La nausea
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Paura di esistere
Sulla scia filosofica dell'esistenzialismo e nichilismo prende forma un romanzo controverso che ha fatto del mistero la sua cifra distintiva.
Mistero. Un sostantivo quest'ultimo che Sartre non utilizza mai, eppure rappresenta la cerniera tra le varie ideologie e correnti di pensiero che l'autore francese ha scomodato in questo libro da cui è nato il "caso Sartre" alimentato anche, se non sopratutto, dalle tematiche de 'Il Muro’, altra opera dello scrittore.
L'universo de "La Nausea" sono l'angoscia e gli interrogativi sull'esistenza che Roquentin, l'infelice protagonista, si pone in modo ossessivo senza però cercarne la risposta. La scoperta, l'accettazione e l'immediata rassegnazione che seguono lasciano il lettore perplesso perchè tutto appare assurdo. Ma è esattamente ciò che Sartre professa: si prenda coscienza di se stessi. Una volta che questo è stato realizzato, va accettato. Fine.
Nient'altro. Non serve lambiccarsi il cervello per ricercarne la risposta, non serve viaggiare in lungo e in largo per imbattersi in un indizio rivelatore, non serve interrogarsi ulteriormente.
Che rimanga tutto nel mistero!
Ed è in questo circolo vizioso, monotono e perseverante di continua scoperta di sè stessi e dell'esistenza, ma -al contempo- di continuo rifiuto nel trovare un senso a tutto questo, che nasce la Nausea.
"E' dunque questa la Nausea: quest'accecante evidenza? Quanto ne ho scritto! Ed ora lo so: io esisto -il mondo esiste- ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi è indifferente. [...] Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è allora che è incominciato; ho sentito che esisteva. E dopo ci sono state altre nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi dentro la mano"
Nietzsche approverebbe: il personaggio creato da Sarte segue anche i suoi dettami. Un uomo che sceglie di non maturare, sceglie di non credere, ma semplicemente s'accorge di esistere. E in questa consapevolezza si dischiude la sua più grande paura che però è anche il suo più grande desiderio: essere libero. Non sa come comportarsi in un mondo che gli appare misterioso come la vita stessa la cui ragione è ridotta a una sola donna, il cui rapporto è anch'esso ambiguo e poco chiaro.
Amore? Amicizia? Semplice empatia? Non ci è dato saperlo.
E d'altro canto sarebbe stato strano il contrario.
Con uno spregiudicato uso della punteggiatura, i punti e virgola che si susseguono come briciole di pane o i due punti che ritrovi a distanza di poche parole, Jean Paul-Sartre ci conduce in un tortuoso e faticoso viaggio attraverso la psiche umana che non è altro che la sua visione della realtà. Filosoficamente parlando.
L'ontologia dell'uomo fintanto dell'esistenza stessa sono materie troppo complesse per potersi esaurire in un libro anche se l'autore si chiama Jean-Paul Sartre, un pensatore che ha arricchito la storia francese e culturale dell'occidente con un pensiero acuto anche se spesso pessimista e indifferente nei confronti della vita -come i suoi personaggi- al punto da rifiutare il Premio Nobel assegnatogli.
L'esaltazione del pessimismo rende questo libro tutto fuorchè esaltante. L'obbiettivo non è rendere il racconto fruibile o piacevole. No, l'obiettivo è suscitare in noi quelle risposte e quell'indagine che Roquentin solletica, salvo poi dichiararsi "indifferenti" in nome di quel nichilismo e anarchismo che tanto affascinava Jean-Paul Sartre.
Per noi dunque -in un modo o nell'altro- è impossibile rimanere indifferenti.
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Questa vita...un senso non ce l’ha
Psicosi di altri tempi, ma sempre attuale.
Questo è il classico libro verso cui trovi la popolazione dei lettori spaccata a metà: “La nausea” è un libro osannato, amato soprattutto dai giovani e considerato deprimente e noioso per chi è già nel mezzo del cammin della sua vita.
Io, che non sono più giovane, ma non ancora di mezza età, posso dire di inserirmi a metà strada. E non sempre in medio stat virtus, purtroppo.
Ho faticato ad apprezzarlo, a capirlo nella prima metà, dalla seconda in poi l’ho divorato. Se non avessi avuto sincera curiosità verso l’autore e se il libro fosse stato scritto in maniera poco scorrevole, può darsi che lo avrei interrotto per riprenderlo alle calende greche, vista la mole e la quantità dei libri presenti nella mia wish list.
