Narrativa straniera Romanzi La foresta d'acqua
 

La foresta d'acqua La foresta d'acqua

La foresta d'acqua

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Kenzaburo Oe, premio Nobel per la letteratura nel 1994, ci consegna un romanzo visionario che rappresenta la summa della sua esperienza autoriale. La foresta d’acqua non è solo uno splendido e toccante ritratto dell’artista che si confronta con lo scorrere del tempo, ma anche un’acuta riflessione sulla forza della narrazione e dei modi in cui può ricomporre fratture emotive, personali e collettive. La tempesta imperversa sul fiume, ma la luna buca la coltre di nubi e illumina a giorno la figura di un uomo inghiottito dalle onde. È questo il sogno che tormenta Choko Kogito da quando suo padre è annegato, anni prima, proprio in quelle acque. Da allora, ha cercato di affidare alle pagine di un romanzo il senso di smarrimento che ancora prova, ma non ci è mai riuscito. Finché sua sorella Asa lo invita a tornare nella valle natia dello Shikoku: ad attenderlo c’è una valigia rossa che contiene alcuni documenti del padre che potrebbero aiutarlo a sciogliere i nodi del suo passato e a mettere fine a una crisi d’ispirazione durata troppo a lungo. Kogito non esita un istante a lasciare Tokyo per tornare nel luogo in cui è cresciuto. Qui, giorno dopo giorno, cerca di trovare un senso a eventi che la sua immaginazione ha ormai trasfigurato e di mettere ordine dentro sé stesso. Ma si rende conto che da solo non può riuscirci. Ha bisogno di qualcuno con cui condividere le difficoltà e che sia in grado di guidare il suo sguardo nella giusta direzione. Ed è nella giovane Unaiko che trova l’aiuto desiderato. Come lui, l’aspirante attrice nasconde profonde fragilità e sa cosa significhi passare la vita alla ricerca di un finale che tarda ad arrivare. Dopo il loro fortuito incontro, Kogito e Unaiko iniziano a collaborare alla stesura di una complessa sceneggiatura teatrale. Perché sono convinti che unendo le forze potranno ritrovare la linfa creativa necessaria a dar voce a ciò che finora è stato solo silenzio.



Recensione della Redazione QLibri

 
La foresta d'acqua 2019-11-20 10:54:11 Molly Bloom
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
Molly Bloom Opinione inserita da Molly Bloom    20 Novembre, 2019
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Viaggio in Giappone

"Le antiche famiglie di luoghi remoti, comprese quelle prive di una storia illustre, custodiscono leggende e tradizioni uniche tramandate di generazione in generazione."

Inizia con questa frase "La foresta d'acqua" dello scrittore giapponese Kenzaburo Oe, premio Nobel per la letteratura nel 1994. Ambientato tra Tokyo e una "piccola valle immersa nella foresta" dell'isola Shikoku il libro, fortemente autobiografico e scritto in prima persona, parla dell'intenzione di uno scrittore ormai oltre settantenne, Choko Kogito alter ego di Oe, di scrivere un ultimo romanzo sulla prematura scomparsa del padre decine di anni fa, annegato nel fiume in piena. In realtà questa sua intenzione lo tormenta da anni ma è sempre stato bloccato dalla madre, custode di una valigia in pelle rossa contenente tutto il materiale appartenente al marito e che per il figlio avrebbe rappresentato il materiale necessario per la creazione del "romanzo dell'annegamento". A dieci anni della morte della madre finalmente ne entra in possesso... Questo è il filo conduttore, il sentiero d'ingresso nella foresta di Kenzaburo.

"Un particolare che ho notato man mano che passano gli anni e si invecchia è che si viene pervasi sempre più del desiderio di sistemare le cose nel miglior modo possibile senza lasciare niente di irrisolto." Kogito ha un passato irrisolto, trasformato in un sogno che lo tormenta da una vita - o forse un incubo?- in cui suo padre si trova in una barca nel fiume in piena e il figlio non riesce a raggiungerlo. Un padre "amato disperatamente", visto come un eroe negli occhi del figlio, fa un gesto incauto, incompreso e come conseguenza finisce come preda di un fiume vorace. A questo tormento interiore cerca di mettere fine attraverso appunto la scrittura di un romanzo, ma sarà forse la via più efficace e migliore per tutti? "Pensavi, grazie al tuo nuovo romanzo, di restituire l'onore al nostro povero padre e di cancellare il senso di colpa del ragazzino che quella notte tornò disperato a riva nuotando come un cagnolino? In che modo, in concreto? E nutrivi forse la vana speranza di ottenere come per magia una chiave per risolvere tutti i problemi semplicemente passando in rassegna il materiale contenuto nella valigia di pelle rossa?"

Non viene sviluppata soltanto la storia del padre di Kogito e del loro rapporto ma anche quella del legame fragile che unisce Kogito e suo figlio Akari, affetto da una malformazione sin dalla nascita. A questi si aggiunge un altro personaggio cardine, l'attrice teatrale Unaiko, anche lei alle prese con la resa dei conti di un passato turbolento e che porta come tematica la lotta contro l'abuso sulle donne e sui bambini, sviluppata nella terza e ultima parte del romanzo. La forza e l'importanza delle donne per la famiglia e per gli uomini in generale, viene notata durante tutto il percorso del libro, Kenzaburo dandole ampia voce.

