La finestra dei Rouet
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La vita altrove
Solo chi non si lava, ha un odore. Se lo ripete Dominique, il mantra che l’accompagna dall’infanzia, la rassegnata impotenza della madre nel cerchio stretto, asfissiante, di un lessico famigliare che si nasconde dalle voragini della concretezza. Eppure la carne ha un odore, il sudore ha un odore, il sesso ha un odore. Forse nessuno si lava, Dominique, o forse gli altri vivono. La vita che sfila davanti, feroce nella sua esuberanza, il brio inesauribile di Antoinette, i gemiti compiaciuti dei due giovani che si aggrovigliano senza pudore a qualche centimetro di distanza, oltre il diaframma sottile di una parete troppo esile. Eppure ha ancora il corpo giovane Dominique, mai toccato da un uomo, la pelle alabastrina, il seno ancora alto, il viso troppo giovane per i suoi quarant’anni. Cresce dentro di lei la frustrazione, la rabbia docile, addomesticata di chi non ha la forza per vivere nel divenire incerto della vita, nel puro arbitrio delle possibilità. Non bastano i rammendi di qualche calza a suturare i vuoti della solitudine, non bastano gli sprazzi di spazio e tempo rubati alle vite degli altri. Perché mentre intorno tutto evolve, Dominique non può che restare ferma e guardare, spiare, immaginare. L’indole è un demone per l’uomo, ci avvisa Eraclito. E nessun agnello può trasformarsi in lupo. Neanche quando la spaventosa forza del ricatto bussa alla porta.
Anticipando il bel film di Hitchcock “La finestra sul cortile”, Simenon costruisce un romanzo dalle inquadrature cinematografiche. Una storia filtrata dagli spiragli, siano essi quelli di una persiana appena spalancata o di una finestra lasciata aperta per il caldo, il buco di una serratura o le soglie di qualche albergo sordido, di qualche bar mal frequentato, l’alone lattiginoso di un lampione che avvolge qualche prostituta tropo giovane. Il taglio delle inquadrature echeggia l’esclusione dalla vita della protagonista e ne fa risuonare le solitudini. Perché per Dominique, come per il lettore, la scena accade sempre altrove. In un posto afferrabile, ma sempre lontano, in un supplizio che, come per Tantalo, mortifica il desiderio. Com’è amara e triste la Dominique di Simenon se confrontata con le donne meravigliose che Madeleine Bordouxhe avrebbe descritto solo qualche anno dopo. Non c’è possibilità per Simenon, non c’è fuga dalla realtà, non c’è alcun varco nella tela intransigente della proprio passato. E come sempre, basta il primo capitolo, davvero ben scritto, a capire che la malattia non darà scampo.
Classicissimo romanzo simenoniano, La finestra dei Rouet rientra in quel gruppo di testi in cui lo sguardo di Simenon assurge alla più pura oggettività. E lo scrittore, dio lontanissimo, non ha alcun perdono da elargire. E forse proprio in questa sua classica essenza, il libro finisce per soffrire di una vaga staticità.
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AMARO, TROPPO AMARO
Una visione della vita sorretta da una certa predestinazione, un’esistenza fra le tante inutile e insensata, a corollario un intero universo emotivo che , sapientemente imbastito nei tempi dilatati della fanciullezza, si lacera nel tempo incompiuto di un’esistenza mai vissuta. Nique, povera Nique, così ti chiamano ancora i tuoi parenti lontani che a stento ti rintracciano a Parigi per annunciarti la morte di una zia. Dominique, sola, povera e bramosa di vita. Educata a stare da una parte, mesta e silenziosa, dopo la morte del padre che ha accudito per puro del senso del dovere, si ritrova schiacciata da un futuro senza alcuna prospettiva. È costretta ad elemosinare la permanenza nella casa che un tempo era sua e ad affittarne degli ambienti per poter sopravvivere. Entra in casa, una stanza separata da un salotto che funge da cerniera con il suo piccolo vano, una coppia di sposini, esuberanti, vitali, chiassosi e molto attivi sessualmente. L’udito si affina, la vista cerca validi pertugi, la mente rivaluta il proprio corpo maturo ma mai sfiorito, l’amore: una vana speranza soffiata da un destino crudele. Dominique si protende dunque verso la vita degli altri e la spia dalla finestra, in questo caso è un video senza il sonoro ma lei, in questo cinema muto, coglie tutti i particolari delle esistenze che si ritrova a spiare. Una coppia di anziani coniugi e la loro cameriera al piano di sopra, un piano più sotto il loro figlio malato e una nuora mai apprezzata. Proprio lei, Antoniette, diviene la sua ossessione: ha lasciato morire il marito non intervenendo a somministrargli il medicinale che avrebbe potuto ancora una volta salvarlo. È ora libera e vive ma Dominique che ha visto tutto la controlla, la spia, la pedina , la provoca, la invidia …
Il romanzo scorre veloce e inesorabile come la vita lasciando una sensazione di cupo pessimismo, a nulla valgono illusioni, speranze, lo strare cheti in un angolino a guardare o il vivere spasmodicamente alla ricerca di una durevole felicità, voraci di vita, ebbri di clamori, zeppi di denari se infine tutto si riduce a una desolata solitudine, quella insita nella stessa esistenza.