Ormai non permetto più al rispetto che nutro verso un libro od un autore importante, di divorare il poco tempo della vita che posso dedicare ai tanti libri stupendi che mi aspettano ancora. Ma “La nausea” va letta, è un manifesto di poetica, è una dichiarazione di solitudine, di follia pura e allo stesso tempo di allucinante realismo. Una scrittura fluida, scorrevole, con la giusta dose di immagini, di detto e non detto.
È il romanzo della rivelazione dell’Assurdo, di kafkiana memoria, del non senso della nostra esistenza, dell’impossibilità di giustificarla. In un mondo dove non c’è la fede in Dio, il protagonista Roquentin ammette che anche le sue azioni sono prive di significato. Un’opera filosofica, ma anche autobiografica, legata al profondo momento di crisi personale di Sartre. Un romanzo che si può definire anche sperimentale vista la mutazione continua di linguaggi e registri stilistici che vanno dal diario al monologo interiore, alla meditazione filosofica.
Un’opera “densa”, dunque, dove campeggia anche una forte critica sociale, una satira contro i conformisti piccolo borghesi (Porcaccioni, nel testo, invettiva sociale del Salaud).
Sartre, come tanti autori prima di lui, usa l’espediente del manoscritto, finge di aver trovato il diario di un certo Roquentin, studioso di un gentiluomo scaltro del secolo precedente, Rollebon. Concomitante alla lettura delle imprese più o meno immorali di quest’ultimo, uno strano malessere parte in sordina per trasformarsi in veri attacchi di panico che lo assalgono e si impadroniscono, quasi come un demone che possiede un corpo. Lui chiama questo male di vivere “la nausea” e giorno per giorno trascrive nel diario le sue impressioni e i momenti di pausa da questo terribile male. Queste pause sono “le avventure” , i “momenti perfetti”, istanti in cui nella armonia delle perfezione della casualità, delle coincidenze, nelle note musicali, o nei colori si dimentica di se stesso, diventa più forte della consapevolezza che nella vita nulla ha senso.
Nella vita non c’è qualcosa che abbia senso, tutto è volto alla distruzione, al perire, allora che senso ha? L’ipocrisia delle persone intorno a lui, che senso ha? celare la realtà a cosa serve?
Roquentin sembra possedere una sorta di veggenza, un dono, riesce a vedere la bruttezza al di là delle fattezze delle cose e delle persone che diventano semplici ammassi di carne.
“Io vedo l’avvenire. È là, posato sulla strada, appena un po’ più pallido del presente. Che bisogno ha di realizzarsi? Che cosa ci guadagna? (...) questo è il tempo, né più né meno che il tempo, giunge lentamente all’esistenza, si fa attendere, e quando viene si è stomacati perché ci si accorge che era già lì da un pezzo”.
Sartre ha lavorato tantissimo su quest’opera, il progetto risale al 1925, ma il romanzo vede la pubblicazione solamente nel 1937, presso l’editore Gallimard. La revisione del testo ha portato ad una soppressione dei passaggi definiti allora più scabrosi. Rimane però con tutta la sua impressionabile forza la “scena” dello stupro e dello strangolamento della piccola Lucienne, che lui aveva previsto incontrandola presso il cancello dei giardini pubblici, attratta ed impaurita allo stesso tempo dall’uomo grassoccio che le sorrideva con una pellegrina addosso. In seguito alla notizia della morte della ragazzina partono delle pagine di una assurda morbosità che intrappolano il lettore in una spirale quasi ipnotica, straniante con tratti disgustosi. Si ripetono le stesse parole, in modo concitato, ipotattico. Lo assale anche la Nausea, sente molliccio, attaccaticcio ovunque, la camicia gli si attacca alla schiena, sente in bocca sangue e saliva, corre per strada come un matto, desiderio e disgusto si uniscono e lottano dentro di lui.
La Nausea ha l’essenza del grasso, dell’unto, del molliccio e dell’umido fastidioso. Più in là, quando le crisi si ripresenteranno ad intervalli più brevi, Sartre la descriverà con più dettagli. Ma sembra che anche la parole siano inadeguate ad esprimere il profondo disgusto verso l’esistenza, verso se stessi. Per Sartre anche la parole sono “carcasse”, sono consunte, come gli affetti e come le sensazioni: ecco quindi frasi lasciate a mezzo, parole troncate a mezzo...artigli stagliati verso il vuoto che ci circonda. Pupille cieche e biancastre che non vedono né possono comunicarci emozioni.
