Le catilinarie
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Non aprite quella porta
Ultrasessantenni ed innamoratissimi come se il tepore dell’amore di bambini non avesse fatto che alimentarsi ogni giorno di piu’, per decenni e decenni. Poi finalmente la Casa.
Quella dimensione tanto sognata, auspicata per anni una volta ottenuto il congedo dal lavoro.
Una dimora di campagna, isolata dal resto del mondo, popolata solo dall’affetto dei due sposi, dal fruscio dei tanti libri, dai passi ovattati della semplicita’, da infinite e cinguettanti primavere profumate e mesti, algidi inverni di neve e gelo.
Solo un’altra casa, una . Soltanto due vicini, due.
Il pugno bussa , clamoroso ed invadente, alla porta dei beati Emile e Juliette ogni sacrosanto giorno alle sedici.
L’abominevole dirimpettaio si accascia in poltrona scortato dai suoi monosillabi per due infinite ore, poi domani e dopodomani e il giorno successivo ancora. E poi di nuovo e da capo.
Le mattine trascorrono con l’ossessione che presto sara’ pomeriggio, il pomeriggio un risuonare di campanelli d’allarme e poi le notti, oh le notti insonni a rimuginare per ore e ore.
Finche’ la snervante routine dell’infiltrato non trasforma il piccolo Eden in una patologia di decadente delirio.
Come alla signora Nothomb venga in mente di cogliere aneddoti simili per intrattenere i suoi adepti mi restera’ sempre ignoto, sta di fatto che certe sceneggiature tanto elementari quanto caustiche e psicotiche sono riconducibili a lei sopra ogni ragionevole dubbio.
Logoranti ai limiti della debilitazione nervosa i soggetti de Le Catilinarie, il ritmo sostenuto e la curiosita’ di scoprire l’esito della vicenda rendono la lettura accattivante e serrata.
Molta Amèlie Nothomb e poca igiene mentale, buona lettura.
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L’horror della Nothomb
Il titolo dell’opera
Viene preso in prestito dalle orazioni pronunciate nel 63 a.C. dal terrore di tutti i licei: il famigerato Cicerone che articola ben quattro discorsi per avventarsi - con l’arte della retorica - contro Catilina, capo della congiura che voleva minare gli ordinamenti repubblicani.
“Quo usque tandem Catilina abutere patientia nostra?”, il celebre incipit del retore ben si presta ad essere applicato alla storia di due anziani coniugi: ritiratisi in campagna, devono fare i conti con un odioso e invadente vicino, che li obbliga ad esercitare l’arte che rese proverbiale Giobbe: quella della pazienza.
“Senza rendermene conto, cominciavo a parlare con impeto: mi lasciavo trascinare come il Cicerone della prima Catilinaria”.
I personaggi della storia
I due coniugi si chiamano Emile (“Ero professore di latino e greco al liceo”) e Juliette (“Juliette è sempre stata mia moglie; è stata anche sempre mia sorella e mia figlia”).
La casa in campagna, ove si trasferiscono, rappresenta un sogno: “Quando abbiamo visto la Casa, abbiamo provato un delizioso sollievo: esisteva, allora, il luogo al quale aspiravamo dall’infanzia”. E, almeno inizialmente, concretizza un idillio: “E di colpo abbiamo capito che questa vita era quella a cui avevamo sempre aspirato”.
Però … però, poi arrivano i coniugi Bernardin, creature nelle quali converge …
… l’horror della Nothomb
Lui, Palamède Bernardin, “aveva l’aria di un buddha triste”. Si presenta dai vicini tutti i giorni alle quattro pomeridiane e li assedia sino alle sei con la sua ingombrante, antipatica, inquietante presenza: “Era chiaro che le parole sì e no costituivano l’essenziale del suo vocabolario”. Diventa un incubo, contro il quale i malcapitati coniugi tentano varie e vane reazioni: “Lo sa che è stato Palamede a inventare il gioco dei dadi, durante l’assedio di Troia?”
