La stanza di Giovanni
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Una confessione tra rimorso e rimpianto
Esattamente come accade a David il protagonista del romanzo, Baldwin si trova in Francia, vive tra Parigi ed il sud del paese, lontano dalla sua patria, gli Stati Uniti, dove la questione razziale è sempre più accesa. Sarà quindi qui in Europa che trarrà personalmente quell’ispirazione, e che vivrà sulla propria pelle quelle esperienze che lo porteranno a scrivere questo libro in cui il protagonista è un uomo bianco in quanto, come scrive lo stesso autore, “di certo non mi sarebbe stato possibile trattare l’altra grande questione, quella della razza. La questione sessuale-morale era già abbastanza difficile”.
La stanza di Giovanni però, prima ancora di essere considerato come una storia d'amore omosessuale, è un libro che “parla di quello che succede se hai paura di amare”. Una paura così grande perché pone David davanti all’ostacolo di dovere infrangere le convenzioni sociali, davanti alla necessità di dovere fare outing e comunicare a familiari e fidanzata la propria natura. Il proprio legame verso quel Giovanni comparso a ciel sereno nella sua vita e capace di scoperchiare sensazioni ed emozioni che aveva in parte già vissuto ma anche rimosso; improvvisamente ritrovate nella stanza da letto di un Giovanni incontrato in un locale notturno di Parigi (“Adesso credo che, se avessi avuto anche solo un vago sentore che l’io che avrei trovato si sarebbe rivelato semplicemente lo stesso io dal quale avevo passato tanto tempo a fuggire, sarei rimasto a casa”).
Attraverso una narrazione-confessione in prima persona, a metà strada tra rimorso e rimpianto e che a ritroso ricostruisce i dolorosi passi compiuti (ma sarebbe meglio dire non compiuti) da David, tali da rappresentare una progressiva e inarrestabile discesa agli inferi per Giovanni, il lettore riesce a rendersi conto che quella “stanza” del titolo alla fine non rappresenterà altro che una zona franca che fa da sfondo ad attimi fugaci di vite che si sono intrecciate, senza poi dare seguito ad alcun progetto duraturo. Per David però è impossibile provare a dimenticare, il senso di colpa per la propria debolezza caratteriale, per la propria ignavia, lo spinge a riflettere ed a ricordare, anche quando si desidererebbe soltanto dimenticare.
Perché in fin dei conti, come dice David, “ognuno di noi ha un giardino dell’Eden” e forse “La vita offre solo la possibilità di scegliere fra il ricordare il giardino e dimenticarlo. Una cosa o l’altra: ci vuole forza per ricordare, ci vuole un altro tipo di forza per dimenticare, ci vuole un eroe per fare le due cose insieme”.
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Ferire per non amare
C’è un passo molto acuto nell’”Idiota” di Dostoevskij nel quale l’autore fa amaramente notare che in fondo, chi ama tutti, non ama davvero nessuno. Ho pensato a lungo a questa frase mentre leggevo questo fragile libro di Baldwin, forse anche impropriamente. “La stanza di Giovanni” è un libro sul dolore che può arrecare chi non vuole ferire, chi non è pronto ad andare fino in fondo a se stesso, chi si scopre troppo esile, tra i vasi di ferro, per vincere la propria ritrosia. Un libro, ci avverte l’autore, che vuole esplorare cosa succede quando si ha “paura di amare”. E al centro di tutto questa stanza della tortura, la stanza di Giovanni, il giovane cameriere italiano incontrato in un pub gay da David, americano in fuga dal vecchio mondo per trovare se stesso in una Parigi in cui ci si deve perdere per trovare la propria natura. Una stanza che accoglie questi due corpi, così soli, così disperati l’uno dell’altro, una stanza che è tutta una vita, rimescolata in onde di desiderio e contrappunti di disincanto, ore di estasi e minuti di angoscia. Un stanza che diventa il perimetro asfissiante di una vita corsa troppo in fretta mentre Hella, fidanzata di David, è in Spagna, confini di mattoni affastellati troppo di corsa, incollati da una calce troppo liquida. David e Giovanni si guardano e toccano, ma vivono su mondi diversi, su universi senza galassie in comune: il primo troppo spaventato di abbandonare la sua fidanzata, la sua vita normale, inchiodato dalla nuda voce della carne, il secondo troppo dipendente da David, troppo instabile, malato, disperato. David e Giovanni, un passo avanti insieme verso l’abisso, circondati da vecchi papponi e uomini disgustosi pronti a comprare un corpo più giovane con la promessa di qualche soldo, di un lavoro.
