La follia di Dunbar
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Follia e dissolvenza
Henry Dunbar, ottantenne magnate canadese dei media, uno degli uomini più potenti del pianeta, è stato esautorato dal potere e rinchiuso in una clinica dalle figlie Megan ed Abigail, conniventi con Bob, il corrotto medico di famiglia, due donne ciniche ed ambiziose, immorali e psicopatiche, proprio come il padre, non considerandolo più in grado di presidiare un impero economico così complesso.
Oggi si ritrova, suo malgrado, in uno stato d’ ansia potenziato artificialmente, indubbiamente più vigoroso senza medicine, ma anche rabbioso ed indignato, con l’orrore a presidiarne la mente.
Non gli resta che meditare ed organizzare la fuga, con l’ aiuto del fidato Peter, ex comico ed attuale compagno di sventura, braccato dalle figlie degeneri, sognando di riavere il potere e di lasciarlo nelle mani sapienti della amata figlia Florence.
È solo lei, erede della bellezza e della disarmante simpatia della madre Catherine, ad affascinarlo ed a renderlo felice.
Anni prima aveva trattato il suo disinteresse per gli affari come un affronto personale, ma è stato un grave errore. Dal canto suo Florence si rende conto che non vi è modo di garantire la salvezza del padre, se non lasciandosi trascinare in una guerra con le sorelle, facendo pressioni su un cognato titubante e presentando delle giuste argomentazioni al Consiglio.
Le Dunbar sono donne arroganti, imperiose, dure, ma la durezza non è forza, l’ imperiosità non è autorità, il loro è solo orgoglio immeritato, frutto di un patrimonio immeritato.
Forse qualcuno sta castigando Henry, punito per i suoi stessi tradimenti, così ipocrita da inveire contro figlie e medico.
In passato è stato un mostro, oggi questa sua bassezza di sentimenti gli si rivolta contro, sospinto dal cinismo e da una verità imperante, il folle senso insensato nell’ accumulo di potere e denaro.
Ha tradito una moglie che adorava, scambiato dolore ed amore nelle profondità del labirinto della sua mente e del suo gelido cuore; tutte le persone che aveva ferito hanno trasformato le proprie ferite in armi.
Sperduto e braccato, immerso nella natura selvaggia, coltivando la sua indignazione per la crudeltà paradossale di Megan ed Abigail, è inseguito da una memoria nemica al centro della sua stessa psiche. Perché le sue figlie sono giunte a tanto ed hanno intrapreso la strada della vendetta, per essere state destituite e private della madre in giovane età? Henry aveva solo cercato di proteggerle da una donna pazza come un serpente.
Ora assapora in toto il dolore delle proprie colpe; a suo tempo aveva cercato di rimediare, donandogli tutto, ma, ottenuto il potere, gli avevano restituito i suoi insegnamenti. Henry vorrebbe inginocchiarsi ed implorare il perdono a tutte le persone cui ha fatto del male, una dopo l’ altra, ma è troppo tardi.
Florence intanto si precipita in mezzo alla natura della Cumbria con l’ idea di salvarlo, ma non sa come ripescarlo dal paesaggio selvatico della sua mente.
Quali i confini della psiche? Vita e morte, salute e follia? Ormai Henry non capisce più di cos’ è privo, molto vicino a follia e morte.
E’ tardi per iniziare qualsiasi viaggio introspettivo, sa di non avere scelta, ma come si è giunti a tanto e perché tutta questa distruzione e morte, proprio quando per la prima volta si comincia a capire?
All’ epilogo di una tragedia annunciata e di un cammino siffatto, la triste e sola verità è che tutti noi ci ridurremo in polvere, eccetto la comprensione che mai potrà scomparire, finché resterà in piedi qualcuno che preferisce ancora dire la verità...
Rivisitazione in chiave contemporanea del “ Re Lear “ Shakespeariano, il romanzo di St. Aubyn possiede una certa leggerezza di toni e contenuti, alla ricerca di un’ idea di profondità.
In una tragedia trasferita ai giorni nostri, laddove vizi e storture inconsapevoli sopravanzano di gran lunga qualsiasi umana virtù ed un cinismo imperante accompagna fatti e parole mai così distorte e private del proprio senso primario, lontani da una parvenza di riflessione e coscienza, che non sia espressione contraddittoria e mutevole di un quotidiano e personale mal di pancia, il senso primario del romanzo-tragedia stenta a decollare.
I personaggi accusano il proprio non essere, inseguendo trama, desideri e passioni celate, singole voci slegate poco calate nelle vicende e vittime di un fragile intreccio.
Per contro, il potente dramma Shakespeariano, dove l’ incertezza regna sovrana, così ricco di temi e contenuti, dalla follia al senso di giustizia, all’ inganno, al travestimento, e poi caos, disordine, umiltà, ma anche saggezza, con forti richiami simbolici e semantici in una precisa connotazione storica e con una profonda analisi interiore, è assai complicato da trasporre e riproporre.
Va anche detto che la nota vivacità, il sarcasmo e l’ intelligenza riconosciute all’ autore ( ripenso a “Senza parole “ ), qui sono piuttosto carenti, probabilmente sacrificate e calate nella parte.
Non restano che un richiamo ed un balbettante profumo Shakespeariano, scorporati e fini a se stessi, ma il respiro autentico della tragedia primaria richiederebbe ben altro....