Le benevole
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Recensione
“Volevo semplicemente augurarle di sopravvivere a questa guerra per risvegliarsi fra vent'anni, ogni notte, urlando. Spero che lei non riesca a guardare i suoi figli senza vedere i nostri che ha assassinato.“
Un viaggio nell’inferno e ancora più in basso per capire fin dove possa spingersi la natura umana. Difficile e faticoso questo viaggio per il lettore, al quale viene richiesto di non tirarsi indietro di fronte ad un mastodontico racconto di quanto uomo possa perdere completamente la propria umanità.
Sin dalle prime pagine “Le benevole” colpisce per la crudezza, direi quasi l’asetticità del racconto che racconta il nazismo e i genocidi da esso perpetrati dal punto di vista del carnefice e non della vittima.
Protagonista è un tranquillo giurista, Maximilian Aue, appassionato studioso, che si ritrova per caso tra le fila delle SS. E deve obbedire: non gli è infatti di richiesto di pensare. Questo viene considerato non solo normale ma giusto.
Assiste e partecipa a crimini terribili. Sente, benché non chiaramente, l’illogicità e l’orrore di quanto viene compiuto, e, allo stesso modo, lo avvertono molti altri attori dei massacri. E’ forse questo il motivo per cui non nascono vere amicizie, a parte quella del protagonista con Thomas con il quale però Max non si apre mai completamente. Ognuno è solo con la sua personale riflessione e reazione ai gesti da lui stesso o da altri compiuti perché alternativa non ne esiste. Si crede al partito e quindi si agisce per “fede”.
Vietato affezionarsi (piccoli momenti come quello del ragazzo pianista o della bambina sull’orlo della fossa comune): non è previsto dal sistema, non si può. Al massimo si può chiedere al commilitone di uccidere in modo meno crudele. Capiamo così come chi agisce non è chiamato a giudicare le azioni che compie. L’autore non regala facile retorica: i massacri sono raccontati per come sono stati eseguiti, in tutto il loro orrore. Compresi i morti che non muoiono all’istante perché il colpo non è andato bene a segno (bisogna risparmiare pallottole e sforzo di morti da spostare). Un pugno nello stomaco. Pulito ma pur sempre un pugno.
La prima missione è la campagna di Russia. Non si possono lasciare ebrei dietro le milizie, quindi vanno metodicamente sterminati. Uomini e poi anche donne e bambini. Non c’è giudizio apparentemente da parte di chi scrive, ma questo non vuol dire giustificare. I fatti sono offerti al lettore per come sono. Il giudizio in fondo è già nella coscienza del protagonista, benché non del tutto consapevole.
Maximilien viene poi trasferito nel Caucaso e successivamente a Stalingrado, assediata, e che i Russi riconquisteranno. Ferito alla testa, si ritrova a Berlino dove opera negli uffici e viene successivamente assegnato alla reportistica ai fini di un miglioramento dei processi nei campi di concentramento ai fini dell’invio di lavoratori all’industria bellica.
Incontra e si confronta così con atteggiamenti molto diversi tra gli operatori dei campi di concentramento: c’è chi considera giusto e opportuno tutto ciò che si sta facendo, c’è chi, avendo affidate fabbriche che devono rendere in un periodo di guerra, non capisce perché la forza lavoro costituita dai prigionieri dei campi di lavoro non venga nutrita a sufficienza per essere in grado di lavorare e di produrre. E non capisce del tutto perché i campi di lavoro non lo siano veramente. C’è chi osserva con desolazione quanto sta avvenendo rendendosi conto dell’assurdità e, in fondo dell’orrore.
Ho trovato molto bella la riflessione sul perché i prigionieri vengano selvaggiamente picchiati oltre ad essere avviati alla morte: chi opera nei campi ha bisogno di convincersi della non umanità dei prigionieri. Non riuscendoci, perché questi sono umani come lui, li picchia cercando di fargli perdere la loro essenza, ma non ci riesce e alla fine li uccide, sconfiggendo così se stesso.
E non manca anche la riflessione sui problemi mentali che questo nuovo metodo di sterminio, sostituito al precedente (le fucilazioni di massa) per i problemi psicologici che generava in chi li operava, ne stia creando di nuovi e forse maggiori. E questo, dopo la guerra, costituirà un problema per la Germania, intravvede qualcuno.