È una storia come tante quella di David e Giovanni, di tanti altri romanzi, ma nobilitata dalla prosa meravigliosamente pura di Baldwin, tanto delicata quanto precisa, brillante come un manto di stelle in una notte cristallina, sospesa senza essere reticente, equilibrata senza essere stantia, dolorosa quando la vita non può fare a meno di ferire, luminosa quando si può respirare per un istante. E quello che già colpisce di questo romanzo è l’anima dell’autore, impressa in filigrana tra i dialoghi e i martiri, nei pensieri che fuggono: un libro che se non è perfetto, è perché sconta un’urgenza espressiva assoluta, destabilizzante, bruciante, a tratti caustica. Un libro in cui credo l’autore abbia messo molto di sé e della propria vita, da accogliere come la confessione di un amico e che ci ricorda come spesso una stanza non è solo uno spazio, ma una prigione mentale e come attraversare quella soglia è un atto di coraggio che può cambiare una vita. E chi ha dovuto attraversa la soglia della sua stanza, lasciare quella porta alle spalle, sa che il dolore di quel passo può strappare il cuore dal petto.
“Mi fece pensare, pensare a casa - forse la casa non è un luogo, ma semplicemente una condizione irrevocabile."
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Tondelli, "Camere separate"
Yanagihara, "Una vita come tante"
La stanza del destino
Romanzo breve ma intenso, si chiude il libro un senso di pesantezza sulle spalle e di sconforto nell'animo.
David è il protagonista del romanzo di Baldwin, un ragazzo americano che si rifugia a Parigi con l'illusione di scappare dalle sue paure più inconfessabili, con il desiderio di costruirsi un'identità stabile, ma inevitabilmente e inconsciamente finendo tra le braccia del suo incubo più grande.
Il romanzo, come lo stesso Baldwin dichiara "non parla tanto di omosessualità, ma di ciò che succede quando hai talmente tanta paura da finire con non l'essere più in grado di amare nessuno". David è attanagliato dal senso di colpa di essere quello che è, fugge lontano da casa pensando di mettere tra la sua prima esperienza omosessuale e il futuro una distanza tale da renderlo una persona diversa, ma non può che confermare i desideri più reconditi.
Parigi è la città della perdizione, delle libertà sfrenate e la speranza di David di potersi costruire una vita normale, con una donna qualunque, capace di dargli figli e stabilità si dissolve non appena incontra lo sguardo di Giovanni, un barista italiano trapiantato nella vita parigina, squattrinato e gioioso. L'incontro sarà fatale e l'entrata nella stanza di Giovanni indelebile sulla pelle di David, una scelta irreversibile.
La storia è dolorosa, tormentata e si comprende chiaramente il contrasto che si anima all'interno del protagonista, diviso tra la volontà di dare alla sua vita un'impronta di normalità e di sicurezza e dall'altra parte il richiamo del corpo, del desiderio.
"Pensai: se non apro subito la porta ed esco da qui, sono perduto. Ma sapevo che non ci sarei riuscito, sapevo che era troppo tardi; presto sarebbe stato troppo tardi per fare qualsiasi cosa se non gemere. [...] Ogni singola parte di me urlava 'no!', ma tutto di me disse a bassa voce 'sì'.
Ma non è solo la storia di David, sebbene sia la voce narrante e racconti il suo dramma cercando di scandagliare ogni aspetto della vicenda e di analizzare con lucidità le scelte e i sentimenti che lo hanno guidato; vi è anche la storia di Giovanni, un ragazzo con un passato difficile e un presente incerto, costretto ad abbassarsi a gesti vili per sopravvivere un giorno in più in una città che non ha pietà di nessuno.