Indimenticabile e curiosa è la figura dell’Autodidatta, per certi versi alter ego di Sartre, per la sua mania di leggere ed imparare tutto lo scibile divorando i libri della biblioteca in ordine alfabetico uno dietro l’altro, tuttavia non un vero e proprio interlocutore di Roquentin poiché non potrebbe mai comprendere e vivere il suo Male.
Degni di nota come personaggi del romanzo sono il compositore ebreo e la cantante di colore che interpreta la canzone da lui scritta, “Some of these days”: anche se reietti ed emarginati, sono “positivi” poiché vicini al protagonista, non integrato nella società anche lui e gli offrono l’arte come “salvataggio” dalla Nausea, una alternativa alla disperazione ed alla follia.
Un romanzo veramente complesso, da leggere solo se spinti da forte curiosità e motivazione.
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Non è un libro “rilassante” per far passare il tempo, ma un romanzo complesso è molto ricco di tematiche interessanti. Si gusta adagio.
Struggente, ma estremo
Non è un libro di facile lettura, questo. A volte potrà generarvi la stessa sensazione descritta nel titolo. Non per la sua bruttezza, certo, ma in quanto espone idee che al solo pensare che possano essere veritiere, viene la pelle d'oca.
Il pensiero filosofico di Sartre viene fuori prepotentemente da queste pagine, soprattutto quello che poco tempo dopo l'uscita de "La nausea" darà vita alla nuova corrente di pensiero dell'esistenzialismo, di cui lo stesso Sartre sarà uno dei grandi esponenti.
Quello del protagonista Antonio Roquentin è un vero e proprio profilo psicologico; dettagliato e reso ancor più profondo dalla narrazione in prima persona fatta dallo stesso Roquentin. I suoi pensieri sono un fiume in piena: pensieri tetri, pessimisti, totalmente concentrati sull'inutilità dell'essere vivi. Roquentin trascina se stesso in una vita sempre uguale e questo lo disgusta, e non riesce a capacitarsi di come gli altri esseri umani possano farselo andare bene.
Antonio Roquentin vive in uno squallido albergo a Bouville, vicino alla ferrovia. Conduce la sua esistenza in giorni sempre uguali, ripetendosi nelle medesime occupazioni. Sta scrivendo un libro storico su un avventuriero del XVIII secolo, tale signor de Rollebon, e questa sembra essere l'unica cosa che lo spinga a proseguire nel suo tribolato percorso che è la vita.
I suoi giorni si succedono sempre uguali a se stessi, sempre occupato nelle stesse cose negli stessi luoghi: in albergo scrive le sue righe; in biblioteca studia; in un bistrot passa il suo tempo libero a mangiare, lontano da tutti, ascoltando sempre la stessa canzone. Roquentin è irrimediabilmente solo, ma sembra essere una sua deliberata scelta. Ogni cosa lo disgusta per la sua dannata ostinazione all'esistere; per questo egli odia anche se stesso, e nemmeno la morte potrebbe liberarlo di questo fardello, perché sottoterra anche le sue ossa continuerebbero ad esistere, ingombrando la scena di questo universo che non è altro che un agglomerato insopportabile d'esistenza. Anche il pensiero del "nulla" esiste, e al diavolo anche quello.
Eppure Roquentin, nonostante la giovane età, ne avrebbe di cose per cui essere contento, esperienze che possono aver arricchito quell'esistenza che odia tanto: ha girato per il mondo, vissuto avventure che andrebbero raccontate con orgoglio. Tuttavia, per lui un'avventura cessa d'essere tale nel momento in cui si abbandona a quella melma indistinta che il passato, in cui tutto annega e nulla può essere recuperato. Nonostante dia al passato quasi meno valore di quello che da alla sua vita, in fondo Roquentin vi è legato; il suo passato ha un nome: Anny. Peccato che Anny non possa salvarlo; peccato che anche la donna che amava sia colpita dal suo stesso male e che sopravviva a se stessa proprio come fa lui, ma lontano mille miglia.
La vita è qualcosa di tetro e gli uomini si trascinano come fantocci nelle loro faccende, nel migliore dei casi convinti di star vivendo una vita degna. Roquentin/Sartre non lascia un barlume di speranza, né per se stesso né per gli uomini.
O forse sì?
"Di colpo esistevano, e poi, di colpo, non esistevano più: l'esistenza è senza memoria; di ciò che scompare non conserva nulla - nemmeno un ricordo."
