La maga delle spezie
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Il fascino arcano delle spezie
Dal banco della sua bottega di Oakland, Tilo dosa e dispensa sapientemente ai suoi clienti le più profumate e deliziose spezie, destinate a finire in piatti prelibati, dando loro quel tocco in più e facendo sentire un po’ di aria di casa ai tanti immigrati asiatici finiti in “Amrikah” a cercare una sorte migliore. Ma quella che gestisce la nostra protagonista non è una bottega comune, né comuni sono le sue mani, capaci di cantare alle spezie. Tilo è una maga, discepola prediletta dell’Antica, della prima Madre, la sua missione è quella di aiutare la gente attraverso i poteri, arcani e potentissimi, delle spezie. Eccola allora ad elargire cumino, neroblù e luccicante come le foreste del Sundarban, per allontanare il malocchio e sovrastare ciò che il fato ha scritto per l’amico Haroun. La vediamo spargere chiodi di garofano e cardamomo sbriciolati per aiutare Jagjit, vessato dai compagni e incompreso dalla famiglia, dandogli forza con un po’ di cannella, capace di procurare amici e di distruggere i nemici. La seguiamo mentre, con la potenza dei semi di finocchio, tenta di salvare la moglie di Ahuja dalla violenza e dalle umiliazioni di una vita matrimoniale da incubo. Per Tilo, però, ci sono dei confini invalicabili, delle regole ferree che le impediscono di superare certi limiti nel compimento della sua missione. Limiti che lei, tuttavia, non può fare a meno di valicare, spinta dal bisogno di fare l’impossibile per aiutare gli altri. La situazione precipita ulteriormente quando nella sua vita entra un uomo, Raven, accendendo un nuovo fuoco dentro di lei e risvegliando la sua voglia di vivere una vita normale. Ma quando Tilo decise di diventare maga imboccò una strada senza ritorno e l’unica via d’uscita per lei sono le fiamme ardenti del fuoco di Shampati. La magia di antichi riti, il fascino dell'Oriente, la delicatezza dei buoni sentimenti si confrontano con la dura realtà della vita da immigrato, con i pregiudizi, il razzismo, l'aggressività di chi ha dimenticato che la sua "perfetta democrazia" si fonda proprio sull'immigrazione, sull'usurpazione della terra e dei diritti altrui. Scene di violenza, anche domestica e di vite difficili si alternano ad atmosfere oniriche, a piccoli eccessi di buonismo e a qualche banalità di troppo che non intaccano comunque l'importanza dei contenuti e la piacevolezza della prosa. La nostalgia per la patria e le difficoltà ad adattarsi ad un mondo nuovo la fanno da padroni, ma c'è anche spazio per valori forti come l'amore, l'amicizia e l'altruismo. Il conflitto interiore che attanaglia la protagonista tra la consapevolezza del privilegio e dell’importanza di detenere un potere unico e la voglia di avere un'esistenza normale sembra risolversi, in un finale un po' scontato ma fortemente simbolico, con l'idea che, potere o no, il modo migliore di vivere la propria vita è quello di metterla al servizio degli altri.