Narrativa straniera Romanzi La strada per Los Angeles
 

La strada per Los Angeles La strada per Los Angeles

La strada per Los Angeles

Letteratura straniera

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Immigrato, attaccabrighe, ribelle, megalomane, sprezzante e perennemente in lite con tutti. E' Arturo Gabriel Bandini, l'eroe di "Chiedi alla polvere", protagonista di questo primo, indimenticabile romanzo di John Fante.



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La strada per Los Angeles 2015-07-03 10:40:12 Anna_Reads
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Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    03 Luglio, 2015
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"Risate e applausi calorosi dai cespugli.”

La Strada per Los Angeles – John Fante, 1933-36 (pubblicato, postumo, nel 1985).

SPOILER

"Mi odiavo talmente che mi sedetti sul letto pensando alle cose peggiori che potessi pensare sul mio conto. Alla fine ero talmente esecrabile che non si poteva far altro che dormire."

Se dovessi definire “La Strada per Los Angeles”, secondo capitolo dell’epopea di Arturo Bandini con un aggettivo, non mi verrebbe in mentre altro che “ubriacante”.
Non è un flusso di coscienza, ma tale sembra, questo breve seguito di “Aspetta la primavera, Bandini” (in realtà la cronologia è più complessa. Questo è stato il primo libro ad essere scritto della “tetralogia”, ma l’ultimo ad essere pubblicato – postumo - nel 1985).
Ubriacante è questo diciottenne, ancora molto adolescente, nei modi; e ubriacanti sono i suoi pensieri, le sue azioni, le sue prese di posizione e le sue dichiarazioni di intenti.
Totali, assolute e senza appello.
Amori eterni, guerre totali, addii finali, conversioni definitive.
Puntualmente smentiti il giorno dopo (anzi, in genere prontamente sostituiti da altri analoghi).
Un ego ingombrate, come quello degli adolescenti, un continuo delitto di lesa maestà da parte del globo terracqueo, di cui, ovviamente, ci si vendicherà e – oh sì – sarà vendetta, tremenda vendetta.

Arturo vive con le insopportabili madre e sorella (il padre, Svevo, coprotagonista di “Aspetta la primavera, Bandini” è morto, ma “risorgerà” nel libro successivo), la prima inerte fino alla passività, la seconda pervasa da un fanatismo religioso eletto bersaglio dell’esuberante fratello.

«Non appena toccavo la maniglia della porta mi veniva la depressione. Casa mi ha sempre fatto quest’effetto. Anche quando era vivo mio padre e abitavamo in una casa vera, non mi piaceva lo stesso. Volevo sempre andarmene, o cambiare. Mi domandavo che casa sarebbe stata se fosse stata diversa, però non riuscivo mai a capire che cosa si dovesse fare per renderla diversa.»

Arturo perde un lavoro (unico sostentamento della piccola famiglia) dietro l’altro a causa del suo carattere, delle sue piccole ruberie, dei ritardi; legge tantissimi libri, in genere senza capirli molto, ma abbastanza da crearsi una piccola aura di sapienza che impressiona (poco) qualche sprovveduto (molto).
Immagina di diventare un grandissimo scrittore, mentre rimugina nel suo studio privato (“che poi era lo stanzino dei vestiti”), che poi è anche la sede eletta dove intrattiene le sue donne di carta (ritagliate dai giornali) sulle quali crea storie su storie ed esplica l’unica attività sessuale che gli è permessa (nonostante madre e sorella – che hanno perfettamente capito – bussino incessantemente alla porta).
Ma Arturo si sente un uomo che farà grandi cose, e come tale si atteggia. E si vendicherà di tutte le sofferenze.
«Camminavo lungo la strada insieme con altri. Chiedevano passaggi agitando il pollice. Accattoni dai pollici come arti di marionette e dai sorrisi pietosi, tutti lì a implorare le briciole dei motorizzati. Senza dignità. Ma non io, non Arturo Bandini con le sue gambe possenti. Non fa per lui, lo scrocco. Che mi passino avanti. Che vadano a centocinquanta chilometri all’ora, che mi riempiano pure il naso dei loro scarichi. Un giorno sarà tutto diverso. Pagherete per questo, tutti quanti, ogni automobilista lungo questa strada. Non ci salirò, nelle vostre macchine, neanche se uscite e mi supplicate e mi offrite l’automobile e mi dite che è mia subito, mia e senza alcun impegno. Piuttosto ci muoio, su questa strada. Ma verrà il mio momento, e allora vedrete il mio nome nel cielo. Allora la vedrete, tutti voi! Io non mi sbraccio come gli altri, non mostro il pollice ricurvo, quindi non fermatevi. Mai! Ciò nondimeno la pagherete.»