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IL FILOSOFO E LO SMOKING: LA PRIGIONE DELLA FORMA
Jean Paul Sartre, almeno stando alle sardoniche parole di André Maurois, non accettò il premio Nobel per la Letteratura “perché incapace di indossare uno smoking”: una personalità magmatica e controcorrente come quella del filosofo avrebbe potuto soffocare in un elegante abito da sera. Sartre, in effetti, temeva di poter diventare un simbolo, temeva che la sua vita potesse essere sublimata in un puro concentrato di forma e convenzione: “Non voglio essere letto perché Nobel, ma solo se il mio lavoro lo merita” dichiarerà.
Il viluppo di forme, immagini e schemi con cui gli uomini imbrigliano l’esistenza per trarne conforto, da cui il filosofo ha sempre cercato di sfuggire, è la grande maschera che viene a cadere nella sua opera letteraria; è ne La Nausea (1938) che, in particolare, Sartre proietta sulla figura dello storico Antoine Roquentin le sue inquietudini, le sue turbe e le sensazioni provate che scaturiscono direttamente dall’estraneità della forma e dalla rivelazione dell’esistenza, crudo e grigio sostrato, che come la gobba di un mostro marino emerge silenziosa e indistinta dalle acque serene dell’illusione a indicare qualcosa di terribile, ma vero.
L’esistenza si rivela gradatamente, come un timido fiore marcescente che diffonde pian piano, schiudendo la corolla, il suo disgustoso olezzo: Roquentin ne fa esperienza soltanto dopo essere riuscito a capire in profondità la Nausea che lo affligge sin dalla prima pagina dell'opera, che si configura come un diario, o meglio come un auto-referto di una malattia dell’animo.
La Nausea è un metafisico senso di disgusto che accompagna Roquentin ogni volta che concentra la sua attenzione su un oggetto (si tratti di un sasso, di un foglio di carta o di una forchetta): egli si accorge che sempre più spesso la trappola dei sensi e delle idee con cui cerca di catturare gli oggetti, la coscienza, va in tilt, fallisce nel suo slancio di conoscenza, o meglio di “falsificazione”, e gli oggetti non fanno altro che approfittarsene trasfigurandosi a loro piacimento, ammantandosi di forme disgustose e viscide.
“È dunque questa, la Nausea: quest’accecante evidenza? Quanto mi son lambiccato il cervello! Quanto ne ho scritto! Ed ora lo so: io esisto – il mondo esiste – ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto” scrive Roquentin.
Nel romanzo sembra innescarsi un processo simile a quello che coinvolge il protagonista de La Metamorfosi di Kafka: ma se lì era il protagonista a far emergere fuori da sé una forma inaccettabile per i suoi familiari, simbolicamente espressa dal suo esoscheletro, qui è l’altro, il mondo (quello che in Kafka è rappresentato dalla famiglia) che assume forme inaccettabili per la trascendente coscienza del protagonista, che s’arrende allo sfilacciarsi del senso.
Ma presto anche Roquentin si trasforma kafkianamente: “Guardano la mia schiena con sorpresa e disgusto; credevano ch’io fossi come loro, che fossi un uomo ed io li ho ingannati. D’un tratto, ho perduto la mia apparenza d’uomo ed hanno visto un granchio che fuggiva a ritroso da quella sala così umana”.
Roquentin si è spogliato dello smoking della forma, si scopre egli stesso Nausea. Il sicuro contorno che delimita gli oggetti si spezza, tutto è assurdo e contingente, Roquentin affronta la visione dell’esistenza, che sguscia fuori gli involucri della forma: “La radice del castagno s’affondava nella terra, proprio sotto la mia panchina. Non mi ricordavo più che era una radice. Le parole erano scomparse, e con esse il significato delle cose, i modi del loro uso, i tenui segni di riconoscimento che gli uomini han tracciato sulla loro superficie […]; la radice, le cancellate del giardino, la panchina, la rada erbetta del prato, tutto era scomparso; la diversità delle cose e la loro individualità non erano che apparenze, una vernice. Questa vernice s’era dissolta, restavano delle macchie mostruose e molli in disordine, nude, d’una spaventosa e oscena nudità. Eravamo un mucchio di esistenze impacciati, imbarazzati di noi stessi, non avevamo la minima ragione di essere lì, né gli uni né gli altri, ciascuno esistente, confuso, vagamente inquieto, si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto che io potessi stabilire tra gli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli”.
