Narrativa straniera Romanzi Le catene del mare
 

Le catene del mare Le catene del mare

Le catene del mare

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Con "Le catene del mare" Ioanna Karistiani ha vinto il Premio nazionale per il miglior romanzo greco del 2007, confermandosi come una delle massime autrici elleniche contemporanee. Per il comandante Mitsos Avgustìs, statuario come un Poseidone, burbero e tenero nello stesso tempo, eroico nella sua infallibile capacità di guidare la sua nave e i suoi uomini benché sia cieco, dopo dodici anni di navigazione ininterrotta negli oceani è arrivata la resa dei conti. Le burrasche della terraferma (la moglie Flora, due figlie, un figlio, una nipotina e Litsa, amante di molti anni prima) reclamano il suo coraggio e la sua forza d'animo molto più delle tempeste oceaniche. Ma è difficile per il comandante liberarsi dalle catene del mare e abbandonare la sua unica, vera casa, il cargo Athos III, il luogo in cui Mitsos si confronta con i suoi ricordi, il rifugio in cui egli conserva i suoi segreti.



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Le catene del mare 2015-12-09 07:41:56 Natalizia Dagostino
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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    09 Dicembre, 2015
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Marinai

Utilizzo alcune letture come komboloi, come talismani per passare da un periodo di vita ad un altro. Mi avvicino alle letture che odorano di mare. Incontro ventuno uomini e il gatto Maritsa: una comunità di marinai incatenata alle onde fra ricordi, segreti e illeciti compiuti.

Vivere sospesi, in fondo, è un modo di godersi la vita. Il romanzo racconta la capacità degli esseri umani, continuamente alla ricerca di equilibri. Mi appassionano, i marinai; molti, sono, anche, uomini del mare e sanno la difficoltà di tenere assieme l’andare e il tornare, la terra e il mare, la casa e la cabina, il mondo e il paese, il ritardo e l’assenza, il lavoro e la passione.

La storia non riesce ad essere triste, anche se le vicende spesso tolgono il sorriso. Il comandante Mitsos Avgustìs, lentamente diventato cieco, nega la malattia che lo riporterebbe a terra e continua a condurre la nave ed il suo equipaggio, avvalendosi della sua esperienza e del suo talento. Il cargo Athos III, diviene un ventre che protegge e che trattiene. Avgustìs è l’ulisse più autentico incontrato in letteratura, consapevole, sapiente antico, intuitivo nel governo. Forse perché ha più di settant’anni!

Come Edipo sconfitto, incredulo, spaventato e arrogante, Avgustìs apprende a vedere con le mani, con il respiro, con l’odore, con la mente e con il cuore e … si vede.
Nuovo Tiresia, cieco perché ha visto la nudità e ne ha previsto l’evoluzione, il comandante è vigile, ad auscultare l’aria, la terra, l’acqua e il fuoco e a riprendersi le presenze, i colleghi, la moglie Flora e Litsa, l’amante di una vita, il figlio e le figlie.

Avgustìs sa che tornare significa ricominciare e ricontrattare spazi e tempi. A tornare si corre il rischio di essere felici, conoscendo il desiderio. Tornare, talvolta, è per sempre.

Interessanti le figure femminili incontrate nella storia, donne rapite dal mare, più che mogli e amanti di marinai. Donne della contemplazione e dell’attività, dell’attesa e della scelta. Esse capiscono che la libertà, libera da ogni legame, è soltanto solitudine. E’ così che diventano guide.

Ioanna Karistiani, che nel 2007 ha vinto il Premio nazionale per il miglior romanzo greco, sa bene che sentirsi marinai e marinaie è uno stato della mente e del cuore. Non si smette mai di essere, ciascuno per sé, mare.

“La sensualità vive a lungo come gli elefanti e i rimorsi non muoiono mai, ce n’è sempre uno da risuscitare se ci si prova con insistenza, se lo si desidera davvero, quanto ad Avgustìs, alle tre del mattino era prontissimo a vagare nello spazio sterminato del suo inferno.
La tristezza è un luogo, un giardino di amarezze. Anche la paura è un luogo, simile a una gola tenebrosa, così come la solitudine, un deserto dove la notte fa molto freddo, più in là si trovano i terreni sassosi della sofferenza e i sentieri remoti del desiderio. Il dolore ha la mole delle montagne, l’ebbrezza del dolore costituisce uno stato sovrano e i rimorsi formano un continente.”p.158

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