A volte.
Altre ha percezioni quasi eccessive della propria piccolezza, pur sempre titanica.
“Mattina, è ora di alzarsi, e allora alzati, Arturo, va’ a cercarti un lavoro. Va’ là fuori a cercare ciò che non troverai mai. Sei un ladro, un killer di granchi, un donnaiolo da stanza dei vestiti. Te non lo troverai mai, un lavoro.”

Il tutto condito con le piccole vicende che gli accadono, il lavoro presso l’impianto di conservazione del pesce, l’addio alle “donne di carta” in una momento di improvvisa (quando fugace) conversione religiosa (e parlando di Arturo Bandini, ogni donna ha un nome, una storia e una peculiare relazione con il protagonista e viene personalmente e in modo personalizzato fatta fuori). Il “topesco” principale, il repentino amore per la donna sulla barca con il costume bianco, o quello, assai più articolato e lungo (almeno qualche minuto) per la sconosciuta intravista per strada, che lo porta all’epico epilogo di mangiare il fiammifero che lei ha usato per accendersi una sigaretta. La stesura di un romanzo che fa morire dal ridere la sorella.
Fino alla conclusione. Arturo impegna l’anello nuziale e tutti gli altri piccoli tesori della madre e si compra un biglietto per Los Angeles.
«Con la valigia in mano, scesi allo scalo ferroviario. Mancavano dieci minuti al treno di mezzanotte per Los Angeles. Mi sedetti e cominciai a pensare al nuovo romanzo.»

Ho trovato la scrittura di Fante, in questo romanzo, perfetta. Perfetta per il suo adolescente obiettivo. Perfetta mimesi di Arturo, che è un fuffaro cazzone senza redenzione e che qui e là ti infila locuzioni elevate che probabilmente ha espunto da qualche libro che ha capito poco, come la “trivialità così levantina” di qualche malvagio arcinemico. A cui, a volte solo dai cespugli arrivano “applausi scroscianti” per le sue mattane e che a volte si imbatte in un “Platone raffreddato".
Assolutamente adorabile da quanto è perfetto ed intollerabile.
E che chiude descrivendo la scrittura come qualcuno per cui è davvero la vita:
« La matita grattava la pagina. La pagina si riempiva. Voltavo pagina. La matita procedeva fino alla fine. Un’altra pagina. Da capo a fondo. Le pagine crescevano. Dalla finestra entrò la nebbia fredda e discreta. Ben presto la stanza ne fu piena. Continuavo a scrivere. Pagina undici. Pagina dodici.
Alzai lo sguardo. La luce del giorno. Nebbia da soffocare. Era finito il gas. Avevo i crampi alle mani. Avevo una vescica sul dito che reggeva la matita. Mi bruciavano gli occhi. Mi faceva male la schiena. A malapena mi tolsi dal freddo. Ma non mi ero mai sentito meglio in vita mia.»
Poco contano le risate di Mena.

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La strada per Los Angeles 2015-05-12 02:53:47 Bruno Elpis
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    12 Mag, 2015
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Uno svitato? Sì, no… uno scrittore!

Ne “La strada per Los Angeles” di John Fante, Arturo Bandini è divenuto un diciottenne (“Io, a diciott’anni, e ancora mi succhiavo il pollice!”) mitomane, arrogante, blasfemo, onanista, razzista e… irresistibile.
Irresistibile perché incarna la figura dell’antieroe, interpretando le tendenze caratteriali che spesso nell’adolescenza trovano espressioni enfatiche, se non addirittura deliranti.

Arturo vive con la madre e la sorella, ossessionato dall’idea di scrivere un capolavoro e così diventare uno scrittore celebre. Dopo occupazioni alterne, trova impiego presso il conservificio della Soyo Company, un ambiente che è occasione per descrivere la realtà multietnica (dalla prefazione di Emanuele Trevi: “Tra operai messicani e filippini… vero mosaico etnologico e antropologico rappresentato dalle classi subalterne nella California degli anni Trenta”) nella quale Bandini si staglia con egocentrismo (“Ovvio che non sapevo come funziona un carrello. Ero uno scrittore”), anticonformismo, disprezzo per il capo e titolare (“Il roditore, il maiale, il topo di cantina, il topo di fondaco”), razzismo strisciante nei confronti dei colleghi filippini e messicani (“Ma guardati! Appartieni a una prosapia di schiavi. I tacchi delle classi dominanti ti schiacceranno le costole. Perché non fai l’uomo? Perché non scioperi?”), presunta superiorità praticata con sfoggio di linguaggio.

