La figlia La figlia

La figlia

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Ana è una ragazza estroversa, allegra, brillante. È la migliore alunna del corso di medicina a Belgrado, è amata dagli amici, è l’orgoglio di suo padre, il generale Ratko Mladić, che lei ricambia con una devozione assoluta. Un viaggio a Mosca è l’occasione per passare alcuni giorni in giro per una grande città con il solo pensiero di divertirsi. Invece al ritorno Ana è cambiata. È triste e taciturna. Una notte afferra una pistola, quella a cui il padre tiene di più, e prende una decisione definitiva. Ha solo ventitré anni. Cosa è successo a Mosca, tra corteggiamenti e feste, in compagnia degli amici più cari? Nelle allusioni e nelle accuse dirette Ana ha intravisto nel padre una figura spaventosa. Quello che per lei è un eroe e un genitore premuroso, per tutti gli altri è un criminale responsabile dei maggiori eccidi del dopoguerra: l’assedio di Sarajevo, la pulizia etnica in Bosnia, il massacro di Srebrenica. Crimini che lo porteranno a essere accusato di genocidio, in un processo che dopo una lunga latitanza ha avuto inizio nel maggio 2012. Pochi casi come quello di Ana rivelano in tutta la sua oscura profondità una condizione, la perdita dell’innocenza, al tempo stesso individuale e collettiva.



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La figlia 2022-01-02 13:17:19 Clangi89
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Clangi89 Opinione inserita da Clangi89    02 Gennaio, 2022
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Storie nella storia di guerra

Ho riletto il romanzo storico La figlia con il medesimo coinvolgimento di diversi anni fa. Il racconto è ambientato tra il 1992 ed il 1995, nella ex Jugoslavia, durante le atroci guerre serbo-croate.
La protagonista è Ana Mladi?, figlia di Ratko Mladi?, generale serbo condannato per crimini di guerra commessi nelle "liberazioni" di città considerate serbe ma occupate dai musulmani.
I capitoli si alternano alla carrellata di personaggi serbi passati alla storia, principalmente per cause di guerra.
Ana è studentessa di medicina a Belgrado, al rientro di un viaggio di studi a Mosca con amici inizia una fase di silenzi e tristezze.
La giovane non lascia alcuna lettera ed una mattina di tarda primavera del 1994 si uccide. Il suicidio avviene sparandosi con la pistola storica che Ratko Mladi? custodiva per lei, per festeggiare con degli spari propiziatori i futuri nipotini.
Ana nutriva una profonda adorazione per il padre, il nazionalismo nelle vene e la preoccupazione per le vicissitudini del genitore sul fronte bosniaco.
L'autrice ha approfondito le voci che circolavano sugli ultimi mesi della giovane donna, incastrando la fantasia letteraria alla storicità dei terribili eventi storici. Pare un atroce incubo che nei balcani si siano verificati quegli eventi sotto gli occhi europei.
Le atrocità della guerra, le uccisioni di massa, violenze e soprusi sui e sulle civili non hanno avuto tregua per anni. Nel racconto tale aspetto emerge in maniera egregia. L'autrice tratta la doppia vita del generale e quanto fosse diverso tra vita pubblica e privata colui che è meglio conosciuto per la strage di Sebrenica. Una orrenda pagina della storia recente.
Si mischiano personaggi politici dell'epoca, piccole e grandi storie nelle more del romanzo, 400 pagine da divorare per non smettere di conoscere.

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La figlia 2018-01-19 15:46:15 dettole
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dettole Opinione inserita da dettole    19 Gennaio, 2018
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Il boia aveva una figlia

