Narrativa straniera Romanzi La violetta del Prater
 

La violetta del Prater La violetta del Prater

La violetta del Prater

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Il cinema ha un suo modo di affrontare i tempi più difficili, che da sempre consiste nel proporre agli spettatori i più facili fra i soggetti possibili. Così nella Londra degli anni dell’ascesa di Hitler, mentre tutti si preparano all’inevitabile, un volitivo produttore, Chatsworth, ritiene sia il momento giusto per mettere in cantiere un’operetta vagamente mitteleuropea, di quelle che vanno parecchio anche a Hollywood nello stesso periodo. Chatsworth è altresì sicuro che La violetta del Prater sbancherà il botteghino, ma a due condizioni: che a dirigerlo sia il più talentuoso e paranoide fra i registi di lingua tedesca, Friedrich Bergmann, e che a occuparsi della sceneggiatura sia un giovane, promettente scrittore – Christopher Isherwood. Quanto segue è semplicemente la storia veridica di come un film nasce e si trasforma, e soprattutto di come giorno per giorno rischia la catastrofe.



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La violetta del Prater 2015-11-05 05:20:44 Natalizia Dagostino
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Natalizia Dagostino Opinione inserita da Natalizia Dagostino    05 Novembre, 2015
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Cinema e vite

Prater Violet è un racconto viola, leggero e tragico, che invita a ritornare al cinema e alle sue ragioni. La pulsione vitale del rosso si coniuga con la profondità esplorativa del blu divenendo l’espressione di un archetipo dolorosamente umano.

Nello scenario storico londinese che precede la seconda guerra mondiale, il pensiero e il vivere assieme diventano sceneggiatura e film. Si intrecciano le interazioni quotidiane di Friedrich Bergmann, illuminato regista austriaco, di Chatswort, scaltro produttore e di Christopher Isherwood, giovane e impegnato sceneggiatore, doppio narrativo dell’autore che lavora realmente nella Hollywood degli anni ’30.

“Vede, io sono un vecchio peccatore così orribilmente incallito che nessuna cosa mai è tanto cattiva quanto m’aspettavo. Ma lei è rimasto sorpreso. Scosso. Scandalizzato. Perché è candido. È di questo candore, di questa sua innocenza che ho assolutamente bisogno; l’innocenza di Alëša Karamazov. Procederò a corromperla… Sa cos’è un film?... Un film è una macchina infernale; una volta accesa e messa in moto gira con una dinamica irresistibile. Non può fermarsi non può chiedere scusa. Non può ritrattare più nulla. Non può attendere che si comprenda. Non può spiegarsi. Ma semplicemente matura verso la sua inevitabile esplosione. E questa esplosione noi dobbiamo prepararla, come anarchici, con la massima ingegnosità e malizia…” p.37

La Germania nazista celebra il processo per l’incendio del Reichstag, in Austria la guerra civile distrugge le milizie operaie, la guerra incombe, ma nessuno ci crede. Il regista lo sente, lo sa: egli celebra con il lavoro la trasparenza del potere, la banalità della paura e il disincanto nella relazione possibile fra un padre e un figlio.

Ci riscopriamo tutti come mendicanti eccezionali che leggono Omero in greco e come vigili che dipingono all’acquerello. Impariamo la luminosità e la seduzione delle ombre e non solo l’opposizione consolatoria fra le ombre e le luci. Il cinema ci è inevitabile, come la guerra, come l’amore, offrendo il visionario e il delirante coniugati nella realtà. In fondo, è la storia dell’intelligenza.


p.52

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