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La mia Ingeborg La mia Ingeborg

La mia Ingeborg

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Tollak è un uomo pieno di contraddizioni: testardo e sensibile, rude e orgoglioso. Un uomo impossibile, a detta di molti. Ormai vecchio e solo, barricato nella sua fattoria, non fa che imprecare contro il mondo che da tempo, per lui, ha smesso di avere senso. L’unica persona che lo teneva attaccato alla vita era lei: sua moglie Ingeborg, amatissima, scomparsa da qualche anno. “Tollak di Ingeborg”, lo chiamava la gente del paese. I suoi due figli, ora adulti, hanno abbandonato la valle, teatro di un’infanzia difficile; oggi vivono in città e passano a trovarlo di rado. Soltanto Oddo è rimasto con lui: “Oddoloscemo”, per i vicini, lo zimbello di tutti, un ragazzo problematico di cui si prende cura da quando, ancora bambino, è stato abbandonato dalla madre. La vita di Tollak, soprattutto negli ultimi anni, è stata avvolta nel silenzio: troppo difficile dare voce alla rabbia che gli brucia dentro. Ma ora è giunto il momento di parlare, di raccontare finalmente la sua verità. Così, l’uomo insiste affinché sua figlia e suo figlio tornino a casa ancora una volta, forse l’ultima. Prima che sia troppo tardi ha bisogno di condividere il suo segreto. O meglio, i suoi segreti: le verità che Tollak ha sempre tenuto per sé sono molte, e sono una più sconvolgente dell’altra.



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La mia Ingeborg 2024-05-28 09:09:01 marialetiziadorsi
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marialetiziadorsi Opinione inserita da marialetiziadorsi    28 Mag, 2024
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Un amore distruttivo

“Sono Tollak di Ingeborg. Appartengo al passato”

Tollak è un uomo ormai anziano, vedovo (la moglie Ingeborg è sparita nel bosco molti anni prima e mai più tornata), i figli Hillevi e Jan Vidar non lo amano e vivono ormai lontano, in città, quasi senza contatti con il padre. Tollak vive in un certo modo da eremita insieme a Oddo, un ragazzo con un ritardo cognitivo, da tutti considerato “lo scemo del paese” che ha accolto in casa sin da quando era bambino perché la famiglia originaria non poteva mantenerlo. Lo ha praticamente adottato e fatto crescere con i suoi figli che hanno sempre faticato a capire questa scelta paterna.
Nonostante il forte desiderio di Ingeborg di trasferirsi in città Tollak, che ha rilevato una fattoria e una segheria che non fa buoni affari pur di rimanere a vivere ai margini del bosco, si rifiuta categoricamente di abbandonare la sua casa e la sua vita. E nulla riesce a farlo desistere da questa scelta.
Il romanzo è un lungo soliloquio di Tollak, in primo luogo, con la moglie Ingeborg, amatissima, dai bei lineamenti dolci, e che ha sempre ricambiato il suo amore. Ma Tollak parla anche con se stesso e con le persone via via venute in contatto con lui per le necessità della vita.

“È con lei che parlo.
Le parlo più adesso di quanto non abbia mai fatto prima. Giro per la casa, in cortile, per i boschi e parlo con Ingeborg.”

Tollak è un uomo pieno di rabbia e di rancore, furioso con se stesso e con il mondo. Sembra non avere pace nella sua furia cieca e non trovare requie mai e in nessun luogo salvo nell’alcol.
Dopo la diagnosi di cancro decide di convocare i figli e di spiegare loro cosa è realmente successo nel loro passato, tutto quanto loro non sanno e che pensa che debbano finalmente venire a sapere. Ha bisogno di condividere alla fine i suoi segreti, le terribili verità che ha sempre tenuto nascoste.
Tollak nel corso del romanzo ci ricorda momenti di vita familiare passata: i figli bambini, tante scene di quotidianità con la moglie. Si avverte che in fondo ha amato tutti benché in modo decisamente distruttivo. Un amore scuro e profondo come la notte.
Il libro è però anche una lunga storia d’amore. Una storia triste e malinconica che riesce a trascinare il lettore nelle spire dei contorti pensieri di Tollak, nella sua linga confessione: è un uomo che non è mai riuscito ad accettare i progressi ed i passi avanti del mondo rimanendo ancorato ad una vita fuori da tutto, a lavorare in una segheria che non gli dà più lavoro, mentre la moglie ed i figli tendevano ad una vita al passo con i tempi. Lui considera invece corrotto tutto ciò che è contemporaneo, che è diverso dal suo mondo. Per questo non approva i desideri della moglie così come quelli dei figli lo lasceranno infatti solo, oltre la “prigione” nella quale lui li avrebbe voluti confinati. E gli daranno in cambio un forte carico di rancore e incomprensioni.
E’ un romanzo triste questo, senza scampo e senza pietà. E’ la parabola di un uomo che non ha mai saputo godere di tutto quanto la vita gli ha offerto e che ha, anzi distrutto con caparbia volontà.