Il romanzo di Baldwin è di una delicatezza estrema, riesce a toccare corde profonde e a mettere a nudo il senso di colpa, di vergogna e di impotenza che l'epoca passata faceva ricadere sull'omossesualità, una gogna che pesa sul collo di ciascun uomo che passeggia per la città francese cercando di dissimulare con la sfrontatezza il senso di ridicolo che lo perseguita e di affogare nell'alcol la consapevolezza che non è concessa alcuna felicità.
Ciononostante la vicenda non si discosta troppo dalle storie di omosessuali, uomini e donne, che circolavano allora, storie coraggiose, sì, ma con un finale quasi sempre scontato, ripetitivo, quello dalla morte, della denuncia, dell'autolesionismo, della carcerazione. "The price of salt" di Patricia Highsmith, romanzo di poco precedente alla pubblicazione de "La stanza di Giovanni" propone per la prima volta un finale diverso, azzarderei dire, lieto!
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Sentimenti instabili e forti contraddizioni
Si esce straniati da questa intensa lettura.
Una storia ben scritta, incentrata su quei sentimenti come la paura e la vergogna che ti impediscono di amare, e rischi di non amare nessuno. Credi di essere innamorato, ma la vergogna e la paura o il rimorso ti impediscono di vivere.
È una storia in cui i personaggi principali vivono continuamente tra sentimenti instabili e fortissime contraddizioni.
Scritto in prima persona, la voce narrante è quella di un giovane americano, David, orfano di madre, che vive col padre e la zia nubile. David scopre di essere omosessuale durante una notte passata col suo amico Joey: da quel momento comincia un percorso in cui il giovane, preso dalla forte vergogna per il proprio corpo e i propri istinti, cerca in tutti i modi di redimersi e di fuggire da se stesso e dall’America, lontano dal padre poiché stava succedendo
“quello che inevitabilmente succede alle persone molto giovani con gli adulti: stavo cominciando a giudicarlo. E tutta la durezza di quel giudizio,che mi spezzò il cuore, mi rivelò, sebbene non sarei stato in grado di esprimerlo allora, sia quanto l’avessi amato,sia quanto quell’amore, insieme alla mia innocenza stesse morendo”.
Fuggire alla propria coscienza, mentendo a se stesso sarà il più grave sbaglio della sua vita: recherà dolore a se stesso e a coloro che lo amano.
A Parigi incontra un giovane barman italiano, Giovanni e, nonostante fosse già impegnato con una bella ragazza, Hella, che al momento è in Spagna, comincia una relazione con lui e va a vivere nel suo monolocale, grande quanto una stanza, nei quartieri più poveri della città. Vivono splendidi momenti insieme, David tira a campare coi soldi che gli manda il padre dall’America. Una vita a due, due uomini che si amano, un idillio fino a quando Hella scrive a David per avvisarlo che sta per tornare.
Da quel momento l’atteggiamento del giovane cambia radicalmente. Il pensiero di dover guardare Hella negli occhi lo fa sentire sporco e comincia a provare sensazioni contrastanti, voltastomaco e anche desiderio nei confronti di Giovanni che nel frattempo si è affezionato a lui e lo venera come un dio. David non gli dice subito la verità.
Se dall’America era riuscito a fuggire dalla vergogna di incontrare Joey, in Europa non ha più scampo: quando Hella torna, torna anche la vergogna per se stesso e per quello che aveva fatto a Giovanni.
“Le persone che ritengono di essere decise e padrone del proprio destino possono continuare a crederlo solo diventando maestre dell’auto-inganno”.
Il romanzo è breve e non posso dire troppo, ma posso segnalare: l’interessante personaggio di Hella, fidanzata di David, piena di contraddizioni, che ha paura dei legami e allo stesso tempo desidera sposarsi perch così “si sente donna”: la tematica dell’americano a Parigi, o in generale in Europa, troppo lontana dalla propria realtà per cui è radicata la convinzione, lo stesso Henry James e Hemingway (Fiesta) lo sapevano, “gli americani non dovrebbero mai venire in Europa, significa che non potranno mai essere di nuovo felici”. I richiami a Henri James, a Oscar Wilde, a Conrad sono assicurati, soprattutto per quanto riguarda la tematica del riconoscimento/ rivelazione , sembrare ed essere, la confusione sulla propria identità.
Un libro breve, intenso, da leggere a sorsi.