La Venere di Urbino
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il viaggio della speranza disillusa
Fidelman, confesso pittore fallito, un uomo povero nativo del Bronx, giunge in Italia con l’ idea di scrivere uno studio critico su Giotto e, suo malgrado, è braccato e perseguitato dall’ ombra del profugo ebreo Susskind, conosciuto per caso, uno scheletro con pochi etti addosso ed occhi languidi e scuri.
Depredato del proprio prezioso manoscritto, inizia una lunga peregrinazione attraverso la penisola ricercando un afflato artistico che gli permetta di capire la vita.
È l’ inizio della fine per un talento che sembra giacere inutile dentro di lui ed un bisogno imprescindibile di creare. L’ arte non gli da’ da vivere nonostante tutti i suoi sforzi, e l’ abiezione di giorni trascorsi alla ricerca di un senso si perde in avventure truffaldine e senza costrutto, abbandonatosi desolatamente ad amori improbabili.
È allora che tutto si mescola ma una certa confusione rimane, insieme ai dubbi sul proprio reale valore artistico, l’ angoscioso ritorno di un incompiuto passato famigliare tuttora presente, circondato da losche figure e votato a singolari esperienze.
Sovente il destino sembra avergli dipinto il male addosso, a volte lui stesso si perde tra una dimensione di uomo ed artista ed una certa confusione personale e sentimentale, laddove ogni bassezza non è compensata a sufficienza dal proprio talento .
Un classico Malamud nella raffigurazione di un antieroe solitario devastato ed afflitto da una moltitudine di personaggi che contribuiscono a forgiarne l’aspetto camaleontico.
Finiamo per non riconoscerlo, in un reiterato travestimento espressione di solitudine, in una incompletezza sognante che fa a pugni con un reale povero e violento.
Di certo non una delle migliori produzioni dell’ autore, troppa carne al fuoco, una certa scollatura tra le parti, un inizio promettente che si perde in una dimensione onirico-idealista, una disarmonia tra i sei racconti che originano il romanzo facendo uso di linguaggi diversi, per un esito piuttosto fumoso e poco includente.
Ho l’ impressione che la grandezza dell’ autore trovi espressione migliore nelle ambientazioni minimali all’ interno delle quali si tessono minuziose descrizioni di piccole vite e grandi protagonisti incompiuti.