Narrativa straniera Romanzi La vita e il tempo di Michael K
 

La vita e il tempo di Michael K La vita e il tempo di Michael K

La vita e il tempo di Michael K

Letteratura straniera

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Un paese stretto nella morsa di una guerra dalle ragioni oscure, con il suo sinistro corredo di convogli militari lungo le strade, campi di lavoro e di «rieducazione» dietro reticolati di filo spillato. Una città tormentata dall'urlo delle sirene del coprifuoco e da sommosse che ne devastano interi isolati. E in mezzo a tutta questa violenza insensata, un uomo, dal labbro leporino e lento di mente, che insieme alla vecchia madre si unisce alla folla dei disperati in fuga verso le campagne, nel tentativo di raggiungere la terra d'origine: la fattoria dove la madre ricorda vagamente di esser nata. Ma il viaggio, almeno per Anna K, termina presto, tra le pareti di un ospedale. A Michael non resta che continuare a cercare quell'angolo di terra da solo e, una volta trovatolo, provare a dare nuove radici alla sua vita di outsider. Ma la guerra lo scova anche lì e cerca di trascinarlo a forza dentro la sua logica delirante, e dentro la Storia, salvo accorgersi infine, attraverso lo sguardo di una delle poche persone rimaste ancora lucide, che dietro quella «maschera da buffone» e quell'arrendevolezza disarmante cova un'anima irriducibile, una delle poche ultime «anime universali» rimaste nel mondo.



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La vita e il tempo di Michael K 2018-06-30 11:50:17 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    30 Giugno, 2018
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La verità, la verità sul mio conto

“Quando mia madre stava morendo all'ospedale, pensò, quando capì che si stava avvicinando la fine, non era me che guardava, ma qualcuno che stava dietro di me: sua madre, o il fantasma di sua madre. Per me lei era una donna, ma per sé era ancora una bambina, che chiamava la mamma, perché le tenesse la mano e l'aiutasse. E sua madre, nella vita segreta che non vediamo, era a sua volta una bambina. Vengo da una discendenza infinita di bambine.”

Michael K., giardiniere di terzo grado del Dipartimento Parchi e Giardini dei servizi municipali di Città del Capo: un impiego perfetto per essere invisibile, vivere al limitare del mondo e morire lasciando ai posteri il dubbio di non essere esistiti (semmai qualcuno abbia tempo e voglia di porsi un tale dubbio).
Un giorno, però, Michael K. realizza che la madre è giunta alla fine, e che la sua volontà è di andare a morire dove è nata. L'uomo fa domanda per procurarsi i permessi necessari, e, mentre passano i mesi, mette da parte quelle poche cose utili per il viaggio e costruisce un carrettino sul quale trasportare la donna per i chilometri che li separerebbero dalla meta. Il condizionale è d'obbligo, tenuto conto che i permessi richiesti non arriveranno mai, giacché di Michael K. non importa nulla a nessuno. Quando se ne rende conto, l'uomo sceglie comunque di perseguire il desiderio di quella madre ridotta a un'ombra. Si parte...

Gli ultimi. Nella bibliografia di ogni scrittore moderno, o quasi, c'è un libro, un racconto, un frammento che riguarda gli ultimi della Terra, c'è il desiderio di raccontare i diseredati del mondo; e magari quello di scolpire una figura memorabile da lasciare, immortale, ai lettori.
L'ultimo di John Maxwell Coetzee si chiama Michael K., un uomo identificato sin dalla nascita dalla pelle nera, dalla malformazione al viso chiamata labbro leporino, dalla mancanza di possibilità ad una vita che sia solo un po' più che dignitosa. Michael K.: un ultimo in una terra, il Sudafrica della guerra intestina e del coprifuoco, che sembra fatta apposta per essere una terra di ultimi.
I desideri degli ultimi hanno meno possibilità di avverarsi: ben presto Michael è costretto a portare sua madre a morire in un ospedale, a lasciarsi vagare in un paese dilaniato... ed è solo allora, forse, che comincia a chiedersi chi lui sia stato e sia.
L'ultimo terzo del libro, centrato su questo interrogativo, è il punto di snodo della vicenda, che alterna lo sguardo di Michael su se stesso con quello dell'uomo che si prende cura di lui. E forse la distanza tra i due uomini che raccontano Michael – il personaggio (il medico) e lo scrittore (Coetzee) – è davvero molto ridotta; entrambi cercano un motivo, un lampo a cui attaccare una speranza, per poter dire che si tratta solo di una semplificazione e di un alibi: gli ultimi non esistono.

“Quanta gente è rimasta che non è rinchiusa in un campo e nemmeno messa a far la guardia davanti ai cancelli? Sono fuggito dai campi di internamento, e forse, se rimango nascosto, sfuggirò anche alla carità.”

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