La scuola della carne
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Recensione della Redazione QLibri
Nikutai no gakko
Alla scuola della carne si impara il valore del denaro, ma anche quello che il denaro non puo' comprare.
Si impara a conoscere il prezzo della solitudine, il prezzo della gelosia, il prezzo della perdita.
Alla scuola della carne prima o poi credo si diplomi chiunque.
Ambientato nel dopo guerra, il romanzo si orienta su un'occidentalizzazione che ha gia' compiuto quasi un giro completo del quadrante, sebbene resista un legame che ancora stringe l'ultimo lembo genetico della tradizione classica.
Tre amiche quarantenni e divorziate, tre donne di potere, ricche ed affascinanti, provenienti dalle radici ormai a brandelli di un'aristocrazia soppiantata dalla modernizzazione.
Taeko guida un atelier di alta moda e dopo la dolorosa fine del suo matrimonio vive autonomamente, assetata di indipendenza affettiva ella non cerca legami, solo relazioni passeggere, talvolta comprate col denaro. Eppure permane quell'esigenza di affetto che difficilmente ci e' concesso oscurare...
Se vanesia avrei giurato di riconoscere un testo di Mishima anche in formato anonimo, confesso che stavolta avrei fallito tragicamente. Concettualmente le somme quadrano, tra le righe si avverte il suo disprezzo per l'America, l'irritazione verso le donne che si sono assueffatte alle mode europee avvalendosi di un'emancipazione ottenuta di riflesso - tramite l'occupazione americana- ed il contrasto tipicamente giapponese tra pudore ed estroversa sessualita'.
Nella forma invece tutto non torna, il linguaggio utilizza espressioni troppo attuali ( ci sara' davvero scritto così o sara' la traduzione ?), mancano le metafore, si elemosina l'eleganza abituale.
Sebbene nelle opere piu' acerbe la scrittura sia meno ricca e raffinata , il testo e' sempre ed inesorabilmente intriso di atmosfere cosi' incantevoli da scippare fiato alla gola. Non qui, no.
Il primo flop tra Yukio e me, mi basta ed avanza, ora mi spiego perche' non fosse mai stato tradotto prima.
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Opinioni inserite: 4
Bella, libera e indipendente
È il mio primo libro di Yukio Mishima, l’ho letto tutto d’un fiato, anzi ascoltato tramite audible, perché ero curiosa di scoprire come sarebbe andata a finire, la scrittura è scorrevole senza salti temporali, né richiede particolare concentrazione.
Lo consiglio se volete una lettura leggera, sono sicura che a molti piacerà, perché è interessante l’indagine psicologica accurata della protagonista, Asano Taeko, ricca proprietaria di una prestigiosa casa di moda di Tokyo, divorziata, disinibita trentanovenne che perde letteralmente la testa per un giovane gigolò ventunenne, Senkichi.
Taeko, prima di questo incontro, frequentava senza innamorarsi mai, solo coetanei distinti, appartenenti al mondo patinato della moda, dell’alta società: l’incontro con questo meraviglioso, giovane e misterioso ragazzo fa saltare tutti i dubbi e crollare ogni timore per i giudizi altrui. Le scene d’amore sono delicatamente accennate, senza descrizioni esplicite: caratteristica della letteratura giapponese “vecchio stampo”, nonostante la storia in generale scandalosa.
A parte lo studio e lo scandaglio della mente e degli atteggiamenti di Taeko, unico vero personaggio a tutto tondo del libro, questo primo incontro con lo scrittore giapponese mi ha abbastanza deluso, mi aspettavo una prosa letteraria, contenuti originali, un afflato interessante. Mi è sembrata la solita storia della bella donna matura che per la prima volta scopre il vero amore in un toy boy, dal carattere monolitico, solamente bello e dannato.
La letteratura giapponese offre di più, anche lo stesso Mishima, mi è stato detto, ha scritto libri decisamente migliori.
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Libertà e non nelle passioni
È il primo libro che leggo di questo autore giapponese. La trama è lineare. Ci troviamo nel secondo dopoguerra, in Giappone, a Tokio. Tre amiche all'incirca quarantenni, divorziate, indipendenti e con posizioni lavorative alquanto elevate, si ritrovano una volta al mese nei locali, i più svariati della città, dai ristoranti ai bar frequentati da omosessuali, alle sale giochi. Il "Comitato Toshima", appellativo della combriccola femminile composta da Taeko, Suzuki e Nobuko, può includere al suo interno pochissimi prediletti del sesso maschile, uno dei quali è Kaizuka, amico di vecchia data, ristoratore e amante dei piaceri "alla maniera dell'anteguerra" dotato di una eleganza un po' retrò.
