Le campane di Bicetre
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"Eppure sono vivi"
Simenon riesce a descrivere i sentimenti del protagonista, improvvisamente malato, emiplegico e a contatto con un mondo e una realtà nuove, con rara intensità e profonda introspezione. Pagine dense di immagini, attinte dai frammenti dei propri ricordi, che si fanno strada attraverso i dubbi sulla propria esistenza, per approdare ad una presa di coscienza del tutto nuova del proprio mondo e delle persone che gravitano attorno a sé. Egli capisce come i malati, spesso dimenticati e rinchiusi dentro un mondo a parte, avulso dagli altri, si chiudano quasi sempre dentro una dimensione fatta di solitudine, sofferenza e sconforto, un mondo che si riesce a comprendere realmente soltanto vivendo noi stessi in mezzo a loro. "Eppure sono vivi", dice a un certo punto il protagonista riferendosi ai malati e ai vecchi "che trascinano le gambe con un' andatura a scatti buttando un piede di lato come pupazzi meccanici che funzionino male". Il mondo che gravita attorno a loro, anche se si prende cura di loro, li dimentica ogni giorno, costringendoli dentro una dimensione che li intristisce e li svuota della propria dimensione umana. Il protagonista stesso si rende conto che nel suo lungo processo di guarigione tutto ciò che aveva un significato vivo nella sua coscienza verrà presto dimenticato una volta che egli sarà del tutto guarito e potrà tornare alla sua vita: "Si è sentito molto vicino ai vecchi con l'uniforme che fumano la pipa sulle panchine del cortile. Ora non concede loro più che un'occhiata distratta e la pipa acquistata dalla signorina Blanche è chiusa in un cassetto". Ma questo è quanto. E concludendo egli dice: "Si fa quello che si deve fare, ecco tutto. Si fa quel che si può. Un giorno andrà a trovare suo padre a Fecamp, insieme a Lina"... poiché anche il padre del protagonista, come quei vecchi, vive ancora, ma ormai è solo e dimenticato da tutti e trascina la sua povera esistenza in uno stato quasi vegetativo.
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Il suono delle campane
Chi abbia ancora dubbi sulla maestria di Simenon non ha che da leggere questo romanzo, un viaggio intorno alla camera privata d’ospedale e ai pensieri di René Maugras, direttore responsabile di un importante quotidiano di Parigi, cinquantenne di umili origini ma ormai parte integrante del bel mondo.
Un colpo apoplettico paralizza metà del suo corpo inchiodandolo a un letto, in balìa di medici e infermieri. Situazione drammatica, si direbbe, non per Maugras però, che da quel letto inaspettatamente confortevole osserva la vita degli altri e la sua stessa esistenza da una prospettiva nuova, mentre ciò che prima aveva importanza non lo interessa più.
Lo interessa, piuttosto, rispondere ad alcuni interrogativi che i ritmi frenetici di prima non gli permettevano di ponderare, trovare il bandolo della matassa, il senso di qualcosa, ammesso che un senso qualcosa ce l’abbia (eccolo, forse, il punto).
La mezz’ora che passa da solo, “tendendo l'orecchio al suono delle campane e ai rumori dell'ospedale”, è il momento saliente della giornata, tra flashback e pensieri che si srotolano uno dopo l’altro senza connessione apparente. Ripercorre la sua vita, il rapporto fallimentare con la figlia e con la seconda moglie (“il disagio si manifestava con silenzi, o frasi banali così estranee ai loro rovelli da risultare più penose dell’assenza di parole”), il successo che è riuscito a raggiungere in campo giornalistico pur non possedendo un particolare talento per la scrittura, la sua sostanziale solitudine.
Sembra una sorta di catarsi, una rinuncia a tutto ciò che da necessario è diventato trascurabile, un attaccamento alla vita più teorico che reale, tanto è forte, per un po’, il senso di disincanto.
Il finale, sia pure precipitoso, è spiazzante, prevedibile e, come l’intero romanzo, vagamente beffardo.
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Uno sguardo all’indietro
Che Georges Simenon sia un abile costruttore di trame gialle o noir è del tutto scontato, così come sia notoria la sua capacità di non limitarsi solo a un’accurata e logica descrizione della vicenda, ma sappia andare in profondità sondando l’animo dei protagonisti e ricreando mirabilmente atmosfere in cui il lettore ami immergersi.