“La figlia” di Clara Uson Sellerio 2013
Il 24 marzo 1994 Ana Mladic, figlia del Boia dei Balcani Ratko, si uccide.
La scrittrice catalana Clara Uson prende spunto da questo episodio per costruire un bellissimo romanzo, “La figlia”, un potente affresco epico sulla guerra nella ex Jugoslavia.
L’autrice intende ripercorrere, attraverso gli occhi di Ana, tutti i particolari della vita della giovane donna e del suo rapporto con un padre ciecamente ammirato. Tuttavia, afferma Clara Uson, “il mio libro non è solo su Ana Mladic, volevo raccontare la grande tragedia collettiva della disintegrazione dei Balcani, della guerra e del vergognoso comportamento dell’Europa”.
E ci riesce perfettamente l’autrice, facendoci vivere una tragedia storica che si intreccia e si accompagna alla tragedia tutta privata e personale della protagonista, con un libro ponderoso ma che, nell’impossibilità di abbandonarlo fino alla fine, si lascia leggere tutto d’un fiato.
In una terra in cui Albanesi, Turchi, Sloveni, Ebrei, Cattolici, Serbi e Musulmani vivono sotto la stessa bandiera senza tener conto né di “razze” né di religioni, la morte di Josip Broz, il controverso maresciallo Tito, mette fine alla pace ed alla concordia di questa nazione multietnica. Un acceso e sanguinario nazionalismo sprofonda i Balcani nella distruzione e nell’orrore: fratelli, amici, parenti, vicini di casa di colpo diventano nemici, in un terribile abisso di pazzia ‘legittimata’ dall’ appartenenza etnica e religiosa. “..quando il maresciallo morì scoprimmo che… non eravamo fratelli, nemmeno cugini… eravamo nemici. Come dimenticare Jasenovic, uno dei più grandi campi di concentramento nell’Europa del Terzo Reich, fondato da ustascia croati e diretto da sacerdoti cattolici dove erano morti seicentomila Serbi?”
E Sloboda Milosevic diventa presidente della Repubblica dei Serbi e leader delle loro rivendicazioni: tutti i Serbi in un solo stato per creare la Grande Nazione!
Esattamente in questo momento storico si muovono i due personaggi principali della storia: Ana e Danilo Papo.
Ana è una ragazza allegra, spensierata, brillante studentessa di medicina. Convinta che il suo popolo, i serbi, debbano imbracciare il fucile per la causa nazionale, ha abbracciato le idee di questo padre adorato, militare famoso, che lei considera un eroe che combatte per difendere il suo popolo. Lui, Ratko, adora sua figlia e lo dimostra con la violenza che gli è propria: la chiama “figliolo” al maschile per sottolineare che le vuole un grandissimo bene come solo ad un figlio maschio si può volere.
Tutto cambia con un viaggio a Mosca. In compagnia degli amici, grazie ai loro discorsi, Ana piano piano comincia ad aprire gli occhi e a capire chi sia veramente suo padre. Il generale Ratko Mladic non è un eroe, è il boia dei Balcani, è un pazzo criminale che si è macchiato di delitti orrendi. Al suo ritorno a casa Ana è cambiata, la sua vita è sconvolta: non riesce più a studiare né a stare con gli amici. Niente per lei sarà più come prima. L’autrice con acume e sensibilità, ci accompagna in questa lenta e inesorabile presa di coscienza di Ana, in questo suo annullarsi senza riuscire a reagire! Ana non è però in grado di condannare e rifiutare suo padre, può solo rinunciare a vivere. E noi lettori ci indigniamo per la fine di questa giovane donna che, se cerca all’inizio di conservare o ricostruire un affetto per suo padre, di ritrovare un residuo di stima, crolla quando leggerà i diari di guerra del generale. Avrà la certezza della disumanità di questo padre che, di proposito, ha mandato il suo ex-fidanzato, Dragan, a morire sul fronte. Una certezza che la ragazza non è in grado di sostenere.
Come in una tragedia greca il suo gesto non fermerà la storia: suo padre, dopo la morte della figlia, ordinerà l’operazione ‘Stella’ (come usava chiamare la figlia!), l'offensiva su Goradze e da lì su Srebrenica dove avverrà, sotto gli occhi di 600 caschi blu, l’eccidio di oltre diecimila civili bosniaci.
L’altro protagonista, Danilo Papo è un personaggio di fantasia, che rappresenta l’ideale della convivenza pacifica fra i popoli: amico e spasimante di Ana, Danilo è ebreo di Saraievo figlio di madre serba ortodossa e amico di croati e musulmani. Lui è la voce narrante dei vari avvenimenti storici che si dipanano nei capitoli che si alternano a quelli che raccontano la storia di Ana. Otto capitoli che delineano, con un amaro sarcasmo, il ritratto di altrettanti ‘eroi’ serbi aprendo una terribile galleria di criminali di guerra: Slobodan Milosevic, Radovan Karadzic e, appunto, Ratko Mladic. Karadizic che, spinto da Slobo, fu il fondatore del partito democratico serbo in Bosnia Erzegovina, dove “le etnie si distribuivano a macchia di leopardo”, e che aveva l’obiettivo di unire i Serbi di Bosnia ed i Serbi di Croazia alla futura Grande Serbia; e lui, Ratko Mladic, che dalle colline di Saraievo ordinava di sparare alla cieca senza distinguere fra militari e civili… ”di mirare alla carne per farli impazzire”.
Ma chi è impazzita è Ana, perché non è fuggita dal padre, perché, forse, ha creduto alle dure parole dell’amico Petar che, convinto che lei non sia presente, afferma : “Se mio padre fosse un bastardo serial killer, mi sentirei responsabile. Per ogni vita che la dottoressa Ana Mladic salverà, suo padre avrà lasciato migliaia di cadaveri”.
Un romanzo da leggere, quindi, non solo per conoscere la storia ma per pensare che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli.