La cosa che più mi è piaciuta in questo libro è stata l'ambientazione. Mi sono sentita letteralmente trasportata in Giappone ogni volta che aprivo il libro, come se facessi un viaggio e in più con una guida turistica perché oltre alle belle descrizioni paesaggistiche vengono spesso narrati anche miti locali, tradizioni e storia, elementi saldamente legati agli abitanti. Si respira anche un'atmosfera calma, rispettosa e i personaggi sono sempre pacati ed educati nonostante ci sia qualche momento di alta tensione eppure non perdono mai l'equilibrio interiore, tra sussurri e inchini hanno luogo tempeste. Credo che Kenzaburo sia un ottimo veicolo della cultura autoctona giapponese per il resto del mondo. Un'altra cosa che mi ha piacevolmente colpita di Kenzaburo è la sua vasta cultura europea e i suoi frequenti riferimenti letterari, cita addirittura Céline con una sua frase "Teniamo alta la testa, su, coraggio!", autore che per stile e argomenti lo trovo diametralmente opposto a Kenzaburo eppure...

Ci sono però degli aspetti che personalmente ho gradito un po' meno e mi hanno reso la lettura un po' faticosa. A partire dallo stile. Sebbene sia scritto in prima persona, l'autore da pochissimo spazio ai suoi pensieri espressi in modo diretto (e quindi più coinvolgente per il lettore) ma crea piuttosto delle situazioni di dialogo tra lui e i vari personaggi e sono questi ultimi a esprimere ciò che secondo loro l'autore prova o ha provato in passato. Quindi la voce dello scrittore, nonostante sia il personaggio principale, si fa sentire attraverso le altri voci con le quali lui dialoga: la moglie, la sorella Asa, Unaiko e così via. A un certo punto anche uno dei personaggi glielo fa notare. "Tu non dici granché e resti perlopiù in silenzio ad ascoltare, non riesco mai capire cosa ti passi per la testa.", si "tira le orecchie" da solo in pratica. Sebbene sia una modalità valida come tutte le altre a me ha reso la lettura meno coinvolgente di quanto sperassi proprio perché non sono riuscita a entrare in empatia con il personaggio principale. Altro aspetto che ha peggiorato ulteriormente la situazione è stata la prosa che, seppur elegante, troppo artefatta, "burocratica" quasi a piccoli tratti come se fosse un compitino, che allontanava ancor di più i miei tentativi di raggiungere la mente del personaggio e di sentirmi coinvolta. Questa prosa lineare, pacata, sì elegante ma che non osa quasi mai, nel bene o nel male, determina un ritmo di lettura costante e prevalentemente lento.

Alto elemento per me disturbante, oltre allo stile, è stato l'egocentrismo dell'autore. Tutto ruota attorno a lui, ai suoi bisogni e alle sue opere. Addirittura è presente una compagnia teatrale di cui Unaiko appunto ne fa parte, che si occupa di mettere in scena esclusivamente la sua opera leggendo e rileggendo tutti i suoi testi, come se fossero una Bibbia. La moglie, la sorella, Unaiko, tutte in punta di piedi attorno a lui a servirlo e riverirlo anche quando viene meno ai suoi doveri di marito e padre, preoccupate sempre a fare in modo che lui stesse bene e se qualcosa gli viene rimproverato il rispetto e la reverenza non mancano mai. Stessa cosa succede quasi con tutti gli altri personaggi, tant'è vero che ho pensato "Dio esiste ma tranquillo, non sei tu!". L'egocentrismo va benissimo, ma poi quando è sorretto dallo stile sopramenzionato, diventa noioso, fastidioso, inutile e si tende a perdere l'interesse per continuare la lettura. Alto aspetto per me negativo è la ripetizione, dettata più da questo suo egocentrismo che da una esigenza stilistica: intere scene vengono continuamente ripetute appesantendo la narrazione.

C'è un momento all'interno del romanzo in cui mi sono detta "ecco che ci siamo! ora si decolla!" perché l'autore si lascia un po' andare e mi richiamava le crisi epilettiche di Dostoevskij fonte di ispirazione, la memoria involontaria di Proust e in generale il rapporto arte-malattia nella letteratura:

"Quei farmaci erano molto potenti, perciò cercavo di farne uso il meno possibile ed ero consapevole che avrei fatto bene a smettere al più presto. Quando riaprivo gli occhi prima dell'alba, a distanza di poche ore dall'assunzione, mi ritrovavo in preda di un prodigioso "risveglio della memoria" (...). Non potevo fare a meno di chiedermi se quel enorme attività cerebrale fosse in qualche modo collegata all'energia stupefacente che si accompagnava agli attacchi di vertigini, e avevo la netta sensazione che quel recente malessere racchiudesse in sé un più ampio significato."

...però il ritmo non è mutato di molto. Ho trovato invece molto poetico il finale, che, seppur tramite un terzo personaggio comparso nella seconda metà del libro, chiude a cerchio il tema dell'annegamento del padre, trasmettendo nelle righe finali un senso di risoluzione e sollievo.

Per concludere lo vedo adatto a chi vuole viaggiare con la mente in Giappone e vuole immergersi sulla sua cultura e la sua storia, a chi ha già letto Kenzaburo perché dentro si ritrovano tutte le sue opere, ma anche a chi ha letto "Il cuore delle cose" di Soseki, libro ampiamente trattato all'interno di questa opera.








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