La storia si alterna con i ricordi del passato del protagonista e della sua famiglia fino a che le due vicende si congiungono, all’epoca in cui si svolge la storia.
Proseguendo negli anni la disfatta tedesca si avverte sempre più vicina così come la paura che ciò che si è fatto venga scoperto.
Il racconto è fluido, normalizzante in qualche modo a dispetto delle atrocità descritte. Mette però a nudo una realtà, quella degli ufficiali delle SS, che non avevano sin qui trovato spazio narrativo così compiuto.
E’ una lettura che fa male attraversare, disturbante direi, ma che è necessaria per capire e avvicinarsi agli avvenimenti del passato in modo completo, non per accettare, impossibile, ma per capire come possa essere avvenuto.
Il libro rimane, in ogni caso, un capolavoro.
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La discesa nell'abisso
La seconda guerra mondiale raccontata dall'ufficiale delle SS Maximilien Aue, figura tragica calata in avvenimenti storici e logiche di potere più grandi di lui, che spesso subisce senza aver mai il coraggio di ribellarvisi. Lo vediamo partecipare, seppur senza traccia di zelo, ai massacri di ebrei nell'Ucraina appena occupata dopo l'inizio dell'Operazione Barbarossa (pagine che rappresentano un vero e proprio pugno nello stomaco) ed ancora arrancare fra le rovine di Stalingrado. Nel mezzo le parentesi della Crimea e soprattutto del Caucaso, dove la guerra non è più protagonista assoluta e dove c'è spazio per viaggiare con la fantasia e filosofeggiare assieme a Voss sulla storia del linguaggio e delle culture. E poi c'è Berlino, dove Aue prende servizio dopo essere stato rimpatriato causa grave incidente a Stalingrado e dove riesce, tessendo tutta una serie di rapporti con personaggi di potere, a fare carriera fino a diventare uomo di punta delle SS nella gestione dei campi di concentramento. Berlino è anche il luogo dell'epilogo del romanzo, e dell'incontro surreale e grottesco nel bunker con Hitler. Sullo sfondo, la morbosa storia d'amore con la sorella, che contribuisce a rappresentare in tutta la sua fragilità ed incompiutezza un personaggio suo malgrado carnefice. Capolavoro assoluto
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Capolavoro
Nulla nel libro è casuale. La vicenda umana e personale del protagonista è perfettamente integrata nello sviluppo della storia del Riech nella follia, insensatezza e smisurato eccesso dei suoi attori. Le figure di Speer, di Himmler e di altre figure minori sono tutte indifferentemente indovinate: Speer soprattutto è riconoscibilissimo per chiunque sia avvezzo alla sua storia e alle sue ambigue evoluzioni ideologiche. Il libro si legge con piacere pur nella sua implacabile e talora intollerabile brutalità in cui nulla però, ripeto, appare superfluo o dichiaratamente ridondante. Bene ha scritto chi ha sottolineato che il grande merito e coraggio dell'autore sia stato proporre una figura come Aue senza applicare in apparenza alcun giudizio nè umano nè storico: coraggio e merito perchè da parte di molta critica l'assioma non giudizio=giustificazione è un teorema che non ammette eccezioni.
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Crudo, psicotico ma coinvolgente.
Ci si mette qualche pagina per essere catapultati nelle giornate del conflitto nei panni di un ufficiale SS, poi quando si entra, si vivono in prima persona le esperienze e le nefandezze di un uomo qualunque schierato nella politica a senso unico di quei tempi. Un uomo qualunque che ha i suoi vizi, i suoi credo e le sue debolezze.
In alcuni momenti narrativi vengono anche date delle spiegazioni, delle risposte al tanto decantato e polemizzato "come sia stato possibile tutto questo" con una procedere accattivante che si digerisce.
Man mano che trascorrono le pagine si seguono in maniera cronologica le vicende dell'ufficiale Aue nella campagna di Russia, prima nelle retrovie dove partecipa in maniera anche diretta alla pulizia etnica degli Sonderkommando, e poi sul fronte, dentro Stalingrado dove vive e racconta la quotidianità di un inferno. In seguito ad un grave incidente l'ufficiale Aue verrà poi dislocato in patria dove vivrà da Berlino il declino della Germania e il declino della capitale, da città ancora vivibile, con ristorante e svaghi ai bombardamenti inizialmente sporadici e poi sempre più fitti e devastanti che la trasfigureranno in un cumulo di macerie, distruzione e pazzia. Nel suo periodo berlinese riceverà incarichi che lo porteranno direttamente nelle realtà dei campi di sterminio e al confronto con i gerarchi che stavano dietro alla tratta e al trasporto degli ebrei.
