La strada per Chevreuse
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La memoria
«[…] Lo stesso accadeva per i frammenti di ricordi che tentava di annotare il più in fretta possibile: poche immagini di un periodo della sua vita, che vedeva sfilare velocemente prima che sparissero per sempre nell’oblio.»
Il tema della memoria, del ricordo evanescente che si perde nell’oblio sino ai massimi estremi, è molto caro a Modiano, autore che già in altri componimenti si è spinto ad interrogarsi in merito. Più passa il tempo, più l’età avanza, più la memoria diventa fragile, fallace e fa paura con il suo frantumarsi inesorabile.
Cambia la memoria, cambia l’età, cambia il mondo. I ricordi sbiadiscono, l’infanzia è sempre più lontana e ogni percezione di quel che è stato assume una nuova veste grazie alla riflessione adulta. “La strada per Chevreuse” riprende alcune delle situazioni e dei luoghi che il Premio Nobel per la letteratura Patrick Modiano aveva già affrontato in “Riduzione di pena”, classe 1988. L’io narrante ci rimanda naturalmente a un Modiano bambino che si trova con il fratello minore in una casa a Jouy-en-Josas. Siamo nel 1966 quando la vicenda ha inizio e protagonista è Jean Bosmans, alter ego dello scrittore già comparso in “L’orizzonte”, opera del 2010. Molti, come si evince, i rimandi al passato di Patrick stesso, un po’ come se si trattasse di un fil rouge che sembra voler resistere innanzi a quella memoria che sembra volersi invece sgretolare.
«[…] Pensò che dopotutto quel tale Guy Vincent era legato a certi suoi ricordi d’infanzia che non la riguardavano e le erano del tutto indifferenti.»
I due ragazzini vengono affidati per un periodo di tempo a dei conoscenti che vivono in quello che ha tutte le sembianze di un villaggio. Jean incontra due uomini; Michel de Gama, detto Degamat, e René-Marco Heriford. Ancora, Jean, conosce Kim, la figlia di René. È lei a occuparsi di lui, a prendersene cura. Il mistero ruota attorno alla casa di Chevreuse, tanto De Gama che Hereford che Philippe Hayward ne sono incuriositi e interessati.
Ad essere protagonista indiscusso di queste pagine è senza dubbio il ricordo. I ricordi riemergono nella mente, tornano a farsi spazio in noi in tempi, luoghi e in momenti particolari e spesso anche inaspettati. Nulla sembra accadere per caso, basta anche una piccola cosa, un piccolo dettaglio, ed ecco che il passato, sotto forma di memoria, torna a fare capolino nel nostro oggi, nel nostro presente. Cambia anche la forma che gli oggetti assumono. Se un orologio ha la funzione di scandire il tempo, una bussola di orientare, un accendino di far luce, un taccuino di essere scritto, ecco che ciascuno di questi diventa un mezzo per far scaturire la memoria in quello che è un ricordo sopito. Stessa cosa accade e avviene con i nomi, con le voci.
A condurre le parole è un ritmo narrativo ben cadenzato, pacato, che sembra sussurrare all’orecchio del lettore. Una parola silenziosa ma che infrange le barriere del suono. Con la perfetta delicatezza di un tempo che è stato e che è stato capace di sconvolgere.
Un Modiano, ancora una volta, che ricostruisce partendo dal presente e tornando al passato. Un Modiano che si interroga e ci interroga per mezzo di Jean.
Patrick Modiano è uno di quegli scrittori che non teme di affrontare le paure della nostra epoca, ancora una volta si appresta a solcare il confine tra memoria e ricordo inventato. La memoria nel suo essere labile e fragile, rende l’uomo nudo, spoglio, fragile, indifeso.
«[…] Nella sua memoria, questa Ferme d’Auteuil era molto vicina alla valle di Chevreuse, alla rue du
Docteur-Kurzenne e alla zona di Porte Molitor dove era nato. Tutto ciò formava una provincia segreta. E nessuna mappa o piano del personale avrebbe potuto dimostrargli il contrario.»
Il Premio Nobel Patrick Modiano con “La strada per Chevreuse” aggiunge un nuovo tassello alla sua “geografia poetica” basata su emozioni e sensazioni fornite dalle stagioni della vita umana.
Un’amara consapevolezza da cui non possiamo sottrarci. Oggi è già domani e ieri è un ricordo che non è più nostro.
«Il paesaggio era cambiato come se avessimo oltrepassato un confine. E da allora in poi, ogni volta che ripercorreva lo stesso itinerario da Parigi e dalla Porte d’Auteuil, provava la stessa sensazione: quella di scivolare in una zona fresca che le chiome degli alberi proteggevano dal sole. E in inverno, a causa della neve più abbondante che altrove in questa valle di Chevreuse, credevamo di seguire piccole strade di montagna».