Lei, Bernadette, ricorda un personaggio del Fellini Satyricon: l’ermafrodita nella grotta. “Era spaventosa quanto la creatura felliniana”.
Se volete un assaggio dell’horror di Amélie, eccovi accontentati: “Bernadette non possedeva naso; vaghi pertugi sostituivano le narici. Alcune fessure sottili situate più in alto comprendevano i globi oculari … Quello che mi faceva più impressione era la bocca: la si sarebbe detta quella di una piovra. Mi chiedevo se quell’orifizio avesse la facoltà di produrre suoni”. Non è un pezzo degno di Lovecraft?
E per infierire sulla poveretta: “Ne bevve il contenuto d’un sorso, muggendo come un ibrido tra un facocero e un capodoglio”.
Per una visione d’insieme della coppia: “Palamède si allontanò nella notte tirandosi dietro il suo peso morto matrimoniale. Sembrava un grosso marinaio che trainava una chiatta”.
Ma l’horror richiede anche un’adeguata ambientazione: “Quella casa orribile, desolante, mefitica, grottesca, bisunta, scomoda, e soprattutto quella proliferazione di orologi … l’inferno doveva essere così.”
Negli orologi, un simbolo del perturbante: “Unica luce, in fondo al tunnel, era la morte. E i venticinque orologi di casa scandivano il ritmo lento e sicuro che ve lo conduceva”.
Un’annotazione stilistica
Amélie, in almeno tre circostanze, conia aggettivi mutuandoli da scrittori/poeti: “un motivo mallarmeano”, “un rutto melvilliano”, una “tracimazione lamartiniana”.
Copiandole il brevetto, noi potremmo parlare di “cattiveria nothombiana”?
Bruno Elpis
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Parliamone Amèlie.....
Mia adorata Amèlie,
ti scrivo con un nodo alla gola perché è ahimè giunto il momento di portare a galla i malesseri che ultimamente imperversano nel nostro rapporto.
Ricordo come fosse ieri il giorno in cui ti incontrai,dinanzi a una stufa dove bruciavano i nostri Libri da ardere.Mi innamorai immediatamente.
Fu un colpo di fulmine (o forse un colpo di calore per via della stufa).
Amai il tuo sarcasmo,la tua spietata lucidità,il tuo vocabolario erudito,la tua follia di cui facevi vanitosamente sfoggio.
Come in ogni relazione che si rispetti però,il tempo smorza gli entusiasmi e io oggi,mi ritrovo qui,dopo il tuo ennesimo libro letto a dirti:Amèlie mi prendi in giro?Mi tradisci?
Mia cara,con grande preoccupazione constato uno schema che ultimamente si sta ripetendo in ogni tua opera:pochissimi personaggi,duelli verbali,morto finale.
Ora Amèlie,io nulla ho contro i morti ammazzati,sia chiaro!(Le mie stesse mani sono spesso tentate di commettere omicidio….specie su ex fidanzati!).
Ma su dai,mia amata,possibile che tu ti ripeta cosi frequentemente?
Mi potrai obbiettare che ogni autore ha il suo marchio di fabbrica,ma io ti risponderò che tu sei pazza e in quanto pazza devi sconvolgere ogni volta la mia esistenza!
Mi potrai obbiettare che la trama è sempre profondamente diversa,ma io ti risponderò che è come indossare lo stesso vestito solo in colori diversi.
Insomma,capisco che quest’abito ti doni,ma sei vestita uguale ogni giorno….non mi affascini più!
Dunque per concludere,vorrei ad ogni modo rassicurarti e ribadirti che t’amo ancora.......ma se non cambi registro la mia personale morta ammazzata finirai per essere tu!
Baci e abbracci.
Ancora tua,Ally.
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Quousque tandem abutere Palamede patientia nostra?