Amaro, troppo amaro.
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“Un giorno dovrò far capire a qualcuno...”
Se la vita non può esplodere rigogliosa implode rabbiosa, diventando mortifera.
Dominique indossa da anni lo squallido vestito della solitudine cucitole addosso come un precoce sudario dal destino, un vestito che le sta sempre più stretto - glielo dice il suo corpo di vergine quarantenne che non si rassegna alla pace dei sensi, un corpo ancora bianco e morbido che nell'afa d'agosto suda copiosamente, forse piange, a suo modo.
Vive di lontani ricordi, Dominique, figlia di un generale morto da un paio d'anni (che tortura accudire fino all'ultimo un padre che non si è mai amato!) e non dimentica le sue origini altolocate, malgrado la povertà umiliante con cui da tempo deve fare i conti.
Ogni tanto muove le labbra mormorando qualche parola, nel desiderio di comunicare, di raccontarsi (“Un giorno dovrò far capire a qualcuno...”), o sbircia con un misto di attrazione e repulsione dal buco della serratura i rapporti sessuali della giovane coppia a cui ha dato in affitto una camera del suo appartamento.
Assiste con un'esaltazione che è quasi gioia ad un delitto nel palazzo di fronte, di proprietà dei Rouet, testimone silenziosa di una morte che sembrerà accidentale.
Da quel momento, per diverse pagine e in una sorta di film senza sonoro, il lettore osserva con gli occhi della protagonista i movimenti degli inquilini del palazzo ed in particolare di Antoinette, la moglie assassina, intuendone le parole dai gesti concitati.
Antoinette, che ha lasciato morire il marito malato per liberarsi di un peso morto e l'ha fatta franca, finisce per diventare, con la sua forza vitale, con i suoi appetiti di femmina sensuale, ciò che Dominique non ha mai avuto il coraggio di essere, ed è da lei che la donna sorbisce furtivamente ogni giorno il dolceamaro nettare della vita, controllandone le mosse, pedinandola senza nemmeno preoccuparsi di non farsi notare, desiderando ardentemente che le rivolga almeno una volta parole complici: “Tu che sai tutto...”.
E' diventata una maniaca, forse...
L'indagine psicologica che spesso caratterizza le opere di Simenon raggiunge in questo romanzo livelli freudiani, con bizzarri sogni erotici – scaturiti dai pensieri di una natura repressa – che lo scrittore lascia all'interpretazione di chi legge.
Sullo sfondo c'è Parigi nel succedersi delle stagioni, con la folla e il traffico e i vicoli oscuri che trasudano vizi nascosti, bassi istinti sfogati al riparo da occhi indiscreti.
Un quadro tutto sommato miserabile, ma vivo di vita vibrante e proibita, banchetto avvelenato e invitante per chi ha fame e sete:
“Ma perché il suo sguardo si inoltrava negli ingressi degli alberghi, aperti sulla strada come bocche tiepide?”
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La vita degli altri.
La sensazione di solitudine è soltanto una delle tonalità del racconto. La finestra di fronte è uno specchio, a volte crudele, che restituisce l'immagine reale di se stessi; Dominique è sola, troppo giovane per sentirsi vecchia e non abbastanza vecchia (ma lo si è mai?) per lasciarsi andare a placidi comportamenti che hanno il sapore della rinuncia definitiva. L'interesse morboso, malato per i Rouet è il pane quotidiano di Dominique. La sua vita è uno stridente contrasto tra pezzetti di passato incombente e un presente che difficilmente avrà i tratti di un futuro sereno.
