La ragazza delle arance
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Eri tu un "papasitter"
Questo libro mi è capitato davanti per caso. Ho cominciato a leggerlo a causa della fama del suo autore: Jostein Gaarder, lo scrittore del famoso "Il mondo di Sofia", di cui ho tanto sentito parlare, pur non avendo ancora avuto l'occasione di leggerlo. All'inizio, devo ammettere, l'ho trovato un pò lento, come se stentasse a decollare, come se non ci fosse sufficiente materiale che colpisse il mio interesse. Ma poi è successa una magia, ha cominciato a coinvolgermi sempre di più. Una dolce fiaba, un racconto "delicato", parla di temi profondi in maniera leggera, con un linguaggio molto semplice, ma anche elegante. Mi è piaciuto tantissimo l'invenzione della lettera a due mani, scritta da padre e figlio, tra passato e presente, che riescono a comunicare a discapito dell'incommensurabile distanza di tempo e di spazio. E' un libro che mi ha commosso profondamente, che ha usato degli oggetti semplici, come le arance, come una colomba bianca, per spiegare dei concetti profondi e delle riflessioni interessanti: esiste un'arancia uguale a un'altra? Consiglio caldamente la lettura, non è semplice trovare un mix così ben dosato di riflessione, leggerezza, magia, fiaba.
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Che cosa è il tempo Georg?
Ho letto questo libro perché mi è stato consigliato da mio cugino che ringrazio.
Si tratta di un "libro nel libro" nel senso che il protagonista Georg scrive un libro che è poi quello che leggiamo noi, dove riporta una lettera scritta per lui da suo padre morto di malattia tanti anni prima e nel contempo la commenta in alcune parti.
All interno di questa meravigliosa lettera, viene raccontata la storia della ragazza delle arance, una storia vissuta dal padre di George, il quale con questa lettera vuole fare riflettere il figlio su vari punti fondamentali della vita.
Il tema centrale del libro é il Tempo.
Il tempo che è il bene più prezioso che abbiamo anche se spesso lo si dà per scontato.
Questo libro è una intensa riflessione sul "carpe diem", sul non dar mai per scontato il tempo, perché può finire improvvisamente.
Quando meno ce lo si aspetta ci può essere tolto così come ci è stato donato.
La scrittura è molto semplice e scorrevole, un libro che può essere tranquillamente letto in un giorno anche se io ne ho impiegati molti di più per impegni.Consiglio di leggero quando si ha effettivamente il tempo di assaporarlo per bene.
Ah, dimenticavo. Non dimenticate i fazzoletti!
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Lucky you !
Suo padre e' morto. Se ne e' andato stroncato da una malattia che non gli ha concesso deroghe, ancora giovane, vittima di un presagio di tanti anni prima. Lo ha salutato in una notte di stelle quando aveva solo quattro anni, un maglione caldo contro il freddo della notte e le lacrime di un papa' che imprime al figlioletto il primo ricordo consapevole di loro insieme.
Suo padre ritorna undici anni dopo, lo fa attraverso una lunga lettera con cui parla al ragazzo di un amore intenso ma anche dei dubbi e delle paure di un uomo, della bellezza ingenua della natura, del dolore nel doversi congedare dalla vita e dagli affetti per un viaggio verso l'ignoto.
Molto bello e toccante il contenuto, la penna non mi e' piaciuta in particolare nella prima meta' del libro, troppo ripetitiva sia nei vocaboli che nei concetti, logorroica e vacua.
Lo strumento del dialogo a posteriori tra il padre defunto ed il figlio vivente per mezzo dello scritto rinvenuto e' accattivante, pero' a mio avviso la tecnica e' incerta, poco abile e priva di eleganza, in particolare nei capitoli iniziali dove dovrebbe essere piu' incisiva e d'effetto.
Nella seconda meta' il testo diventa un poco piu' corposo, pero' ormai il danno e' fatto, nutro un'antipatia consolidata ed inevitabile che mi impedisce di emozionarmi come sarebbe opportuno.
In sintesi e' breve, semplice e veloce, di buoni propositi e di gradevole messaggio anche se, col senno di poi , non credo lo rileggerei.