I momenti narrativi che trovo più significativi sono quelli di guerra, nello specifico il massacro di massa dove vengono raccontati momenti talmente crudi e indigeribili che in molte occasioni chiudevo il libro per la reale nausea che provocava la lettura, e in seguito il periodo di Stalingrado in inverno, dove il raccapriccio e la follia mista alla voglia di sopravvivere anche in condizioni inumane merita di essere citata perché narrata veramente bene.
In tutto questo un peso deciso che imprime una linea narrativa deriva dalla famiglia del protagonista dove problemi gravi di infanzia lo porteranno a tare psico sessuali che in diversi momenti del racconto avranno un peso schiacciante.
Il libro a mio parere e' notevole e scritto in maniera coinvolgente, il substrato della guerra e dello spirito di adattamento dell'uomo anche alle azioni e alle realtà più abbiette sono il motivo trascinante che gli appassionati del genere apprezzeranno senza dubbio.
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NEL BUIO
Questa è la sensazione costante provata durante la lettura di questo libro. In assoluto uno dei romanzi meno piacevoli mai letti, ma che credo sia necessario leggere. Necessario perchè è giusto conoscere la psiche e le sensazioni provate dai carnefici della seconda guerra mondiale, o meglio, i peggiori carnefici.
La trama è nota, trattasi della vita di un ufficiale tedesco che ricopre via via diversi ruoli militari durante la seconda guerra mondiale. Ma non voglio fermarmi sulla trama; purtroppo i fatti sono a noi tutti noti, ma ciò che a me ha colpito di questo libro è stato il risvolto psicologico del protagonista: Max.
Principe del suo disagio interiore è proprio l'abbandono subito da parte del padre in tenera età. Ecco, la centralità del libro. Da questo momento il bambino Max ha necessità di colmare il suo vuoto interiore ricercandolo nella sorella gemella, alla quale rivolgerà il proprio amore perverso per tutta la vita. amore incestuoso, amore totale, amore disarmante, ma non amore fraterno.
Conseguenza di questo amore incestuoso sarà anche la decisione della madre di separare i due gemelli, facendoli vivire in collegi separati.
Altro punto cruciale. Da questo momento in poi Max svilupperà un'odio viscerale verso la madre, poichè ella stessa colpevole ai suoi occhi prima dell'abbandono da parte del padre e poi dell'ennesima separazione dalla gemella, madre che secondo Max l'ha privato dell'amore dopo averlo cullato teneramente nel grembo per 9 mesi, riparandolo da tutto e da tutti.
Adirittura la sua omosessualità sarà vissuta da Max proprio come naturale conseguenza dell'amore giurato alla sorella, scegliendo di sfogare i propri impulsi sessuali solo con uomini, concededosi esclusivamente al piacere e mai ai sentimenti verso altri individui che non siano lei.
Questi i nodi centrali per capire la personalità del protagonista. Spinto al dovere e artefice di atti ignobili, dei quali lui stesso comprende la crudeltà.
Non concordo con chi ha scritto che questo libro voglia essere una sorta di autogiustificazione nel compiere gli ordini dati. Al contrario credo che l'intento sia stato quello di farci comprendere che atti tanto crudeli possano essere compiuti soprattutto da personalità alquanto disturbate, con profondi disagi interiori. Ovviamente non si può generalizzare, non tutti i soldati sono uguali, ma Max si, si permea e circonda di malvagità poichè egli stesso non si sente più una persona ma solamente un individuo incapace di amare.
Non si può semplicemente pensare che le atrocità che si sono susseguite nell'arco della nostra Storia siano frutto di semplici ordini, il disagio interiore è concime per le crudeltà.
Ecco perchè la lettura di questo libro sia anche un insegnamento per i difficili giorni d'oggi. Ricordiamoci sempre che i sentimenti puri sono le nostre ancore di salvezza, quando tutto crolla, sono le nostre uniche bussole per ritrovare la via.
Il libro non può essermi piaciuto, i contenuti sono devastanti a livello interiore, ogni volta che finivo la lettura sentivo veramente dentro un grande disagio, ma la lettura è anche questo, non sempre le belle letture sono quelle piacevoli, perfino lo stile risulta difficile come il contenuto.