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Solitudine
Ancora il racconto di un'ossessione, questa volta davvero sottile e crudele. Simenon supera se stesso nella descrizione dei pensieri torbidi e malati della sua protagonista. In Faubourg Saint-Honorè una quarantenne vive la sua solitaria esistenza chiusa tra le quattro mura del suo appartamento. Dominique non ha mai avuto un uomo, non ha amicizie e la sua famiglia non c'è più, a parte qualche parente lontano. Il suo mondo è racchiuso nella sua casa della quale, per poter avere una fonte di guadagno, ha affittato una stanza ad una coppia di giovani sposi. Parte della sua giornata la donna la trascorre spiando la vita dei suoi affittuari, immaginando, in maniera molto realistica, i loro corpi che si uniscono e, forse, inconsciamente, invidiandoli. Il punto d'attrazione forte, però, è rappresentato dalla finestra dalla quale la protagonista osserva, con ossessiva insistenza, le vicende che si svolgono nelle case dei suoi dirimpettai: gli anziani del piano superiore, suoceri della giovane coppia che vive nell'appartamento al piano inferiore, Hubert ed Antoinette. L'irrequieta e libertina moglie diviene il soggetto prediletto di Dominique e, quando quest'ultima pensa di assistere, unica testimone, ad un possibile omicidio, la situazione precipita: da uno spiare con insistenza nasce un'ossessione vera e propria. Dominique annulla totalmente se stessa e vive la vita di Antoinette, trascorrendo intere giornate ad osservare le finestre della famiglia Rouet, analizzando quello che può vedere con i suoi occhi ed immaginando il resto. Inizia una serie di pedinamenti, di azioni avventate dettate dall'esigenza di avere una vita, anche se rubata, ed allontanare un pò la solitudine di Dominique. Ma i nodi vengono sempre al pettine, non si può fingere per sempre, non si può in eterno rubare identità altrui per riempire il vuoto che ci circonda. E' solo nel finale che comprendiamo davvero, fino in fondo la disperazione e l'isolamento autoimposto in cui vive la nostra protagonista.
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La solitudine
Ancora il racconto di un'ossessione, questa volta davvero sottile e crudele; Simenon supera se stesso nella descrizione dei pensieri torbidi e malati della sua protagonista. In Faubourg Saint-Honorè una quarantenne vive la sua solitaria esistenza chiusa nelle quattro mura del suo appartamento. Dominique non ha mai avuto un uomo, non ha amicizie e la sua famiglia non c'è più. Il suo mondo è racchiuso nella sua casa della quale, per avere una fonte di guadagno, ha affittato una stanza ad una coppia di giovani sposi. Parte della sua giornata la donna la trascorre spiando la vita dei suoi affittuari, ad immaginare realisticamente, come se li vedesse in prima persona, i loro corpi che si uniscono e forse, inconsciamente, ad invidiarli. Il punto d'attrazione forte, però, è rappresentato dalla finestra dalla quale la donna osserva, con ossessiva insistenza, quello che succede agli inquilini del palazzo di fronte: gli anziani del piano superiore, suoceri della giovane coppia che vive nell'appartamento del piano inferiore, Hubert ed Atoinette. La libertina ed irrequieta moglie diviene il soggetto prediletto di Dominique e, quando quest'ultima pensa di assistere, unica testimone, ad un possibile omicidio, la situazione precipita e dallo "spiare" si passa all'essere ossessionati. Dominique annulla totalmente se stessa e vive la vita di Antoinette, trascorrendo intere giornate ad osservare le finestre della famiglia Rouet, registrando quello che può vedere con i suoi occhi ed immaginando il resto. Inizia tutta una serie di azioni avventate, dettate dall'esigenza di avere una vita, anche se rubata, ed allontanare un pò la solitudine estrema di Dominique. Ma i nodi vengono sempre al pettine, non si può fingere per sempre, non si può in eterno rubare identità altrui per riempire il vuoto che ci circonda. E' solo nel finale che comprendiamo davvero, fino in fondo la disperazione e l'isolamento autoimposto in cui vive la nostra protagonista.