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Nell'arte la salvezza di Roquentin
“La nausea” di Jean Paul Sarte, pubblicato nel 1938, è un romanzo filosofico. Esso infatti altro non è che il mezzo artistico attraverso il quale l’autore espone la sua teoria e la sua interpretazione dell’esistenzialismo. Si tratta di un romanzo complesso, strutturato come un diario, in cui il protagonista, Roquentin, giovane intellettuale, racconta con dovizia di particolari la sua vita quotidiana in una città di provincia, Bouville. È l’inconciliabilità tra il suo io e il mondo esterno che genera in Roquentin una profonda crisi esistenziale. Egli avverte l’assurdità e l’estraneità di tutto ciò che gli sta intorno: l’avverte nelle azioni ripetitive che compie quotidianamente, nelle persone che incontra e con le quali stabilisce contatti superficiali e transitori, nei luoghi che frequenta e nei quali trascorre gran parte del suo tempo. Roquentin ci conduce nella biblioteca cittadina in cui conosce l’Autodidatta, personaggio straordinario, ricco di umanità, relegato ai margini di una società discriminatrice e omofoba, l’unico con il quale il protagonista riesce a fare una conversazione di un certo livello culturale, sia pure di breve durata. Ci conduce poi nel Ritrovo dei ferrovieri, dove viene a contatto con una borghesia mediocre, di cui descrive l’aspetto e gli atteggiamenti. L’esperienza psicologica che ne deriva genera in lui quella che egli definisce come “nausea”, come ,cioè, il risultato di una acquisita consapevolezza dell’inutilità dell’esistenza dell’uomo. La nausea nasce dunque dal conflitto tra l’essere e il nulla, tra l’io pensante e il resto del mondo, e non è un caso che lo stesso Roquentin citi Cartesio : “Quando avevo vent'anni mi sborniavo e poi spiegavo che ero un tipo sul genere di Descartes.” Cartesio, dunque, il cui pensiero è alla base dell’esistenzialismo, con la sua distinzione tra “res cogitans” e “res extensa” è costantemente presente in questo romanzo.
Ecco infatti il pensiero di Roquentin : “ Sono, esisto, penso dunque sono; sono perchè penso, e perché penso? Non voglio più pensare, perché penso che non voglio più pensare, sono perchè penso che non voglio essere....” E più avanti: “ Sorge la casa, esiste; ......davanti a me il muro esiste...le cose esistono le une contro le altre...” E poi nelle parole rivolte all’Autodidatta : “ Penso che siamo tutti qui a bere e a mangiare per conservare la nostra preziosa esistenza e che non c'è niente, nessuna ragione di esistere.”
Eppure attraverso la compilazione del suo diario, Roquentin giunge gradualmente alla conoscenza di sé e alla consapevolezza di essere mosso dalla volontà di superare la nausea che lo attanaglia e dare uno scopo alla propria vita. Un cammino verso l’impegno, dunque, che vuole essere impegno civile, politico e artistico. In questa prospettiva sono estremamente significative le ultime pagine del romanzo, nelle quali Roquentin abbandona il suo lavoro di biografo storico e decide di dedicarsi alla scrittura di un romanzo, perché è solo attraverso la creatività dell’arte che l’intellettuale può sperare di dare un senso e di mettere ordine nel caos della propria esistenza.
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Le tre del pomeriggio
Dormire, svegliarsi, scrivere, osservare, bere, ascoltare musica, dormire.
Questa è la routine della vita di Antonio Roquentin, uomo che sarà presto invaso da una sensazione: la Nausea. Nausea che assale corpi che si muovono secondo automi dettati dalla quotidianità. Nausea che si appropria di animi sottrattisi al pensiero, la più pura essenza umana, in nome di un inconsapevole "divertissement" di pascaliana memoria.
La Nausea si manifesta nel momento in cui si assume profonda consapevolezza dell'elemento apparentemente più scontato con cui l'uomo crede di aver a che fare e perciò trascurato, ovvero l'esistenza. Prender consapevolezza dell'esistenza, infatti, implica un intimo contatto con la sconcertante assurdità dell'esistenza stessa, che sopraggiunge in modo per noi incontrollabile, segue regole insite nella sua natura cui dobbiamo inspiegabilmente sottostare, ma pretende di svolgersi secondo il nostro arbitrio limato da vincoli sociali contrastanti. Un motore ignoto determina lo scorrere del mondo in modo apparentemente casuale, il che è ben reso dal ritmo disarmonico della narrazione, che alterna capitoli brevissimi ad altri ben più estesi, giornate più lente a giornate che passano impercettibilmente senza lasciar segno, a riprodurre il ritmo vitale in cui tutti siamo coinvolti. Tutto sfugge al controllo, compresi sentimenti che dovrebbero unire e invece finiscono per dividere ulteriormente solitudini inspiegabili che si incontrano e flirtano per poi separarsi.