Beh, sicuramente un libro che lascia il segno.
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Deliri di un nazista psicotico
Il libro le Benevole, è quello che si diceva una volta un libro truculento, un libro dove un nazista irredento, omosessuale a spregio, avido di uccidere, racconta con dovizia di particolari tutto il suo cammino verso l'inferno. Viene evidenziata alla massima potenza la caccia all'uomo, all'ebreo, allo zingaro, alle persone che non hanno il diritto di chiamarsi persone. Primeggia in questo romanzo la personalità schizofrenica di questo Aue che in un'orgia di potere prevale anche sui suoi subalterni. E' il Dracula del 20mo secolo. Diciamo che per beneficio d'inventario leggo sempre i libri che acquisto, ma, oltre ad essermi fatta una buona cultura sui Paesi caucasici il libro mi ha disturbato, mettendo troppo in luce la turpitudine di quel regime, e forse in maniera non tanto subliminale dando una giustificazione agli accadimenti avvenuti.Ben altro sarebbe stato un approccio all'accadimento, ma serve stupire per vendere! E stupire per stupire, questo è accaduto.
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se volete farvi del male...
..naturalmente il titolo è provocatorio e non riguarda la bontà del libro che io reputo eccezionale.
..però è un libro che 'fa male', un male interiore che ti penetra nella coscienza e non ti lascia neanche dopo averlo finito; spesso mi domando chi me lo fa fare a leggere libri di questo genere che affrontano con lucido raziocinio fatti accaduti per noi in tempi lontani ma che sicuramente hanno influenzato i comportamenti futuri dei nostri avi più prossimi, lasciando in alcuni segni indelebili che porteranno fino alla tomba.
Il libro, dal mio punto di vista, va letto assolutamente perchè fa parte di quelle opere la cui lettura è necessaria per farsi un'idea dei sentimenti e delle passioni che permeavano l'europa durante il periodo della seconda guerra mondiale.
Anche se romanzata, immagino che la storia di Maximilien Aue è quella che sicuramente hanno vissuto parecchi ufficiali tedeschi che quotidianamente facevano a pezzi la loro coscienza per seguire con lucida e 'normale follia' i dettami del Furher: ma qui non vengono dati giudizi, per Aue questa è la normalità e quanto accade in guerra è una necessità, quasi un 'lavoro' che va eseguito con scrupolo e perizia.
La cosa allucinante e che andando avanti con la lettura ti sembra quasi normale il comportamento di Aue e ciò ti fa capire che quello che si identifica come giusto e sbagliato in un contesto civile e tranquillo come può essere (per quanto possibile) quello che viviamo ogni giorno, in una realtà drogata dal conflitto ogni schema mentale salta ed allora non riesci più a capire dove stà la ragione.. questo ovviamente con le dovute eccezioni.
Le benevole è un libro molto bello che merita un posto particolare nella nostra biblioteca....
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Le benevole
Le benevole è un'opera che esula dal solito clichè sugli orrori perpetrati dai tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale, per collocarsi come un romanzo complesso, dalle mille sfaccettature, in cui la ricostruzione della vita dell'ufficiale Maximilian Aue, funge solo da pretesto per un'analisi a tutto tondo del nazismo, dove l'attenzione si focalizza oltre che sugli eventi, sugli uomini coinvolti, ponendoli in primo piano durante tutta la narrazione.
Littell è stato in grado di unire la storia alla finzione creando un'amalgama abbastanza fluida e convincente.
Sul piano prettamente storico, egli confeziona pagine durissime sullo sterminio degli ebrei perpetrato dai tedeschi nella loro avanzata in terra russa, dipingendo scene raccapriccianti e dolorosamente realistiche, denotando un ottimo studio dei documenti dell'epoca.
Stupefacente anche l'approfondimento riservato all'aspetto antropologico della questione razziale, con lunghe dissertazioni di etnologia linguistica e con intricate dispute sulla metodologia da adottare per distinguere i ceppi ebraici dalle popolazioni caucasiche autoctone, argomenti che sono apprezzabilissimi per infondere valore al testo, tuttavia ardui da leggere.
Reali e suggestive le immagini di Berlino stretta sotto assedio, la speranza e la resistenza prima , la disperazione e l'arresa della città dopo.