E molti secoli dopo il buon vecchio Marco Tullio Cicerone, anche Amelie Nothomb propone le sue "Catilinarie".
Ma se il primo si scagliava rabbiosamente e con foga contro il proprio avversario politico, i due anziani protagonisti della storia della Nothomb devono vedersela con Palamede Bernardin, un vicino obeso e rompiscatole che puntualmente e senza un apparente motivo si ostina a invadere la loro abitazione ogni giorno per due ore (dalle quattro alle sei del pomeriggio), sempre corrucciato, di pochissime parole e astioso nei confronti di tutto e tutti.
E'il secondo libro che leggo di quest'autrice e ancora una volta non mi ha delusa.
La storia poi, per quanto sia sostanzialmente realistica, è terribilmente originale sempre condita con la stupenda ironia tipica della Nothomb: sarcastica, pungente e ricca di cultura. Tanta cultura, in un ambiente puramente semplice e casalingo.
Non annoia mai, diverte tantissimo, colpisce per i contenuti altamente profondi e filosofici, tiene incollato alle pagine e ti ritrovi, come un perfetto tifoso sportivo, a fare il tifo per questi due miti vecchietti, a incitarli a reagire, a combattere contro il nemico proprio come fece tanti secoli addietro Cicerone con Catilina, umiliandolo pubblicamente in Senato.
La Nothomb usa un lessico semplice e non molto ricercato, ma con contenuti molto dotti e spesso talmente contorti, che ci si ritrova sempre dentro un ciclone, uno scivolo a spirale quando si leggono i suoi libri.
Si viene letteralmente soffocati dai sensi, si prova un piacevole prurito al naso per la pungente fantasia di questa donna, si avvertono sentimenti molto intensi e profondi che contrastano parecchio con le poche parole da lei utilizzate.
Almeno un suo libro, una volta nella vita, si deve assolutamente leggere.
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Le Catilinarie
E’ proprio arrivato il momento, cara Amelie, di chiarire alcune cose. Possiamo parlare in tranquillità, io e te, tanto non ci sente e non ci legge nessuno. Ci siamo solo noi due, adesso.
Mi devi spiegare come fai ogni volta a stupirmi con quello che scrivi. Voglio capire dove trovi le trame dei tuoi libri. Voglio sapere in che modo le idee invadono il tuo cervello e lo conquistano.
Passi per un romanzo. Passi per due. Passi per tre. Ma così no. Così non va bene. ORA BASTA, devi dirmelo.
Questa originalità mi lascia senza parole, il tuo linguaggio è affilato come un coltello, è apparentemente distaccato ma in realtà trabocca di sarcasmo e travolgente ironia. Mi annichilisci. Rendi ogni cosa semplice e naturale.
Solo strade diritte. Solo discese. Niente curve. Niente salite. Niente ostacoli.
Adesso VOGLIO sapere. Adesso VOGLIO capire.
In che momento della giornata ti si accende la lampadina? In che occasione?
Quando è che dici: “Ecco. Questa è l’idea per il prossimo romanzo.”
Prendiamo LE CATILINARIE, per esempio.
Come ti è venuto in mente di far andare una coppia di innamoratissimi pensionati ultra sessantenni senza difetti – lui ex professore, lei casalinga - ad abitare in campagna per stare tranquilli e d’improvviso farli imbattere in un irritante vicino, obeso e silenzioso, e nell’abominevole e assurda moglie?
Quando è che hai deciso di giocare con i vizi e le virtù dei protagonisti fino a mischiarli così vorticosamente da rompere ogni equilibrio e ogni certezza?
In che momento di quale giornata hai stabilito di togliere il romanzo dai binari che stava prendendo per arrotolare nuovamente tutto? Dov’è finito il bene assoluto? Dove hai nascosto le certezze prive di dubbi che avevi fatto intravedere?
DIMMI, Amelie.
DIMMI!
Spiegami, io ti ascolto.