Di qui il senso di Nausea nel prendere coscienza del fatto che la vita non è un concetto astratto, ma una realtà concreta, immanente, che scorre nel nostro corpo e che pulsa nel mondo circostante. Una presenza così forte e in sé sconvolgente da risultare insopportabile a chi ha coscienza delle sue contraddizioni. In particolare, il contrasto tra la volontà di autodeterminarsi e la consapevolezza di non essere autodeterminato catapulta l'uomo in una spirale che termina nell'abisso. L'uomo consapevole vive in bilico tra l'assurdo e la sua negazione, tra la verità intuita e quella percepita (o meglio, che si vuol percepire), tra la propria natura e la negazione di sé in nome del "vivere felice". Conoscere la vita porta a disprezzarla, viverla porta ad apprezzarla. Meglio la verità o la felicità?
È l'abisso reso con la geniale immagine delle tre del pomeriggio, che rappresenta la condizione esistenziale cui si perviene inevitabilmente a causa della Nausea da conoscenza dell'assurdo: alle tre del pomeriggio è troppo presto o troppo tardi per fare qualsiasi cosa.
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La vita è un gioco a perdere
Inizio con una massima: la vita è un gioco a perdere. Quando nasci fra le cosce di tua madre come 'Jean-Paul-Charles-Aymard' e ti ritrovi ad essere fra le cosce del mondo quel 'Sartre', il più impegnato fra gli strabici, la massima in questione varrà comunque anche per te. Si potrebbe convenire che in questa ottica universale la sostanziale differenza risiederà esclusivamente nell'atteggiamento che ciascun individuo -conscio preventivamente dell'inesorabile sconfitta- opporrà alla propria esistenza, e offrirà al proprio gioco.
Sartre (1905-1980) coglie un frutto acerbo e attraverso La nausea (1938) si serve della forma narrativa del diario per iniziarne il lungo processo di maturazione. Così Antoine Roquentin, protagonista e voce narrante del diario-romanzo, diviene portatore di un proto-esistenzialismo che troverà maturazione parossistica nel saggio filosofico L'essere e il nulla (1943), l'opera che renderà Sartre il maggiore esponente dell'esistenzialismo francese e uno dei più importanti pensatori del XX secolo.
La trama superficiale di questo denso romanzo potrebbe così riassumersi:
Nella fittizia Bouville lo scrittore rosso di capelli Antoine Roquentin lavora a due iscritti contemporaneamente: una tesi storica sul marchese di Rollebon e un diario personale.
Quello che tuttavia eleva La nausea a capolavoro della narrativa novecentesca è celato in profondità, e la maestria di Sartre risiede nel rivelare con apparente naturalezza quanto oscura sia tale profondità. Antoine Roquentin è malato, il suo male è una psicopatologia viscerale che egli stesso ha battezzato come Nausea. Come lui ogni altro individuo passato, presente, futuro ne è inconsapevolmente afflitto: dietro la Nausea si cela l'Esistenza o meglio la coscienza di esistere. Le nausee incurabili di Antoine scandiscono i rituali del suo quotidiano vivere immerso fra la gente (sempre osservata e analizzata), sommerso dalla città (un vivo e opprimente labirinto), disperso nei caffè (tra una vivanda e la consolazione di un ragtime). La nausea è incurabile ma rivelatrice: squarciando il velo delle apparenze mostra al protagonista una totale libertà, libertà che però conduce inesorabilmente alla nauseante comprensione di esistere. Il lettore è chiamato a riflettere: durante la nausea è Roquentin a cambiare la propria essenza o il mondo che si trasforma intorno a lui? Nel susseguirsi delle giornate assistiamo al racconto poetico e filosofico di una lotta, quella fra l'uomo e il mondo, fra interno ed esterno, fra soggettività e oggettività, fra l'Essere e il Nulla. A fare da sfondo a questo inesauribile conflitto vi sono la scrittura (strumento dentro al quale il protagonista si nasconde e dietro al quale forse scorgerà una via parziale di salvezza), l'amore per una donna che si è persa ricercando dei "momenti perfetti" e che adesso soltanto si sopravvive, e una quasi-amicizia con un umanitario socialista che si accultura da autodidatta scegliendo gli autori in ordine alfabetico. Quella che poi potrebbe apparire una distaccata critica alla società dei "porcaccioni" (metafora dell'uomo che ignora di esistere il quale avviluppato dalle illusioni e dalle abitudini non afferra l'esistenza ma si lascia