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generalmente buone biografie storiche ad esempio Sangue giusto di Francesca Melandri
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La figlia 2014-11-06 08:15:44 sherlockgiumby
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sherlockgiumby Opinione inserita da sherlockgiumby    06 Novembre, 2014
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RAPITA

Dopo aver trascorso per lavoro diverse settimane in Serbia, desideravo leggere qualcosa che mi avvicinasse a quel complesso groviglio di culture che vedevo ogni giorno e che mi consentisse di capire meglio la storia e i vissuti di queste popolazioni.
Ho trovato La figlia un ottimo libro, capace di raccontare in modo scorrevole una delle più tristi pagine della nostra storia. Mi è piaciuto molto che il racconto della guerra sia fatto a più voci e ho trovato importante leggere anche la versione della figlia, Clara. L'affetto e la stima le impediscono di vedere con occhi sinceri quello che sta accadendo, è cieca di fronte al dolore altrui, non mette in discussione nulla di ciò che suo padre, l'uomo che più stima al mondo, le ha insegnato. Ecco allora un altro significato che questo libro può avere: mi ha aiutato a capire quanto siamo tutti condizionati, ciechi di fronte a molte cose, solo perché diamo per scontato che ciò che ci hanno insegnato sia giusto. Ho odiato Clara per la maggior parte del libro, specchio lei di quello che tutti noi siamo, fino a quando dimostra la sua fragilità dietro quel muro di preconcetti.
Ottimo libro per chi vuole conoscere un po' di storia della Jugoslavia e per chi vuole guardarsi dentro.

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La figlia 2013-09-08 10:31:19 enricocaramuscio
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    08 Settembre, 2013
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C’era una volta la Jugoslavia

C’era una volta la Jugoslavia: serbi, croati, sloveni, turchi, albanesi, ebrei, cattolici, ortodossi, mussulmani avevano messo da parte secoli di sangue e rancore per vivere uniti sotto la stessa bandiera in uno stato in cui non contavano né la razza, perché irrilevante, né la religione, perché bandita. Ma quando Josip Broz, meglio conosciuto come Tito, controversa guida politica di questa nazione multietnica venne a mancare la pace e la concordia finirono presto. Alla morte del “Maresciallo” infatti vennero subito rispolverate differenze e antichi risentimenti, ogni etnia rivendicò la propria indipendenza disseppellendo l’ascia di guerra, gli ideali di unità, fratellanza e uguaglianza inculcati nella gente dal vecchio regime vennero brutalmente soppiantati da un fervido quanto sanguinario nazionalismo, portando i Balcani a vivere uno dei momenti peggiori della loro storia. In questo terribile periodo si muovono i due protagonisti del libro di Clara Usòn, Ana e Danilo, due giovani amici, entrambi studenti, con tante cose in comune ma anche con tante differenze e divergenze di vedute. Ana, realmente esistita, è una convinta sostenitrice dello sciovinismo dilagante che porta il suo popolo ad imbracciare le armi per la causa nazionale (in questo caso Serba). Il suo modo di pensare dipende molto dall’ambiente in cui è cresciuta, suo padre è un militare molto famoso, un generale dell’esercito, un patriota che rischia la vita per difendere il suo popolo dai nemici e Ana lo adora e lo stima in maniera incondizionata. Il suo sogno è diventare presto un eccellente chirurgo e andare al fronte a salvare la vita agli eroi che combattono per la patria, così da seguire l’esempio del padre e rendersi utile alla causa serba. Ma i suoi castelli crollano impetuosamente quando la ragazza comincia a rendersi conto di chi è veramente l’uomo che l’ha messa al mondo: il generale Ratko Mladic è infatti conosciuto come il “boia dei Balcani”, un pazzoide esaltato responsabile di un incalcolabile serie di delitti contro l’umanità, dal genocidio alla violazione delle leggi di guerra. Scoprire che genere di mostro si celi dietro l’uomo che tanto ama e ammira sarà fatale per Ana. Danilo invece, personaggio di fantasia e voce narrante del libro, è un pacifista, un classico esempio di incrocio di differenti etnie e religioni, che non riesce a capire il senso dell’improvviso e violento nazionalismo che imperversa nei Balcani. Attraverso i suoi occhi ripercorriamo le varie tappe di una guerra atroce che si è combattuta a due passi da noi, nel cuore dell’emancipata Europa, tra l’imperturbabilità degli altri governi e lo scarso interesse dei mass media. Clara Usòn invece va a fondo nella sua importante e interessantissima ricerca storico-politica, non soltanto mettendo in evidenza le atrocità commesse ma anche denunciando l’indifferenza e addirittura le squallide connivenze grazie alle quali si è realizzato l’orribile progetto di pulizia etnica della ditta Milosevic-Karadzic-Mladic, cioè lo sterminio dell’intera popolazione mussulmana della Bosnia-Erzegovina, nonché l’intempestività di una Comunità Internazionale che ha deciso di intervenire solo a genocidio ultimato. Ottimo l’equilibrio tra reale e romanzato, impeccabile la cronaca, esaurienti le notizie. Inquietante l’analisi socio-politica che evidenzia quanto facile sia manipolare i mezzi d’informazione e raggirare le masse, quanto pericolosi siano i nazionalismi, a partire dal più innocente (in apparenza) campanilismo, e quanto siano sempre attuali le parole di Hegel quando diceva: “La storia ci insegna che gli uomini e i governi non hanno imparato nulla da essa”.

