La figlia dello straniero
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Rebecca Schwart, la figlia del becchino
Rebecca Schwart, la figlia del becchino.
Rebecca Tignor, la signora Niles Tignor.
Hazel Jones. Gallagher. Hazel, chi?
"Quando sei tra i tuoi nemici, non mostrare mai la tua intelligenza né la tua debolezza". Le parole? Solo menzogne. Tu sei "una di loro". Sono passati anni da quel maledetto giorno, ma Rebecca non ha mai dimenticato gli ammonimenti di quell'uomo che un tempo, da bambina, adorava e che poi si era convinta di odiare. Assai prima di quel maledetto giorno.
Allo stesso modo, Rebecca Tignor "disprezzava profondamente la fragilità delle donne. Ne provava vergogna, la mandava in bestia. Era l'antica fragilità delle donne e di Anna Schwart, sua madre. La fragilità di una stirpe sconfitta." Eppure parte di quell'antica fragilità le appartiene e porta il nome di suo marito, Niles Tignor, un uomo che "aveva un'alta opinione di sé", che non rispondeva direttamente alle domande, specie se a porle era una donna. Tignor, il padre del bambino che lei ha ardentemente voluto, il secondo perché il secondo aveva potuto tenerlo. Qualcosa le suggerisce in cuor suo che sarebbe meglio se lo lasciasse ma l' "Amore. Somma debolezza". Lei lo ama e lo perdona ma Tignor non ha bisogno del perdono della SUA "zingarella", della "piccola", della SUA "ebrea". Dopotutto Tignor aveva salvato lei, la figlia del becchino di Milburn.
Lei, Rebecca Schwart, era stata "L'unica di quella dannata famiglia, così si espresse Herschel, a essere venuta al mondo su questa sponda dell'ozeano 'Tlantico... Perché ci aveva messo un casino a nascere... Ma' dilirava, non sembrava manco lei ma n'animale selvaggio... Pa' diceva che per tutto il tempo stava impazzendo per la preoccupazione. Diceva, e se non ci fanno sbarcare?"
Jacob Schwart aveva accettato quel posto di becchino del cimitero comunale, ringraziando i funzionari ma sapeva che "quegli altri" sbeffeggiavano lui e la sua famiglia: "Becchino!", "Ebreo", "Nazista". Leggeva nei loro occhi la pietà esattamente come leggeva negli occhi della moglie e dei figli la paura che avevano di lui. Ma Jacob Schwart aveva progetti per i suoi figli, non sarebbero rimasti a lungo "i figli del becchino"; Herschel e August avrebbero studiato, avrebbero costruito un loro avvenire migliore, loro che rappresentavano quello che la loro famiglia era nella madrepatria. Della più piccolina, a cui non si era affezionato temendo di perderla a pochi mesi, pensava che prima o poi si sarebbe sposata con uno di "quegli altri", e l'avrebbe persa. Era solo questione di tempo: era fuggito da Hitler, sarebbe fuggito anche da Milburn.
La figura di Jacob Schwart porta a chiedersi se un uomo che scappa dalla guerra, può mettere davvero in salvo i suoi figli, se parte di quella stessa guerra la 'porta' in sé, con sé? Forse Jacob Schwart amava i suoi figli, in cuor suo, a modo suo.
Hazel Jones. Rebecca era stata turbata parecchio dall'incontro con quello sconosciuto con il panama e gli occhiali scuri, vi aveva ripensato nei giorni seguenti. Era riuscito ad avvicinarla, le aveva parlato di un lascito da parte di suo padre, il dottor Hendricks, per lei, Hazel Jones. Sì, perché quel tipo non desisteva: era convinto che lei fosse Hazel Jones.
Un pericolo mancato o un'occasione per lei, la figlia del becchino, e per il suo bambino, Niles junior, che lei adora, che non si addormenta senza la radio accesa, che è predisposto alla musica?
Non si abbandona facilmente Rebecca e la sua storia, quel suo continuo rifuggire dal passato, dalla mancanza di un ambiente familiare sano, da vecchie fragilità di cui vuole liberarsi e che invece la portano ad abbracciare quel primo amore che si presenta nella sua veste 'migliore': la protezione; un amore malato che le porta invece nuove fragilità.