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La ragazza delle arance di Jostein Gaarder
Questo romanzo è una storia d’amore, ma anche una riflessione sulla vita e sulla morte, sul destino che attende tutti noi e che non possiamo scegliere.
Quando Jan scrive questa lunga ed accorata lettera sa che la sua lotta contro il tempo è iniziata: è un medico e le malattie per lui non hanno segreti. Questa consapevolezza non rende, però, meno doloroso l’approccio con la morte.
E’ una bella riflessione sul senso dell’esistenza, sul motivo per cui veniamo al mondo, se alla fine perdiamo tutto quello che siamo riusciti a conquistare.
La storia è commovente: un uomo consapevole della sua fine imminente comunica con un figlio ipoteticamente già grande, che lui però tiene in braccio piccolo mentre scrive. Un figlio a cui cerca di trasmettere la sua serenità e che induce a riflettere sui misteri della vita, ponendogli domande a cui lui si sentirà in dovere di rispondere. Un figlio che tramite la lettera riuscirà a conoscere bene un padre che gli è stato strappato via quando lui aveva solo quattro anni.
È un libro scritto a quattro mani, in cui la narrazione di Georg si alterna alla lunga lettera del padre, che diventa per lui una lezione di vita, oltre che il racconto del suo passato.
Jostein Gaarder riflette sul significato più profondo dell’esistenza, costruendo un dialogo impossibile tra un padre consapevole di non poter vedere il proprio figlio crescere (che in punto di morte decide di scrivergli per lasciargli ricordi e insegnamenti, che altrimenti non gli avrebbe mai potuto dare) e un ragazzino, che non avrebbe mai creduto di conoscere il papà, dopo la sua prematura scomparsa. A distanza di anni, Jan Olaf riesce a comunicare al figlio i suoi interessi, le sue paure, le sue convinzioni. E con questa sorta di testamento che lascia a Georg, gli pone un importantissimo interrogativo: "Cosa avresti scelto se ne avessi avuta l’occasione? Avresti scelto di vivere per un breve momento sulla terra, per poi, dopo pochi anni, venire strappato da tutto quanto e non tornare mai più? Avresti rifiutato?"
Una domanda difficile cui Georg troverà, seppur con difficoltà, una risposta.
Un intreccio temporale e spaziale che rappresenta la metafora della vita, con le sue sorprese, le sue incognite, ciò che dà e ciò che toglie in quell’ineluttabile trascorrere del tempo che si chiama esistenza. Un inno alla vita, il “carpe diem” che cerchiamo con coraggio di afferrare, una mano che vuole sorreggere Georg, conducendolo lungo un percorso, spiegandogli quanto sia importante scegliere, non accontentarsi, non temere le difficoltà.
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La ragazza delle arance
“Non credevo mi avesse notato, ma improvvisamente alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e mi guardò dritto negli occhi. Così mi colse con le mani nel sacco, perché capì che era da un po' che la stavo contemplando. Mi fece un sorriso pieno di calore, e quel sorriso, Georg, avrebbe potuto sciogliere il mondo intero, perché se il mondo l'avesse visto avrebbe avuto la forza di fermare tutte le guerre e tutte le inimicizie del pianeta, o almeno di interrompere per lungo tempo l'uso delle armi.”
Le storie d'amore nascono così, per caso, come un fulmine al ciel sereno, come una botta in testa, come il temporale in una giornata di sole...l'amore non avvisa e non si presenta con dolcezza nella vita, ma irrompe con tutta la forza che possiede. Sta a noi non farcelo sfuggire, anche se all'inizio fa paura, ma ci sono paure più belle del coraggio. In amore non vince chi fugge, ma chi lotta fino all'estremo. L'amore è eterno e quest'eternità dipende solo dalla nostra forza di volontà.
In questo romanzo, “per amore” l'autore Gaarder intende tutto, soprattutto l'amore di un genitore, che imprime anche a distanza temporale, il ricordo di sé nel cuore del proprio figlio.
Questa incredibile ed eccitante storia narra quindi da un lato, l'amore tra un uomo ed una donna e dall'altro, l'amore di un padre verso il proprio figlio.
