e oscuro dei legami famigliari.
Il logorante e distruttivo patto di silenzio di un figlio nei confronti del proprio padre, disoccupato e depresso.
La paura adolescenziale di tradire l’amicizia, anche quando si avverte l’odore del pericolo.
La marea nera e vischiosa del ricordo di violenze subite e mai rivelate; ferite che tornano a bruciare dopo anni per farsi bisogno di proteggere, promessa da mantenere.
Il vincolo di complicità verso l’altra metà di una coppia, anche quando si scopre che dietro le quinte c’è una palude melmosa di menzogne.
I protagonisti di questa storia si trovano tutti a un bivio. Restare fedeli oppure no?
La scrittura è fluida e lineare e il contenuto toccante, ricco di spunti di riflessione destinati soprattutto a chi il “mestiere di genitore” lo svolge ogni giorno. L’autrice dimostra una sensibilità rara e tenace; scava nel profondo delle relazioni generazionali, andando oltre alle apparenze, nelle pieghe dell’intimità in cui risiedono le ferite segrete, i sentimenti nascosti, le ombre oscure.
I personaggi hanno forza e verità, eppure proprio nel momento in cui si avverte la sensazione che la storia potrebbe davvero decollare, l’esiguo numero di pagine rimaste già fa prevedere un insoddisfacente e frettoloso epilogo. E quando arriva la fine, arriva anche la delusione; sicuramente questo lavoro avrebbe meritato un finale diverso e qualche pagina in più.
Un romanzo teso e doloroso, capace di toccare punte di grande intensità, ma che purtroppo lascia in bocca un retrogusto amarognolo di occasione sprecata.