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La figlia 2013-09-04 10:57:35 luvina
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luvina Opinione inserita da luvina    04 Settembre, 2013
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La figlia dell'Est

La notte del 24 marzo 1994 una giovane donna poco più che ventenne si toglie la vita nello studio di casa con un colpo di pistola alla tempia: il suo nome era Ana Mladic.
E' partendo da questo che la scrittrice spagnola Clara Usòn ha costruito in quasi 500 pagine e dopo 3 anni di ricerche il suo splendido, eccezionale, potente romanzo.
Questo libro è il racconto in terza persona dell'ultimo mese di vita di Ana, del suo viaggio di piacere a Mosca insieme ai suoi compagni di università nel quale la futura dottoressa perde l'innocenza scoprendo che il suo adorato padre, che lei ama di un amore cieco e che la ama tantissimo al punto di chiamarla "figliolo" come un figlio maschio, altri non è che Ratko Mladic il Boia dei Balcani. Ana non poteva fare i conti con l'orrore, non poteva smettere di essere chi era, non aveva una via d'uscita e così nell'assoluto silenzio deflagra quel colpo di Zastava, la pistola preferita del padre che veniva pulita da entrambi come un rito e che sarebbe servita per festeggiare la nascita del primo nipotino di Mladic, a voler dire uccido il tuo sangue e quello futuro io muoio perché tu capisca la tua follia.
-"Lei alzò gli occhi, resse il suo sguardo qualche istante e li riabbassò subito. Aveva perso, non avrebbe mai potuto tener testa a un uomo che l'amava tanto"-
Ma, come in una tragedia, il suo gesto segnerà la Storia poiché suo padre il generale Mladic, pochi giorni dopo la sua morte, ordinerà l'operazione Stella (come lui chiamava la sua adorata figlia) cioè l'offensiva su Goradze e da lì su Srebrenica dove avverrà il più grave eccidio dalla Seconda Guerra Mondiale il massacro di oltre diecimila civili bosniaci.
Gli 8 capitoli che raccontano la storia di Ana si alternano ad altrettanti che hanno come voce narrante Danilo Papo, prototipo della commistione etnica pacifica nell'ex Jugoslavia, ebreo di Sarajevo con madre serba amico di croati e musulmani; Danilo, amico ed ex spasimante di Ana, intitola ironicamente ogni capitolo ad un "eroe" serbo e ne viene fuori una carrellata di criminali di guerra Slobodan Milosevic, Radovan Karadzic, Ratko Mladic (si salva solo il principe Lazar dal quale è iniziata la Storia). Danilo sceglie per sé la figura di Orazio che in Amleto ha il compito di raccontare la vicenda che qui è la guerra dei Balcani nel periodo 1991-1995.
Il romanzo diventa così una tragedia, uno sprofondare nell'orrore e nella stupidità del male; fratelli, amici, parenti, vicini di casa che di colpo diventano nemici, gli uni contro gli altri in un abisso scuro di follia legittimata da religione o appartenenza etnica. E' impossibile rendere i sentimenti che ci pervadono mentre si legge, il silenzio muto dei civili bosniaci che vanno alla morte, l'ignavia delle organizzazioni di sicurezza mondiali come l'Onu, la Nato o della stessa Europa che convivevano benissimo con presidenti e generali serbi. Nel 2013 la Croazia è entrata a far parte della Comunità Europea che nello stesso anno ha festeggiato i 70 anni di pace senza alcuna guerra "dimenticando" che solo vent'anni fa nel cuore dell'Europa si uccidevano fratelli e che sono ancora in corso i processi del Tribunale Internazionale dell'Aia per crimini di guerra e genocidio.
Colpisce molto il fatto che l'autrice abbia dato un taglio da romanzo russo, epico, al suo libro (dove in un capitolo c'è un interessante parallelismo fra la storia di Ana e "Dopo il ballo" di Tolstoj) come per farci entrare nella forma mentis slava, un po' diversa dalla nostra più occidentale. Questo romanzo ci prende sia dal punto di vista letterario con la triste Ana, sia dal punto di vista storico con il racconto di Danilo sia in ultimo come romanzo di una guerra della quale ancora oggi si evita (per vergogna?) di parlare.
Chiudo con tre "pensieri"
§ cit. dal romanzo -Non possiamo scegliere i nostri genitori, né l'epoca né il popolo con cui vivremo-
§ un ricordo -Io sulla terrazza della mia casa al mare in Abruzzo al tramonto durante le vacanze e il rumore dei caccia che passavano nel cielo e che andavano a bombardare le postazioni serbe-
§ un consiglio -Andate a vedere i filmati su Youtube perché tutto questo è successo davvero