Arturo trascorre le sue giornate lavorando al conservificio, ingaggiando guerre immaginarie (“Sparai ai granchi per tutto quel pomeriggio”) e forsennate (“Quella carneficina finalmente si fermò allorché mi venne il mal di testa per aver troppo sforzato gli occhi”), frequentando la biblioteca e puntando la signorina Hopkins, bibliotecaria (“Osservavo. Ero come un falco. Nulla di ciò che faceva poteva sfuggirmi”), rifugiandosi nel parco per leggere i suoi libri preferiti (ma li capisce?), innamorandosi di ogni donna che vede passare…

Scritto con uno spirito paradossale (“Aveva le allucinazioni. Sogni di gloria delusi. Minacce contro la società. Seguiva le donne per strada. Faceva il pazzo con le mosche e se le mangiava. Tutto per via delle donne. Uccise pure un sacco di granchi… Proprio uno svitato. Il ragazzo più svitato della contea di Los Angeles…”), questo romanzo si incastona nella saga di Bandini imprimendo una svolta piuttosto brusca al percorso del ragazzo che in “Aspetta primavera, Bandini” abbiamo iniziato a conoscere, dilatando le premesse poste nel prequel con la forza del sarcasmo e dell’innovazione creativa.

Bruno Elpis

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La strada per Los Angeles 2012-05-11 18:22:36 charicla
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charicla Opinione inserita da charicla    11 Mag, 2012
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Mister Arturo Gabriel Bandini...

Arturo Bandini e il suo imponente sogno di diventare il più grande scrittore d’America, nonostante la sua presunzione e la sua costante insofferenza. Si proprio lui, il più grande dissacratore d’America, blasfemo e vagabondo che cerca riscatto nel suo lavoro al conservificio ma che si spaccia per ciò che non è e che ha ben altre idee in mente riguardo al suo futuro. E chi glielo spiega a Mister Arturo Gabriel Bandini che la vita non è mica cosi semplice come lui immaginava? E cosi deluso e sconfortato dall’impatto con la realtà, raccoglie i cocci della sua adolescenza e in piena notte si mette in attesa di un treno che lo porterà dritto dritto al suo sogno.

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Fante Fante e poi Fante
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La strada per Los Angeles 2012-03-08 23:23:34 Giovannino
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Giovannino Opinione inserita da Giovannino    09 Marzo, 2012
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Bandini: La Genesi.

Dopo essermi innamorato di "Chiedi alla polvere" ho deciso di leggere tutta la tetralogia del grande Arturo Bandini partendo dall'inizio, "La strada per Los Angeles". Come inizio a leggere la prefazione vengo peró a sapere che non si tratta di una vera tetralogia, non solo perchè i romanzi sono completamente indipendenti tra loro e non collegati, se non tramite il protagonista, ma anche perchè non c'è continuità temporale. Sebbene infatti questo sia il primo romanzo dei "quattro Bandini" perchè scritto nel 1935, si deve attendere fino al 1985 per vederlo stampato. Infatti negli anni 30 nessun editore si prese la briga di stamparlo e rimase così "nascosto" per poi essere ripreso dopo la morte dell'autore (che nel frattempo aveva riscosso successo con "Chiedi alla polvere") e fu quindi reso pubblico solo dopo gli altri 3 romanzi di Bandini. Il romanzo è in sostanza la genesi di Arturo Bandini. In questo romanzo l'autore ci presenta il personaggio, la sua famiglia (composta da madre e sorella), i vari lavori, e l'inizio del suo sogno, e cioè l'aspirazione a diventare uno scrittore di successo. Prima di leggere questo romanzo avevo letto diverse recensione e si dividevano tra chi diceva di aver letto un capolavoro e chi dopo 100 pagine lo aveva abbandonato odiando l'arrogante e presuntuoso Bandini. Personalmente mi pongo nel mezzo. Credo che il personaggio di Arturo Gabriel Bandini sia uno dei migliori del '900, e credo che chi lo reputa presuntuoso e arrogante non ha capito a pieno il personaggio. È vero infatti che superficialmente puó sembrare così, ma poi basta arrivare fino alla fine del capitolo o della pagina e ci si accorge che il presuntuoso Bandini: viene preso in giro da dei ragazzini per strada, dai colleghi, dalle donna, e perfino dalla sorella. Arturo Bandini è un perdente che reagisce con la presunzione e l'arroganza alle varie sconfitte che la vita gli riserva. Attacca per non essere attaccato, ma in realtà Bandini è una persona sola, sconfitta ed emarginata che mente a se stesso per poter andare avanti. Di contro penso che incentrare un intero romanzo su Bandini che cambia lavoro e litiga con i colleghi alla lunga puó risultare un pó noioso. Vagamente questo romanzo mi ha ricordato un pó il Bukowski di Factotum, anche se quest' ultimo lo preferisco di gran lunga. In conclusione un romanzo dedicato solo a chi ama Bandini e Fante.