pervadere da un simulacro ignorando ciecamente il vero) è in realtà la rivendicazione di un pessimismo universale, all'interno del quale la suddetta verità -ignorata da molti- è la semplice consapevolezza che l'esistenza è retta da una totale assenza di senso. («Ogni esistente nasce senza ragione, si protrae per debolezza, e muore per combinazione»). Non esistono avventure se non per iscritto, esistono solo vuoti accadimenti, e così le fugaci sensazioni di felicità provate dal protagonista -sempre secondarie alla potenza rivelatrice delle nausee- mostrano il peso dell'esistenza, un peso che affascina ma sotto al quale l'intelletto dell'uomo è destinato a perire. L'unico risultato dell'incontro-scontro tra Soggetto e Oggetto è quindi la somma di esistenze insignificanti, l'unica sensazione avvertibile -scrive Sartre- è una lieta malinconia, malinconia che nasce dal sorriso beffardo e complice di quei pezzi di esistente che si sono misteriosamente rivelati. Sono esistenze che rivelano il proprio esistere a partire dalle cose: da un sasso, da un volto, da una mano, da un albero, da un movimento, da una macchia di sole, dalla materialità del tutto che invade e opprime colui che ha percepito la rivelazione, il nauseato irriso.
Abbassandomi a toni meno formali posso recensire il romanzo dicendo che le parole di Sartre riescono a scoraggiare qualunque “scrittore o scrittrice del proprio diario”, e che, le medesime parole, riescono a rendere fruibili (in anticipo) tutta una serie di problematiche che affliggono l'uomo contemporaneo e riempiono le sale d'attesa di psicologi e psicoterapeutici oggi. Personalmente mi sono infatuato di questo romanzo scorgendovi (attuando quella che Umberto Eco ha definito come intentio lectoris) un'interessante chiave di lettura filosofica per i disturbi d'ansia in genere e per quelli di panico in particolare.
La struttura del romanzo rivela fin dalle prime pagine un ritmo sostenuto, quasi profetico, rallentando nella parte centrale mostra solo in brevi tratti alcuni passaggi leggermente contorti. Consiglio la lettura del romanzo soprattutto a lettori pazienti, ma gli scettici e i timorosi dovrebbero metterlo -e mettersi- alla prova. Io l'ho apprezzato soprattutto per lo spessore filosofico che -come la mia recensione ha tentato di esplicitare- regge l'intera opera, tuttavia tale spessore è supportato da una brillante aggressività argomentativa; dalla sensibilità poetico-narrativa di Sartre spesa nelle fascinose descrizioni di dimensioni esteriori e introspettive (l'altro apice qualitativo del romanzo); dalla semplicità d'immedesimazione fornita (quella che fa esclamare: avevo sempre pensato a questa cosa, l'ho sempre avvertita!).
Se si aggiunge poi con quanta spontaneità (e quanto anticipo) vengano affrontati e denunciati nel romanzo anche temi come l'omofobia, o come vengano deliziosamente valorizzati in modo critico l'impegno artistico (con la tensione creativa ad esso legata) e la centralità del pensiero per l'evoluzione umana, si resta spiazzati dalla complessità e dalla completezza di Sartre; e forse si comprende perché Francesco Guccini scrisse che “Sartre pontificava” (Bologna, 1981), e si riflette sul rifiuto del premio Nobel per la letteratura (1964), ma soprattutto si apologizza l'apprezzamento universale del filosofo da parte di un'umanità perduta che si trascina.
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La Nausea
La nausea” è un romanzo dello scrittore e filosofo Jean-Paul Sartre, un romanzo scritto nel 1938, che è ormai entrato a far parte dei grandi classici della letteratura del 900.
Più che un romanzo un diario, sulla “La Nausea” o per meglio dire sulla solitudine, sulla noia che accompagna il protagonista, lo studioso Antoine Roquentin. Un uomo solo nella sua meditazione, estraneo alla vita e incapace di relazionarsi. La sua incapacità di esprimere i propri sentimenti compromettono la storia con la sua amata Anny. Ma nel suo percorso di vita quando giunge all’età di 30 anni e si rende conto che la sua esistenza non è servita a nessuno, soltanto con l’aiuto della sua ex fidanzata, Antonie riuscirà comprendere che l’unico senso della vita sono i momenti perfetti, tutti quei momenti che per essere vissuti veramente non hanno bisogno di alcuno studio o pensiero profondo. Sono semplicemente lì belli e perfetti per il solo fatto di esistere.