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La figlia 2013-08-21 08:43:12 LuigiDeRosa
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LuigiDeRosa Opinione inserita da LuigiDeRosa    21 Agosto, 2013
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Era mio padre, purtroppo.

Ana è una ragazza socievole e brillante, sogna di fare il chirurgo, segue il corso di Laurea in Medicina presso l'Università di Belgrado con passione e profitto.I genitori sono orgogliosi di lei che oltretutto dimostra un profondo amore per la sua patria, la Serbia o Srbija come la chiama suo padre, generale dell'esercito serbo impegnato al fronte . Un giorno insieme ai più cari compagni di studio e amiche d'infanzia ,Ana va in gita a Mosca. La vacanza sembra trascorrere serena, fra bevute di vodka,champagne russo, amori e gelosie fra ragazze e corse lungo la Leninskij Prospekt. Il copione della gitarella fuori porta sembra essere rispettato, poi qualcosa di tremendo accade. Ana, la luce degli occhi di papà, a ventitre anni , tornata a casa, afferra la pistola del generale Ratko Mladi?, suo padre appunto, e si spara un colpo in testa: perchè? Qualcuno dei cosiddetti amici ha instillato nelle fragili e ingenue convinzioni della ragazza il veleno del dubbio?, della vergogna? Ratko Mladi?, sì, proprio lui, l'eroe di quella bella bambina bionda è un orco, ha fatto massacrare migliaia di innocenti come il suo comandante Slobodan Miloševi?,dunque l'equilibrio mentale di Ana non ha retto a questa terribile scoperta? Un romanzo potente che affonda il bisturi nella cancrena dell'odio razziale, comincia da lontano la scia di sangue serbo, dalla catastrofica battaglia di Kosovo Po?e del 15 giugno 1389 che vide fronteggiarsi i Serbi capitanati dal principe Lazar e i Turchi del sultano Murat, entrambi morirono massacrandosi,ma il fiume fatto di sangue e di cadaveri che impregna d'odio quelle terre non si è mai arrestato , ha scavato in profondità fin a riemergere dalle profondità argentee delle miniere di Srebrenika (srebro=argento) l '11 luglio 1995,
lì attraverso il delirio hitleriano di Ratko Mladi?, ottomila padri e figli non videro più la luce del sole. Leggendo il testo si intuisce lo studio che c'è dietro, almeno due anni l'autrice ha dedicato ai fatti terribili accaduti nella ex Jugoslavia, il suo stile è quello di un fotoreporter che testimonia senza rinunciare a capire quello che vede, lei stessa alla fine del romanzo, sembra mettersi in gioco, entra nel suo racconto, personaggio anche lei in cerca di un autore che possa rivelarci il perchè del male.

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