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solo per chi ama Bandini e Fante.
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La strada per Los Angeles 2011-09-18 13:28:10 Leoni
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Leoni Opinione inserita da Leoni    18 Settembre, 2011
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A love story

Nel momento stesso in cui ho chiuso la quarta di copertina, nella mia mente è balenata una considerazione: "Ma in questo libro non è successo niente!".
Non c'è una storia vera e propria, nessuna morale, nessun lieto fine ma neanche alcuna fine tragica, drammatica, ironica, nulla di nulla... Gli appassionati di Bandini sanno che alla fine Arturo quel treno lo prenderà,e lo prenderà per andare ad incontrare Camila. Gli altri, invece, avranno il ricordo di un personaggio alienato, fobico, presuntuoso, egocentrico eppure profondamente epico, un eroe da tragedia greca, impegnato in una lotta solitaria contro il mondo, soprattutto familiare, che lo circonda.
Arturo lotta, e lotta strenuamente contro i clichè imperanti sugli immigrati italiani, contro una madre ed una sorella che non desiderano altro dalla vita che rimanere immobili, ferme, nell'attesa che qualche uomo si occupi di loro. Arturo vuole crescere, vuole progredire, vuole andare avanti, vuole diventare un grande scrittore e nel suo odio per il mondo racchiude il profondo disprezzo per una società classista e castrante.
Potrebbe essere un romanzo di formazione, ma non lo è. In fondo è solamente la storia d'amore di un ragazzo con se stesso.

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La strada per Los Angeles 2011-01-23 11:28:28 Frax90
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Frax90 Opinione inserita da Frax90    23 Gennaio, 2011
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"Ehi scrittore!Bevi la agua!"

In quest'opera,che rappresenta la genesi del ciclo di Arturo Bandini, John Fante pone dinnanzi al lettore uno dei meglio riusciti figli della finzione letteraria.Megalomane,antisemita radicato,ribelle e un pò artista, l'immagrato Arturo Gabriel Bandini rappresenta l'archetipo antieroico per antonomasia."Superuomo", come ama perennemente definirsi grazie agli usi e abusi di Nietsche,artista anticonformista ed anticlericale alla stregua di Dante,Galileo e Copernico, amatore dalle inifinite capacità sessuali e romantiche, il nostro protagonista ci trascina al centro del suo rigonfio, smisurato,ipertrofico e sesquipedale ego, mostrandoci tutte le sfaccettature dell'animo di un puro "vanitoso intellettuale".Bandini l'immortale, Bandini l'orgoglio d'america,Bandini braccio destro di Franklin Delano Roosvelt, Bandini eroe immortale,mastodente fra i grandi della filosofia e della letteratura di sempre, Bandini il concupiscente di fama,donne con la pelliccia e pecunia....Questo inno e parodia nello stesso tempo, celebra l'uomo medio, l'immigrato italoamericano di seconda gnerazione, pervaso e immerso fin nei capelli nella bruma dei suoi sogni, apparentemente irragiungibili, attraverso i quali nutre ed alimenta la sua esistenza chiaramente così laida.Grande questo Fante!!!!Genio di inimmaginabile capacità scrittoria e narrativa, a soli ventiquattro anni plasma una delle colonne d'ercole della letteratura americana e mondiale. La sua mente crea uno dei meglio riusciti alter-ego letterari,versando però dazio alla ipocrisia ed alla bigottaggine americane del tempo, il romanzo infatti verrà pubblicato con quasi 40 anni di "ritardo".Nato già nella prima riga del romanzo come spalatore di fossi, dopo nemmeno cinque pagine,Arturo bandini farà prostrare il mondo ai suoi piedi, acchiappando il lettore per la camicia e conducendolo nei labirinti estremamente arzigogolati della materia grigia del più grande scrittore di sempre...si so a chi state pensando...si sproprio lui, ma certo, non abbiate paura a pronunciare il suo nome...è il grande, il solo, l'inimitabile ....esatto proprio così..Arturo Gabriel Bandini, pronto a stegarvi con tutta la sua purezza proprio come fece con la signiorina Hopkins: "che personaggio etereo questo Bandini!!!!"

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La strada per Los Angeles 2009-04-27 14:07:13 A.Menghini
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A.Menghini Opinione inserita da A.Menghini    27 Aprile, 2009
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l'inizio del mito di Bandini

Se qualcuno si chiedesse cosa ne era del giovane Bandini prima di chiedi alla polvere... questo libro è la risposta.

Un romanzo dell'adolescenza di Bandini, fuori di testa e fuori dal mondo.

Non è particolarmente fruibile per contenuto nè originale.

Ma gli amanti di John Fante apprezzeranno il tentativo riuscitissimo di riportare su carta gli altalenanti e a tratti schizzofrenici arpeggi della mente Bandiniana.

Per chi si dovesse avvicinare una prima volta a Fante consiglio di iniziare da altre opere più fruibili del nostro illustre antesignano ItaloAmericano.

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