Georg ha quindici anni e conduce una vita tranquilla, finché un giorno trova una lunga lettera che suo padre Jan gli aveva scritto prima di morire. In questa lettera, Jan si confida con il proprio figlio, immaginandoselo già grande, e gli racconta la storia di una giovane con un sacco pieno di arance, da lui incontrata un giorno per caso, quando era ancora uno studente universitario, su un tram di Oslo. L'incontro non è per niente romantico, anzi, il nostro protagonista maldestramente fa rovesciare l'intero sacco della ragazza per terra, la quale, quasi indispettita, si allontana. Tuttavia ormai per Jan è un colpo di fulmine e decide di cercarla, trascorrendo i giorni successivi a chiedersi dove la misteriosa "ragazza delle arance" potesse trovarsi. Si rincontrano nuovamente in un bar dove si guardano intensamente per circa un minuto tenendosi la mano, ma l´atmosfera viene interrotta da un altro incidente del giovane, dopo cui la ragazza scappa via con le lacrime agli occhi, portando con sé il solito sacco di arance. Ma chi è questa misteriosa ragazza? Perché porta sempre le arance? Perché fugge via?
Georg rimane inizialmente turbato per questa lettera, tuttavia appassionandosi alla storia, prosegue nella lettura (che durerà molto tempo), scoprendo alla fine, che il racconto del padre è in realtà, esattamente ciò che è accaduto prima della sua nascita.
Grazie al suo stile, Jostein Gaarder riesce a coinvolgerci in questa storia d'amore circondata da un alone di mistero, ma che nasconde significati profondi. Chiave del romanzo è soprattutto la lettera che non è altro un'eredità, un modo come un altro per un padre di trasmettere a distanza i suoi pensieri, le sue emozioni ma soprattutto i suoi insegnamenti. Ecco che il protagonista usa le parole su di un foglio per ricordare al proprio figlio che nella vita non bisogna arrendersi, che avere dei sogni è già un'immensa ricchezza e che niente è impossibile.
”Sognare qualcosa d’improbabile ha un proprio nome. Lo chiamiamo Speranza”.
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La favola
Una lunga lettera di papà Jan al figlio di quattro anni, redatta poco prima di morire e volutamente nascosta dallo stesso. Viene trovata casualmente diversi anni dopo dai parenti e consegnata al destinatario ormai quindicenne.
Ma cosa contiene questo scritto? Una favola. Sì ma non una di quelle classiche che inizia con "c'era una volta" e si conclude con il lieto fine "e vissero felici e contenti". E allora di cosa parla? Della meravigliosa favola della vita, dell'esistere qui ed ora, del mistero della creazione, dell'enigma della morte - post morte. Di una ragazza bellissima, di un ragazzo innamorato, di un bambino amato, di una fine inaccettabile. Invita ad osservare ed assaporare perchè il caos quotidiano non permette più di soffermarsi a contemplare la bellezza della natura, dell'esistenza stessa su questa terra. I pensieri sono contaminati dai problemi e ciò che più dovrebbe stupire per la propria grandezza è dato per scontato.
Da dove veniamo e dove andiamo? Questo tormenta e affascina. Jan pone un dilemma a se stesso e lo lascia in eredità a Georg, è giusto venire al mondo, essere protagonisti di una favola (il dono della vita è già di per sè un evento magico ed incredibile) con la certezza dell'uscita di scena, alcuni con applausi ed altri con fischi? Se si potesse scegliere, voi cosa fareste? Alt, non rispondetemi subito, non ditemi che sapreste cosa fare così su due piedi, riflettete, non conoscete il futuro, immaginatelo, preventivate anche le disgrazie, mettetevi, per esempio, nei panni di Jan. Io sinceramente non so ancora decidermi. Lo so, sono domande popolari e storiche, l'uomo si interroga dalla notte dei tempi, ma fa un certo effetto se chi lo chiede è un papà in punto di morte che non si rassegna al proprio crudele destino e il quesito è rivolto al suo bambino, un bambino che cresce senza l'amore paterno, un adolescente che fatica a custodire i ricordi legati ai primi anni di vita con il padre.