Il trio ha un preciso scopo, ossia, scambiarsi informazioni leggere, confidenze in fatto di uomini e consigli soprattutto su avventure amorose senza affrontare discussioni pesanti e tristi sul loro passato.
Principale protagonista è Taeko che gestisce un atelier di alta moda e conosce il mondo emergente di donne, imprenditori, uomini borghesi e di stampo nobiliare, occidentali e politici. Taeko dai tratti estremamente eleganti, quasi snob, appare una donna bella, intelligente ed affascinante. Non le mancano gli spasimanti, non le mancano le avventure ma quel vuoto nel suo appartamento rappresenta il suo personale rifugio, un deserto in cui immergersi.
Una sera in un gay bar Taeko si approccia a Senkichi, barman molto attraente, giovane e virile è oggetto di attenzioni e non solo, da parte degli avventori che gli permettono di racimolare soldi e benefici. La donna ne è attratta, vuole divertirsi. Bastano poche uscite per creare un vortice di situazioni ed il divertimento si trasforma in protezione per il ragazzo e poi in sofferenza e poi in altro ancora. Taeko vuole liberarlo da quel mondo di bassezze e decide di investire si di lui sponsorizzando studi e vita personale. Vita di convivenza tra loro due! Il rapporto è anomalo fin da subito. Finta indifferenza, freddezza o simulazione di Senkichi caratterizzano e smorzano i pensieri della donna. Si avvicendano alcuni aneddoti curiosi circa il modo di interpretare il legame che intercorre tra questi amanti.
La libertà della coppia viene portata da Taeko agli eccessi e sarà proprio questa proposta a determinare i risvolti che il ragazzo seguirà.
Lettura caratterizzata da un racconto lineare, a lunghi tratti leggero. Una leggerezza che però non significa necessariamente frivolezza anzi, gli ultimi capitoli in particolare (più interessanti a mio parere) toccano alcuni pensieri sui vuoti di sentimento e sulla difficoltà di essere se stessi nelle relazioni. Difficoltà di esprimere l'orientamento sessuale e di ricevere l'amore nella forma che vorremmo. L'autore sembra voler dare risalto al substrato che si nasconde dietro i divertimenti della carne e dietro le maschere fasulle dovute alla ricerca del denaro. Una lettura dalla quale mi aspettavo di più forse sulla delineazione dei personaggi troppo sbrigativa. In ogni caso lettura piacevole e adatta per chi interpreta le relazioni oltre gli schemi concettuali tipici. Un racconto dal quale ritroviamo una ricerca della felicità che assume toni decisamente mutevoli.
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La carne scuola di vita
Tre donne alle soglie dei quarant’anni, divorziate, libere, emancipate, conducono una vita agiata e libertina in una Tokyo post-bellica in preda ad una voglia di occidentalizzazione che mette al tappeto secoli di tradizione e cultura. Nobuko si occupa di critica cinematografica e di moda, Suzuko ha un ristorante rinomato, Taeko possiede la migliore boutique della città. Mishima punta i riflettori su quest'ultima e, con un linguaggio quieto, semplice, quasi piatto e un’apprezzabile capacità di restare sobrio ed elegante anche nei momenti più piccanti, ci racconta l’avventura erotica e sentimentale tra l’avvenente protagonista ed il ventunenne Senkichi. I due si conoscono allo Hyacinthe, un locale gay in cui lui lavora come barman e dove lei viene trascinata dalle amiche durante una delle loro serate dissolute. Taeko è fortemente attratta dal fisico del ragazzo, dal suo volto di rara bellezza, dal taglio fiero delle sopracciglia, dai lineamenti virili. Per Senkichi lei è solo una delle tante (e dei tanti) clienti che cercano di portarselo a letto in cambio di qualche regalino. Tutto all'inizio lascia pensare ad un’avventura di poco conto. Ma tra i due nasce un tormentato rapporto fatto di sesso e denaro, di ipocrisia e menzogne, di odio e amore nel quale non si capisce bene chi sia il cacciatore e chi la preda, chi la vittima e chi il carnefice, chi il vincitore e chi il vinto. L’unica cosa che appare lampante è il forte, morboso, ineluttabile richiamo della carne, che trascina fino all’abisso, che sa esaltare ed appagare, che spesso è una vera e propria scuola di vita. “Per la prima volta, Taeko provò pietà nel proprio cuore. Non aveva mai sentito nulla del genere per lui, o meglio, se l’era imposto, per preservare il fascino dell’insolenza del ragazzo. Quel veto, adesso, si era sciolto. Taeko comprese di aver amato soltanto una chimera che lei stessa si era inventata.”