La particolarità del testo è data, a mio giudizio, dalla scelta del protagonista, ossia un nazista fuori dai soliti schemi, nè sadico nè invasato, ma colto in tutto il suo essere uomo : un'infanzia difficile,il distacco dalla famiglia, le perversioni sessuali, l'orrore e la nausea di fronte alla morte, la capacità di rendersi conto di essere parte di un meccanismo crudele, l'evasione dal mondo circostante tramite vagheggiamenti filosofici e sogni deliranti.
Tirando le somme, devo ammettere che il testo è veramente complicato da leggere, vuoi per la mole delle pagine, suddivise in pochi capitoli, vuoi per lo stile narrativo, piuttosto ampolloso, prolisso, in diversi punti sfiancante, vuoi per un ritmo in prevalenza lento.
Nonostante la difficoltà, lo reputo un libro che arricchisce a livello storico-culturale e che pone il lettore nella condizione di meditare sullo sterminio del popolo ebraico e non solo, ponendosi sia nei panni delle vittime sia nei panni dei carnefici.
Un'opera per appassionati di storia e per chi ama conoscerla da punti di vista diversi.
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Un'opinione dalla parte dei carnefici...
Prima di iniziare il commento sul libro vorrei effettuare alcune considerazioni sul titolo, poichè prima di leggere questo libro, mi sono chiesta molte volte che significato avesse "Le benevole" in un argomento che di benevolo non ha proprio nulla...
Le Eumeidi o Erinni erano considerate nella mitologia greca le personificazioni femminili della vendetta, dette anche "Furie" nella mitologia romana. Si tratta di tre sorelle demoniache abitatrici degli inferi "Aletto, Megera e Tisifone". Secondo la più accreditata interpretazione, esse rappresentavano il lancinante rimorso che scaturiva nella mente dell'uomo dopo aver commesso i fatti di sangue più efferati; al fine di placarle vennero chiamate anche "Eumenidi" ossia "Le benevole".
Il protagonista, un ufficiale delle SS ci narra in prima persona gli orrori del Nazismo che ha commesso durante la guerra per obbedienza, come se fossero delle azioni perfettamente normali che chiunque secondo lui, avrebbe potuto effettuare se si fosse trovato nella sua situazione...
Ma all'inizio del libro lui afferma di non pensare al suicidio come soluzione dei suoi delitti, segno tangibile, che il peso di quelle azioni grava comunque su di lui come un macigno... anche se egli vuole cacciarlo via con scuse e vane giustificazioni.
Pensando che l'autore di questo libro è un ebreo, direi che forse il suo scopo è di far vedere il comportamento del carnefice sotto la luce più odiosa e la più scandalosa verità.
Nt. per i contenuti e la violenza si sconsiglia questa lettura ai ragazzini e alle persone impressionabili.
Consigliato a tutti coloro che vogliono conoscere la storia da tutte le angolazioni...
Saluti.
Ginseng666
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Il "nonno" in riviera vuota il sacco.
Il nazionalsocialismo visto dalla parte di chi ha contribuito a solidificarlo.
Bravo Littell, soprattutto nella ricerca di una traccia metafisica che possa dare la misura, il peso, la forza del Male assoluto.
Il paradigma, o paradogma, della perversione assume una forza sovrumana nel momento del rifugio in villa del protagonista: un'attesa senza attesa, trepida luce del tempo immobile.
Si ha l'impressione, durante l'Operazione Barbarossa del '41, di assistere ad una seduta psicoanalitica freudiana.
Ottima la riflessione sul come nasce un nazionalsocialista.
Paradossale la scena cult del morso al Potere, quasi vertice della follia didascalica di un mondo.
Citati è stato, a suo tempo, molto chiaro:Jonathan Littell avrebbe, a suo avviso, incontrato davvero un vecchio "nonno Adolf" (così in Israele vengono chiamati i vecchi reduci SS)in Costa Azzurra.
Ne sono convinto anch'io.
La prova? Le azioni di "sterminio di massa" che precedono la soluzione finale sono descritte maledettamente bene.
Solo chi c'è stato, secondo Wiesel, può raccontare di avere passeggiato nelle fosse comuni "non tralasciando" il particolare delle ossa spezzate, dei morti, sotto il peso dei propri stivali.
D'accordo,Jonathan Littell...hai scritto un capolavoro.
Ma come hai fatto a non sputare in faccia al tuo nonno Adolf?