Entra in scena, anche se in modo superficiale, la religione. Per i credenti c'è la mano di Dio ovunque, anche oltre la morte, per altri, come per il protagonista, il vuoto assoluto, un buco nero. E' solo fifa e speranza e nient'altro? ("Ma sognare qualcosa di improbabile ha un proprio nome. Lo chiamiamo speranza"). Non lo so, ma Jan forse si sarebbe congedato con sollievo invece che con rabbia e disperazione nutrite fino alla fine.
Una parola racchiude l'essenza di questo libro: commovente. Impossibile non provare tristezza, un nodo in gola difficile da sciogliere. Scritto in modo semplice e scorrevole. Breve ma intenso, si alternano le parole del papà ai commenti del figlio, un tuffo nel passato e un salto nel presente, pensieri adulti e reazioni adolescenziali già mature. In alcuni punti l'autore si prende la liberà di perdersi nei ricordi con Jan, abbandonato il lettore a se stesso, ma poco importa, il risultato non cambia.
Il titolo può forse ingannare ma il contenuto è fedele alle aspettative, non delude. Un saluto a tutti i papà, ovunque siano.
“Comincio a capire perché i fantasmi spesso gemano e ansimino da fare tanta paura. Non è per spaventare i loro successori. È solo perché soffrono indicibilmente a respirare in un’epoca che non è la loro. Non abbiamo soltanto un posto nell’esistenza. Ci viene assegnato uno spazio di tempo fatto su misura per noi”
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"cosa avresti scelto, Georg?"
libro in apparenza semplice, anzi la stessa storia lo è. ma il modo in cui questa viene raccontata e soprattutto ciò che l'autore decidere di cogliere, bè la rendono speciale.
lettera di un padre che non ha conosciuto il figlio adolescente, nel senso che è morto prima di poterlo vedere crescere, che decide attraverso questa lettera di raccontargli una storia, quella della ragazza delle arance. un amore nato per caso su un autobus, e che è cresciuto, che ha portato felicità,una vita insieme, raccontato nella maniera più romantica, delicata e allo stesso tempo disincantata e proprio per questo arriva dritta al cuore.
alla fine di questa lettera viene posta una domanda, il padre pone una specifica domanda al figlio Georg. domanda che cela un oceano di profonda disperazione,amore,paura,tristezza e tanta tanta consapevolezza.
domanda che porta a chiedersi le stesse cose,che colpisce per la sua consapevole profondità e brutalità e che porta irrimediabilmente ognuno a cercare le proprie personali conclusioni.
libro illuminante, consigliato assolutamente.
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UN RACCONTO EMOZIONANTE, UN LIBRO CHE FA RIFLETTER
Georg Røed è un ragazzo di quindici anni che vive a Humleveien assieme alla mamma, Jørgen, suo patrigno, e Miriam, la sorellina di sei mesi che la mamma ha avuto dal secondo marito. Il papà di Georg è morto undici anni prima lasciandogli in eredità la sua passione per l’astronomia. Tanto che il giovane ha appena finito di preparare una tesina sul telescopio spaziale Hubble Space Telescope, da presentare ai compagni di scuola. Non sono molti i ricordi che Georg ha del padre, la cui malattia e la conseguente scomparsa avevano segnato profondamente la famiglia, ma l’adolescente ha bene impressa una notte passata ad osservare le stelle in compagnia del papà, poche settimane prima del ricovero in ospedale.
La vita scorre tranquillamente per undici anni finché compare dal passato una lettera del padre e irrompe di prepotenza nella quotidianità del giovane Georg, fatta di scuola, amici, giochi, simile a quella di tanti suoi coetanei. Una sera i nonni paterni, che vivono in un’altra città, si presentano alla porta di casa e consegnano al nipote un pacco di fogli. Dicono di averli trovati per caso nella fodera del vecchio passeggino rosso di Georg, custodito in un ripostiglio. Appare chiaro, a questo punto, il motivo per cui il padre Jan aveva chiesto espressamente che quel passeggino non fosse mai buttato via. Una quindicina di fogli, un racconto, una lettera del padre della cui esistenza tutti erano all’oscuro. Una lettera per Georg che viene consegnata nelle sue mani perché nessuno la deve leggere, almeno, non prima che la legga il legittimo destinatario.