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Les liaisons dangereuses del Sol Levante
“Le relazioni pericolose” è un’opera di Pierre-Ambroise-Francois Choderlos de Laclos che, alla fine del settecento, narra le avventure libertine della nobiltà francese. Pericolosa, in senso nipponico, è la relazione che l’aristocratica e divorziata Taeko (“Taeko aveva lineamenti luminosi e splendidi che la facevano apparire molto più giovane dei suoi trentanove anni”) – in altra epoca! - instaura con Senkichi, bellissimo giovane conosciuto in un locale gay alla fine della seconda guerra mondiale, in un periodo storico nel quale il Giappone delle tradizioni, tra i cocci del nazionalismo, è costretto a subire l’invasione della cultura occidentale e americana.
Ho trovato interessante l’evoluzione del rapporto, che diventa ossessivo, sullo sfondo delle tensioni sociali e culturali del dopoguerra.
Il rapporto è studiato con abilità e originalità: nasce come capriccio (“un uomo che non sarebbe stato niente più che l’avventura di una notte”) e ricerca del piacere (“Senkichi aveva un contegno da gigolo”), è alimentato dalla diversità sociale (“un uomo con cui formava una coppia tanto mal assortita”) e da una sorta di compensazione sado-masochistica (“Nessuno aveva mai trattato Taeko a quel modo”) tra due personalità dissonanti (“E così, fin dal principio, i due iniziarono a ferirsi a vicenda”) e con pulsioni opposte (“Sul suo viso insolente era affiorata quell’espressione soddisfatta tipica di un professore che punisce uno degli allievi prediletti”), procede nell’ambiguità (“Vista la loro ambigua e disinvolta amicizia, che talvolta sconfinava nell’amore…”) e nell’incertezza (“Taeko sapeva che in un modo o nell’altro la cosa sarebbe finita…”).
La relazione, più pericolosa che mai, si staglia sullo sfondo della contaminazioni occidentali: la moda (“un gala in cui Yves Saint Laurent, uno stilista la cui fama cominciava a scalare il firmamento della moda parigina, avrebbe presentato la sua collezione”) è allora predominio incontrastato degli stilisti francesi come Dior, le incursioni culturali (“La donna dei sogni con Anita Ekberg”) dilagano nei costumi e nelle abitudini giapponesi…
Senkichi incarna la malizia (“Aveva un sorriso colmo di malevolenza e malizia, ma allo stesso tempo lasciava trapelare qualcosa di terribilmente puro e dolce”), l’edonismo effimero (“Era convinta che il solo pensiero di qualcosa di duraturo costituisse per lui una specie di tabù”), il sadismo (“Taeko sapeva che si trattava di un gioco, che era una violenza fittizia, e ne era amareggiata”), il mistero (“Più lei cercava di capirne il mistero, più questo s’infittiva”), l’opportunismo (“Conosceva bene l’opportunismo di Senkichi”) e l’arroganza del dominatore (“Ma lui… lui è una persona orribile!”). Ma è ancor più interessante seguire le reazioni della donna giapponese che cerca una propria via esistenziale nell’emancipazione e nell’indipendenza (salvo subire il giogo della passione e dei sensi).
La parte finale s’impenna: su di essa aleggia il binomio eros-thanatos, e la relazione sembra imboccare la via maledetta di una morte (“Sarebbe stato magnifico, quella notte, seguire Senkichi in un doppio suicidio d’amore!”) anticipata con le tonalità che la stessa biografia di Mishima ha rappresentato in modo plateale.
L’epilogo giunge per nulla scontato, in un crescendo ove tensione, ricatto, vendetta e riscatto si accavallano tra tinte fosche e iridescenze impressionistiche: tutte rigorosamente orientali…
Bruno Elpis