Niles Tignor, e una volta di troppo. È da qui che vediamo Rebecca crescere, prendere consapevolezza di sé (anche se è ancora un po' lontana dall'accantonare ogni paura): ora vi è una fragilità che deve essere difesa prima e più della sua; del resto lei se lo era ripromesso: con suo figlio non avrebbe commesso gli stessi errori che i suoi genitori avevano commesso con lei. E poi c'è un sogno, un'ambizione (riscatto per lei? O per il figlio?): un pianista, suo figlio diventerà un pianista, perché ha talento. Grazie anche all'aiuto di una mano amica, sincera, un uomo innamorato, paziente anche se a sua volta e a suo modo irrequieto, Chet Gallagher, Rebecca si reinventa in grembo a quel Nuovo Mondo a cui i suoi genitori, da immigrati, si erano sì affidati ma con poca fiducia e tanta paura. Perché forse suo padre, alla fine, è stato logorato, vinto da quella stessa Storia da cui era scappato. Perché forse la madre è riuscita a racchiudere il suo amore per lei solo in quei pochi attimi in cui sembrava illuminarsi mentre le faceva le sue raccomandazioni a proposito dei pericoli che in strada c'erano per una giovane donna. Era quello il solo modo in cui riusciva a proteggere la figlia e con lei, proteggere una parte di se stessa perché "Ti volevamo, Rebecca. Dio ti voleva. Io ti volevo. Non credere mai a quello che dice quell'uomo".
Dopotutto un motivo deve esserci se lei si è salvata quel maledetto giorno.
Lei "avrebbe conservato per sempre dentro di sé la bellezza e l'intimità di quei momenti."
Un'intima e sussurrata promessa? "Mio figlio. Tuo nipote. La sua faccia ti dirà qualcosa, quando lo vedrai."
Sebbene consigli la lettura di questo libro, le pagine più intense sono, a mio avviso, quelle che precedono la fuga di Rebecca e di suo figlio, una sorta di gioco, "non-fermarsi- mai"; nelle pagine successive infatti non sempre sono riuscita a mantenere costante l'interesse.
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Da Dickens a Biancaneve
Sono in dubbio sulla recensione di questo romanzo. È uno di quei testi di cui non posso dire che la lettura mi abbia rapita ma nemmeno posso sconsigliarlo su due piedi. Possiede due delle caratteristiche che mi piacciono in un libro: una scrittura non scontata e una trama basata sulla realizzazione personale attraverso le difficoltà; ma mentre la prima parte, relativa al flash back sull'infanzia della protagonista, mi ha appassionato, la seconda, quella in cui la vita di Rebecca prende una strada più tranquilla e banale, mi ha un po' annoiata. È come se si partisse col leggere un romanzo di Dickens: c'è la famiglia di poveri immigrati, nell'America degli degli anni 40, che vive in un cimitero, con un padre deluso e violento, una madre depressa e passiva, e una bambina intelligente che non soccombe alla bruttura; per poi passare a un resoconto realistico di vita di coppia con un uomo farfallone e brutale, e finire con la favola di Biancaneve. Man mano che si procede nella lettura cambia il ritmo, scema la tensione narrativa, tutto diventa più edulcorato e meno interessante per concludersi con un inutile epistolario. Mi sorge il dubbio che, forse, fosse nelle intenzioni dell'autrice ma l'impressione è che la storia sia stata scritta da due mani diverse. Niente da dire sulla caratterizzazione psicologica dei personaggi che c'è ed è efficace, così come mi è piaciuta la scrittura soprattutto quando, per descrivere qualcosa che è accaduto, l'autrice lo fa attraverso i monologhi/sfoghi dei personaggi. Carina la trovata del cambio di nome della protagonista, quel suo immedesimarsi in una persona 'inventata' che ha un risvolto 'giallo' che, ovviamente, non rivelo.
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- no
Romanzo rosa
Se cercate un romanzo Harmony di 600 pagine, leggete questo libro. Non ho letto altri libri della Oates (penso comunque che le concederò un' altra chance) ma questo è stato veramente duro da finire. Uno storia che parte con toni estremamente drammatici e finisce in favola, con l' arrivo di un principe azzurro, figlio di un miliardario che potrà garantire immediata ascesa sociale a quella che era all' inizio una povera derelitta. Il tutto è raccontato senza profondità psicologica. La protagonista è, nelle ripetute descrizioni, sempre bellissima, radiosissima, dolcisissima. Stucchevole.