Quando il ragazzino si trova tra le mani la busta sigillata su cui c’era scritto semplicemente “Per Georg”, è colto da una serie di interrogativi:
«Non era la scrittura della nonna, e nemmeno quella della mamma o di Jørgen. Strappai la busta e tirai fuori un grosso mazzo di fogli. Sussultai, perché in alto sulla prima pagina c’era scritto:
Sei seduto bene, Georg?
È importante che ti trovi una posizione comoda, perché ora ti racconterò una storia emozionante ..
Mi girava la testa. Che cos’era? Una lettera di mio padre. Ma era autentica?
«Sei seduto bene, Georg?»
Mi sembrava di sentire il suo vocione, e non solo su video, ora sentivo la voce di mio padre come se fosse tornato di nuovo in vita e fosse seduto lì con noi in soggiorno. (pag. 13)»
La lettera è, dunque, un racconto, quello della “Ragazza delle arance”, una sconosciuta che suo padre aveva incontrato per caso su un tram di Oslo quand’era diciannovenne. L’aveva colpito il giaccone arancione perfettamente in tinta con il contenuto di un grosso sacco di carta che la ragazza reggeva tra le braccia: delle arance. In quell’occasione il giovane Jan fa di tutto per attirare l’attenzione della ragazza, con il risultato di apparire in tutta la sua goffaggine. Ma in quel preciso istante sa che deve incontrarla di nuovo.
Inizia la ricerca nei luoghi in cui il padre di Georg crede di poter trovare la ragazza delle arance. Qualche volta le sfugge, altre riesce ad avvicinarla. La rincorre anche oltre i confini della Norvegia ed ottiene da lei la promessa che non l’avrebbe mai lasciato.
È una storia d’amore ma anche una riflessione sulla vita e sulla morte. Sul destino che attende tutti noi e che non possiamo scegliere. Di certo Jan avrebbe voluto un epilogo diverso, avrebbe desiderato veder crescere quel figlio che era stato costretto ad abbandonare quando aveva meno di quattro anni.
Quando Jan scrive questa lunga ed accorata lettera sa che la sua lotta contro il tempo è iniziata. È un medico e le malattie per lui non hanno segreti. Ciò, tuttavia, non rende meno doloroso l’approccio con la morte.
«Devi sapere che si prova una sensazione di calore intenso sulla pelle a scrivere una lettera a un figlio che si sta per lasciare, e fa piuttosto male anche leggerla. Ma ora sei un ometto. Una volta che io sarò riuscito a fermare queste righe sulla carta, tu devi resistere a leggerle. Come hai già capito, vedo chiaramente che forse sto per staccarmi da tutto quanto, dal sole e dalla luna e da tutto ciò che è, ma soprattutto da mamma e da te. E’ la verità, e fa male.»
Il racconto si chiude con una domanda rivolta dal padre al figlio:
«Cosa avresti scelto se ne avessi avuta l’occasione? Avresti scelto di vivere per un breve momento sulla terra, per poi, dopo pochi anni, venire strappato da tutto quanto e non tornare mai più? Avresti rifiutato? (pagg. 163-64)»
Una domanda difficile cui Georg troverà, seppur con difficoltà, una risposta.
Lo stile di Gaarner è semplice, a tratti infantile, ricco di frasi piccole ma dense di significato. È, in definitiva, un racconto nel racconto in cui si distinguono i due piani narrativi: da una parte la lettera del padre, dall’altra il racconto del figlio che serve a contestualizzare la narrazione di Jan, a presentarci i luoghi e i personaggi del suo presente e quelli del passato. Un intreccio temporale e spaziale che rappresenta la metafora della vita, con le sue sorprese, le sue incognite, ciò che dà e ciò che toglie in quell’ineluttabile trascorrere del tempo che si chiama esistenza.