“La nausea” è un romanzo introspettivo, che si addentra nell’animo dell’uomo per mostrarne le sue più intime sofferenze.
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L'enciclopedia del mal di vivere
Una lunga, costante e serpeggiante sensazione di disagio avvolge questo romanzo. La lettura è a tratti sconvolgente nel suo essere terribilmente essenziale. Mi sono ritrovato immerso in una strana oniricità (di sicuro questo romanzo ha la capacità di "smuovere"), si continua a leggere le varie situazioni narrate e ci si sente in qualche maniera "sporchi". Ho apprezzato tantissimo "La Nausea" perchè a più riprese ho ritrovato quelle classiche sensazioni che durante la vita ti ritrovi a pensare ma che non riesci a formulare in parole concrete.
Il racconto si svolge a rotazione senza una trama ben definita (questo almeno quello che ho recepito),si salta da situazione in situazione sulle righe di uno dei più strani diari in circolazione.
Pochi personaggi, pochi protagonisti ma ben definiti e particolari incontreremo in questa non facile lettura. Quasi esilaranti i momenti in compagnia dell'Autodidatta e da incorniciare per intensità/distacco l'incontro con Anny.
Non mi sorprende il fatto che "La Nausea" possa portare all'esasperazione, alla totale noia. Chi riuscirà a prenderlo per il verso giusto si sentirà in qualche modo più completo, più concreto. Se letta con lo spirito giusto (secondo me acquisisce ancor più valore se letta in una situazione "di degrado" interiore con tutti i rischi del caso) questa "Nausea" saprà fare riflettere a fondo e perchè no anche aiutare.
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La nausea del mondo e degli altri
Ma questo libro l'ho scritto io e parlo di qualcuno che mi assomiglia, o l'ha scritto qualcuno che mi assomiglia e parla di me? Il confine è labile.
“La nausea” non è di certo il classico romanzo: nonostante sia un diario, non v’è una trama vera e propria. Il protagonista è l’antieroe per eccellenza: Antonio Roquentin, un intellettuale, uno scansafatiche, uno scrittore, un debole, un artista, chissà. E come si fatica a descrivere il protagonista, così non si potranno leggere lucidamente i fatti all’interno del libro: una volta iniziata la lettura, questo libro catapulterà il lettore in un vortice di riflessioni filosofiche che gli sconvolgeranno l’esistenza. Come a dire, leggi “La nausea” e non sarai più lo stesso.
Io ho finito di leggere “La nausea” da un paio d’ore e mi ritrovo ancora all’interno di questo vortice senza fine. Mi gira la testa, mi sento in colpa. Mi sembra di impazzire ma al contempo tiro un sospiro di sollievo, perché qualcuno forse comprende le mie sensazioni. Mi sento meno sola, ecco.
Antonio non è un eremita né un misantropo, eppure non riesce a inserirsi nella società borghese –ch’egli ritiene senza ragione di vivere – come tutti gli altri. Già, gli altri; Antonio ci riflette su e... più vorrebbe essere normale, condividere pensieri scialbi e condurre una vita insulsa, più ripugna questa omologazione che lo porta ad avere una totale sensazione di non-appartenenza al genere umano. “Mi sembra di appartenere ad un'altra specie. Escono dagli uffici, dopo la giornata di lavoro, guardano le case e le piazze con aria soddisfatta, pensano che é la loro città, una bella città borghese. Non hanno paura, si sentono a casa propria. Che imbecilli. Mi ripugna pensare che sto per rivedere le loro facce solide e rassicurate “.
E’ la nausea che lo spinge a sentirsi in qualche modo diverso, una sensazione che deriva dalla sensazione che la vita, essendo assurdamente vuota, è priva di un senso vero e proprio. E così vive la sua solitudine senza paura, riflettendo sull'inutilità dell'esistenza e lasciando una sorta di positiva percezione di un lontano coraggio che alla fine trova anch’egli il modo di possedere, il coraggio di vivere la propria vita.
Per quanto mi riguarda, questo libro è dovuto diventare il mio preferito: m’ha cambiata, rasserenata, incuriosita, terrorizzata. E se ha fatto tutto ciò, allora è il migliore libro che sia stato mai scritto.