La nostra folle, furiosa città
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Il volto celato
Londra. Non vuole pensare, Selvon. Non può concedersi errori, non può cedere alla tentazione di un sorriso. Alcun passo falso è ammissibile o concepibile. Ecco perché lo sport, per lui che è l’unico che non vive nei palazzoni delle case popolari, è fondamentale, è la sua valvola di sfogo. È solo tramite questo che può sopravvivere.
«Lo hanno chiamato terrorismo, ma il terrorismo non era mai stato così vicino. Avevamo assistito all’ascesa della follia, tipo con la signora con l’hijab ferita in quel parcheggio a Bricky, o quando avevano accoltellato Michael a North, ma la crescita esponenziale c’è stata soltanto dopo l’omicidio del soldatino.»
Ardan con le sue piastre scritte nel silenzio, Ardan che abita in quei palazzoni e che è un invisibile. Sbaglia, cade, erra, ma mai si ferma. E sempre tra quei complessi tutti uguali e lasciati a loro stessi vive anche Caroline reduce dalla perdita di quell’unico grande amore.
«La violenza ha costruito questa città. Per quelli che ci vivono, che ci sono nati e cresciuti, la violenza è un fratello maggiore.»
E c’è Yusuf, orfano del padre Imam da un anno e tre mesi, che osserva. Osserva la perdizione di quel fratello non presente. È lui la voce narrante che ci conduce per quelli che saranno i temi principali del racconto, primo tra tutti il razzismo. Perché la capitale anglosassone non è quel luogo idilliaco in cui vivere che viene dipinto nell’immaginario collettivo, forse non lo è mai stato. E loro che sono immigrati, che sono gli emarginati, lo osservano e vivono ogni giorno che passa. Essere di religione musulmana complica ulteriormente lo status soprattutto da quando si è reso necessario il cambiamento obbligato della guida spirituale. Da allora il mutamento non è stato ben percepito né dalla popolazione circostante che lo ha vissuto come un estremismo né per quella interna al credo che è stata trainata dalla deriva. Selvon sarà uno degli spettatori che vi assisteranno e che ne subiranno le conseguenze, direttamente o indirettamente.
Ma c’è anche Nelson che è infermo sulla sua sedia a rotelle, che è innamorato della sua Masie, che è afflitto dalle preoccupazioni per quel figlio che è per la strada. È timoroso, l’uomo. È preoccupato per la deriva razzista, è preoccupato per quella città che cambia. È preoccupato perché lui per primo da giovane e prima dell’incidente era incazzato con il Mondo e pronto a tutto per tirar fuori la sua rabbia radicata. Ma erano altri tempi. Adesso ha solo il ricordo, un ricordo che arriva come un eco, un ricordo che con le sue stilettate è dolorosissimo.
È estate e questa per i vari personaggi si traduce in una libertà fatta di primi amori, amicizia e calcio. Perché loro sono legati da un sentimento di fratellanza, l’unico vero punto fermo in quel mondo che è pronto a esplodere e che di fatto esplode a seguito dell’uccisione di un soldatino bianco per mezzo di un ragazzo di colore. Ciò ha l’effetto di un ordigno la cui onda propulsiva è tale da riportare a galla l’odio, la discriminazione e tanti preconcetti. Tuttavia, per quanto cerchino di restarne fuori, l’inevitabile accade e i giovani vengono travolti in una spirale senza freni. Quel mondo che implode su se stesso, li schiaccia, e non manca di ricordargli quanto siano estranei a quella realtà in cui vivono, quanto siano stranieri in quella nazione. Anche se diversi dai terroristi, anche se diversi dai fanatici religiosi, anche se lontani ed estranei dai puristi e dai nazionalisti, l’onda d’urto non li risparmia. Al contempo il dilagare del radicalismo musulmano si mostra per la sua pericolosità millantando di trascinare con sé Irfan, il difficile fratello di Yusuf. Un piccolo uomo che è tornato a casa con gli occhi scavati e pieni di vergogna, che è diventato in poche settimane un’ombra, un ragazzo abbandonato nella sua camera, drogato di pillole e ammutolito dalla preghiera. Irfan e i guardiani muhaji, Irfan e quel messaggio vocale. Irfan e quella vita spezzata. Chi può salvarli?
«Ma ora conosco questa città e la sua malattia di violenza e la cattiveria del suo modo di vivere. Queste cose arrivano con rotture nette che non fanno distinzioni. Era la furia. Orrore avvolto nell’orrore. Violenza destinata a trascinarsi per secoli, questo l’ho sentito sia in moschea sia dai teppistelli in giro per strada.»
Con “La nostra folle, furiosa città” Guy Gunaratne fa il suo esordio in libreria con un titolo che non manca di scuotere gli animi e di indurre alla riflessione. A uno stile rapido, fluido che si conforma al mutare della voce narrante, essendo quello proposto un romanzo corale in piena regola, si affianca una storia vivida e di gran attualità. I fatti proposti sono il perfetto scatto della nostra epoca.
Egli ci invita, per mezzo dei suoi eroi, a chiederci perché. E così, battuta dopo battuta, siamo rapiti e spezzati da quella città sotterranea che si contrappone al volto di quella capitale apparentemente aperta al mondo esterno.
Il risultato è quello di un elaborato che riesce a sedimentarsi nel cuore, che coinvolge e conquista per la sua essenza, che smuove le corde più intime del lettore.
«Cos’altro dovrei fare? Mentre corro mi ritrovo a guardare il cielo. Vedo quei merli fra le nuvole. Prima non avevo mai corso per qualcuno. Adesso però corro per lui.»