Non è invece così frequente il caso che l’autore di lingua francese intraprenda un’altra via, diversa dal romanzo di genere, anzi se ne discosti in modo evidente, di modo da essere considerato un narratore a tutto campo, senza essere etichettato come un giallista, attribuzione che peraltro, nel suo caso, non può e non deve considerata restrittiva e dequalificante.
Simenon, infatti, ha l’ambizione di proporsi al pubblico anche come scrittore di trame in cui le tensioni emotive proprie del poliziesco vengono sostituite da vicende che sono il pretesto per un’analisi approfondita dell’Io dei protagonisti.
È questo il caso di Le campane di Bicêtre, romanzo piuttosto lungo (sono 261 pagine) che, nel toccare alcuni argomenti cari all’autore ( l’ostentata apparenza della classe borghese) intende rappresentare una presa di coscienza del personaggio principale, tale René Maugras, direttore del più importante quotidiano francese, ricco, potente, che vanta amicizie altolocate e che all’improvviso vede stravolta la sua vita da un aneurisma che gli provoca la paralisi della parte destra del suo corpo. Ricoverato in un ospedale pubblico, anziché in una clinica privata, per poter avere le migliori cure possibili, l’uomo, in quell’improvviso stato di dipendenza da altri, nel tempo che trascorrere più lento, in quanto i suoi ritmi sono necessariamente cambiati, provvede a un progressivo esame della sua vita, stendendo un bilancio per nulla soddisfacente.
Riscopre in lui, osservando gli altri (vecchietti che sopravvivono nell’ospedale), un barlume di umanità di cui non aveva più memoria, rivede come in una pellicola cinematografica le sue umili origini, la lotta per arrivare al successo, le donne di cui si è innamorato, ma che non ha saputo amare, il tutto pressoché immobile in un letto, che assume le caratteristiche di giaciglio della coscienza.
Sembra deciso a cambiare, a dare una svolta alla vita per recuperare il tempo perduto, ma con i progressi della pur lenta e non definitiva guarigione, con i contatti sempre più frequenti con quel mondo che, quando stava male, lo disgustava, i buoni propositi verranno meno.
E’ un romanzo ambizioso, in cui forse Simenon ha voluto rappresentare metaforicamente se stesso, è un libro che assume il carattere di una confessione per una colpa originale, possiamo dire innata e che, per quanto contrastata, finisce con il ritornare. Siamo fatti così ed è inutile che cerchiamo di cambiarci sembra dire Simenon. La vita è un eterno contrasto fra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, una tenzone da cui finiremo con l’uscire sempre vinti e mai vincitori.
Lo stile è il solito di Simenon, misurato, sostenuto da un ritmo lento, ma non piatto, che riesce ad avvincere il lettore, nonostante le dimensioni dell’ambiente (una grigia camera d’ospedale), ritmo che solo verso le ultime pagine accelera per giungere, forse un po’ bruscamente, all’ultima, un lieto fine, si potrebbe dire, se non fosse per quel ritorno alla vita di prima che continuerà inconsciamente a non soddisfare René Maugras.
E’ un ottimo romanzo, per quanto presenti appunto questa disarmonia fra quasi tutto il corpo dello stesso e la parte finale, un passaggio prevedibile, ma un po’ troppo brusco.
In ogni caso è senz’altro da leggere.
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Le Campane di Bicetre
Un malore improvviso è la occasione per una sintesi distaccata e critica della vita di Rene. Scandito dal ritmo delle campane e furtivamente "aiutato" dai postumi di una emiparesi, che permette a Rene di assentarsi dalla vita corrente, il romanzo descrive l'esame capillare e fallimentare di una vita apparentemente di "successo".
Un uomo allo specchio, nudo e incapace di trovare ragioni, disarmato di fronte a una vita priva di scopi, solo davanti alla sua memoria.
Questa angosciante pausa permetterà al protagonista di rivalutare emozioni lontane, di riesaminare i suoi errori di padre, di scoprire sguardi e silenzi, e di cercare di dipanare il filo di un rapporto affettivo allo stesso tempo fragile e morboso, distaccato e coinvolgente.
Rene scoprirà dalla finestra un mondo fatto di normalità un mondo di sottili emozioni che si sono perse nella sua vita fatta di lavoro e di successo.
Una lettura angosciante e tenera, ritmata da suoni e dai rumori del reparto della clinica e scandita da campane e silenzi.
Un chiaro influsso esistenzialista ad accompagnare la triste sintesi fallimentare di una vita come tante, vissute nella incapacità di fermarsi e guardarsi allo specchio.