Narrativa straniera Romanzi Le dodici tribù di Hattie
 

Le dodici tribù di Hattie Le dodici tribù di Hattie

Le dodici tribù di Hattie

Letteratura straniera

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Nel 1923, Hattie Shepherd - quindici anni - lascia la Georgia e si trasferisce a Philadephia. Due anni dopo sposa August e insieme vanno a vivere in una piccola casa in affitto ma, le assicura il marito, è una sistemazione provvisoria finché non ne compreranno una. Ma non sarà così, e in quella casa rimarranno per molti anni (la prima delle molte delusioni che le darà August): lì Hattie crescerà i suoi molti figli, la sua «tribú», preparandoli a quel mondo che ha imparato a conoscere, un mondo che fa di tutto per spezzarti e respingerti. Un mondo, però, a cui non puoi darla vinta. Dodici vite, dodici storie che si fondono in un monumentale affresco corale. Un intreccio perfetto, per raccontare l'amore e la perdita, la volontà e le speranze di una famiglia che attraversa otto decenni di storia americana.



Recensione della Redazione QLibri

 
Le dodici tribù di Hattie 2015-01-30 10:06:03 Riccardo76
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
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5.0
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4.0
Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    30 Gennaio, 2015
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Una famiglia tutte le famiglie

Iniziamo a leggere questo romanzo e rimaniamo letteralmente senza fiato, completamente assorbiti dalla lettura del primo capitolo, rimaniamo costernati e affranti, quasi come se un amico o un parente ci avessero annunciato una loro tragedia.

Un romanzo d’esordio molto intenso e denso di contenuti, una scrittura efficace con un ritmo piacevole, i personaggi sono molto caratterizzati e pieni, vivi e concreti. Non mi sento di confermare o smentire gli accostamenti fatti tra la Mathis e altre grandi scrittrici americane, ma per quello che ho letto posso sicuramente affermare che si tratta di una ottima scrittrice, solo il tempo e sui futuri lavori potranno “emettere sentenza”.

La storia è quella di una famiglia, una storia lunga un sessantennio, una famiglia numerosa, come numerose sono le vite narrate, ogni capitolo è una vita, è un dolore, una difficoltà. Tanti racconti a comporre l’intera storia, a raccontare negli anni i rapporti famigliari, gli affetti difficili e i traumi subiti. Il romanzo è ben contestualizzato alla storia americana del secolo scorso, calato nella realtà del razzismo, della miseria e della povertà, delle difficoltà di emergere in una società che non accetta la diversità, della mentalità razzista attuata e resa “normalità”. L’autrice esprime, in una scena in particolare, l’atteggiamento di alcune “vittime” di questa discriminazione, un atteggiamento di paura, quasi di accettazione e rassegnazione, fino a raggiungere il limite di voler metabolizzare il fatto di essere inferiori in quanto di colore, o peggio ancora, come troppo spesso si dice, negri. La rassegnazione di non voler reagire, di sottomettersi allo strapotere bianco, tutto questo è molto presente in tutta la storia e risulta essere il filo conduttore di tutta la vita di questa famiglia, o almeno di buona parte di essa. Le ragioni di tanta sofferenza, di tanto dolore però non sono solo dovute al razzismo, nascono forse da un desiderio di rivalsa, dalla voglia di elevarsi che improvvisamente si scontrano con uno dei più grandi dolori che un padre e una madre possano vivere.
La miseria che strappa via il cuore, che non lascia il tempo di vivere, che fa prendere decisioni difficili, che una volta prese fanno ancora più male e spingono sempre più in basso l’animo umano.
Una madre che non riesce a dare l’amore che i figli si aspettano, perché travolta dalla vita, dalla società, da amori sbagliati o mal vissuti.
In questo romanzo si racconta di una famiglia che in realtà è la storia di molte famiglie, ogni figlio è una tribù, è il dolore che tante altre famiglie hanno vissuto e purtroppo vivono anche oggi. In questa chiave credo sia utile leggere questa storia, diversamente si rischierebbe di banalizzarla, pensando quanto possa essere inverosimile una concentrazione di tante sciagure e desolazioni famigliari.

Un uno che è tutto, e il tutto che si concentra in uno solo, condensato di vite che arrancano, che si spezzano e mai si ricostruiscono, o che si perdono e prima o poi si ritrovano in una forma diversa. Un libro che ci dice che, nonostante tutto, una vita è sempre una vita, e che i rapporti con i figli portano dentro qualcosa che è connaturato nella sostanza umana, non credo sia una questione di sangue o peggio ancora di responsabilità, ritengo che sia il nucleo indivisibile dell’essere, la più intima, sacra e microscopica parte che garantisce la vita.

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