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Baumgartner, di Paul Auster
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La mia Ingeborg 2024-05-01 06:59:36 68
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68 Opinione inserita da 68    01 Mag, 2024
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Tormento irrisolto

”Sono Tollak di Ingeborg. Appartengo al passato. Lungi da me l’ idea di trovare il mio posto da qualsiasi altra parte”…

Un grande amore posseduto dall’ eros e imbrattato di una solitudine che rasenta la follia, vissuto con un impeto tracimato nella solitudine più nera.
Che cosa rimane dopo la sua dissolvenza, prevista e prevedibile, un se’ braccato dalle forze demoniache che glielo hanno sottratto, immobilizzandolo nel passato, pervaso da una rabbia atavica, un tardivo e inutile pentimento, stentando a riconoscersi, vita e monologhi condivisi con un’eco lontana.
Tollak è un uomo burbero, funestato da una rabbia cieca, giorni insopportabili nel profumo dell’ alcool, l’ esigenza di stare solo, figlio di una famiglia vissuta di dissidi e di sangue amaro. Da anni l’ amata moglie Ingeborg, donna dolce, dai bei lineamenti, con una voce profonda, leggera, forbita, e’ scomparsa, uscita di casa per non farvi ritorno, mistero irrisolto, tormento irrisolvibile, la propria ombra inseguita dai cani neri.
Due figli lontani, rapporti tesi, lacerati, dissolti, il cortile, la stalla, la segheria, i boschi del Vestmarka, le alture del Sorfjellet, sono questi i paesaggi e l’ ambiente che accompagnano Tollak da sempre.
In lui una dicotomia manifesta, figlia della propria storia, addolcita e ammansita solo in parte da Ingeborg che sa come prendersi cura dell’ altro, che riconosce il senso di un amore vissuto con pienezza e la necessità di preservare spazi incondivisibili, aderendo a se stessa, all’ idea di una vita che non sia una prigione di sopravvivenza.
Tollak al contrario sosta in un concetto di amore egoistico, in una gelosia prevaricatrice e totalizzante, in un isolamento sociale ed emotivo, inviso ai figli, ai vicini, ai parenti, persino a se stesso.
C’è un prima e un dopo la scomparsa di Ingeborg, un modo diverso di guardarsi e di leggersi dentro, la sofferenza della solitudine, l’ isolamento autoimposto, sguardi perplessi, indagatori, accusatori, un ragazzo che si è fatto uomo ma che non è come gli altri, ( Oddo ), pallido, dagli occhi impauriti, che sta nella stalla tutto il giorno, che ha ribaltato tutto ciò che si era, di cui prendersi cura e a cui volere bene.
Che cosa significa fraternizzare con se stessi, quanto tempo per conoscersi, tollerarsi, conviverci, quante volte Tollak ha letto e visto dentro di se’ un uomo diverso, furente, attraversato da una rabbia cieca

…Alla fine avevamo trovato il nostro modo tranquillo e silenzioso di vivere, il mio”…

Gli anni a venire amplificano solitudine, isolamento, rimpianti, oggi il suo comportamento sarebbe stato diverso, in lui il desiderio di un riavvicinamento alla progenie, scoprendo il proprio volto.
Alla fine permane l’ intollerabilità di un gesto, nessuna richiesta di assoluzione, quanti comportamenti scorretti e deliranti nei confronti di chi ci stava accanto, ci amava, era la nostra famiglia.
“La mia Ingeborg “ è un testo crudo, reale, torbido, Tore Renberg costruisce un thriller psicologico e affettivo imbevuto della solitudine più vera. La rabbia di Tollak lo ha accompagnato da sempre, siede al suo tavolo, giorni violenti, assenze protratte, notti insonni, attimi imbevuti di paura, per anni disinnescata dagli occhi dolci e dalle parole suadenti di un amore che credeva eterno, una rabbia pronta ad esplodere, preservando se stessi, un affetto negato, il passato irrisolto.
E allora non c’è più niente in cui sperare e per cui vivere all’ interno di una prigione autoimposta, anni trascorsi nel buio e nella trasandatezza di una lenta agonia, convivendo con un se’ ritrovato e rinnovato, una vocina che alimenta coscienza e verità imprescindibili.
Perdono imperdonabile, amore dissolto, il fuoco della disperazione e della follia, una certezza tardiva:

…” Ti amo, e sarò per sempre: Tollak di Ingeborg”…

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