Il linguaggio si adegua al narratore: lo scrivere del padre è semplice perché in realtà non sa quando Georg avrebbe letto la storia della ragazza delle arance, anche se spera che abbia l’età giusta per caprine le sfumature filosofiche; la narrazione del figlio rispecchia la sua giovane età e le sue esperienze, non è, quindi, complessa o artificiosa.
Nel complesso la lettura è emozionante. Nella sua semplicità “La ragazza delle arance” è un piccolo gioiello narrativo che riesce a trasmettere emozioni forti senza rinunciare a decantare la bellezza della vita, anche quando essa non c’è più.
Un libro da non perdere.
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L'occhio dell'Universo
Nell'Universo, tra le stelle che ci hanno generato, aleggia impercettibile la magia della vita.
Gli astri splendono e dipanano luce, un incanto che permette agli uomini di sopravvivere.
Oltre l'atmosfera, filtrata dalle lenti dei telescopi, la mistica essenza vitale dell'Universo si condensa in immagini, qui, sulla terra. L'energia cosmica che ci ha generato fluisce in tutti gli esseri viventi.
E' lo spettacolo della vita, dei sentimenti degli uomini, è lo stupore di una nascita, è l'amore di un padre che scrive una lettera al figlio, ancora piccolo. Scrive una lettera per un bambino che crescerà senza di lui, inevitabilmente. Perché l'incanto finisce, la vita (forse) finisce. Il resto è l'oblio della morte.
Ormai quel bambino ha quindici anni, quasi sedici, è cresciuto e la lettera, come una macchina del tempo, fa riemergere il ricordo non solo di un padre scomparso, ma anche i una storia quasi incantata, di sguardi, sorrisi, parole accennate. La storia della Ragazza delle arance.
Il passato riemerge con semplicità, spensieratezza, i ricordi impressi sulla pagina sembrano concretizzarsi finché il sogno, la serenità tornano a spezzarsi davanti alla realtà e al destino ineluttabile.
E' la lettera di un padre che non vuole lasciare il proprio figlio, è lettera di un uomo che vuole vivere, è il messaggio d'amore di un marito per la moglie. E' la memoria non trascurabile della bellezza, dopo tutto, della vita. Delle infinite occasioni perse, di quelle colte, di quelle desiderate e di quelle impreviste.
E' un libro estremamente scorrevole e semplice, che tenta di indagare sul mistero della natura, sulla giovinezza, l'amore, l'amicizia, il dolore, il rimpianto, la delusione, le dolci follie. La disperazione, lo sconforto, la malinconia. Quel legame che c'è tra un padre e un figlio, quel legame che non ha nome, è soltanto lì, indissolubile. Temi accarezzati, con dolcezza, tenerezza, sempre appena sotto la superficie, in quel punto dove la profondità sembra qualche passo distante, e la superficie ti sorregge con una corda. E lì, sicuro, leggi pagina dopo pagina lo stupore della vita, nel bene e nel male, avvolto dall'incanto cosmico, con lo sguardo verso le stelle e i piedi ancorati al terreno.
Magari vicino ad un mercato, con l'odore di arance che riempie le narici.
Un libro per i figli, per invitarli a non sprecare il tempo, a riscoprire la meraviglia e pensare all'insondabile mistero dell'esistenza.
Un libro per i genitori, per riflettere sul loro ruolo, per ribadire la loro responsabilità.
E ora chiedo: è sempre meglio vivere, pur sapendo di dover morire e abbandonare ciò che si ha, oppure rinunciare a questa manciata di anni che ci viene concessa, sapendo di dover anche soffrire? Non è semplice rispondere, ma in fondo lo spettacolo di vedere la vita che nasce, è il miglior compenso.
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Delicato e profondo, da leggere!
Storia commovente sulla caducità della vita, sull'importanza di ogni singolo istante del nostro vivere, sulla bellezza dell'universo di cui siamo parte e sostanza. Un viaggio nella meravigliosa magia che ogni giorno tocchiamo e sentiamo, troppo spesso senza apprezzarla.
La lettura scorre veloce per il contenuto interessante e per lo stile fluido. Il tema trattato avrebbe meritato certamente più pagine.