Narrativa straniera Romanzi La famiglia Karnowski
 

La famiglia Karnowski La famiglia Karnowski

La famiglia Karnowski

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La saga dei Karnowski comincia con David, il capostipite, il quale all'alba del Novecento lascia lo shtetl polacco in cui è nato, ai suoi occhi emblema dell'oscurantismo, per dirigersi alla volta di Berlino, forte del suo tedesco impeccabile e ispirato dal principio secondo il quale bisogna «essere ebrei in casa e uomini in strada». Il figlio Georg, divenuto un apprezzato medico e sposato a una gentile, incarnerà il vertice del percorso di integrazione e ascesa sociale dei Karnowski – percorso che imboccherà però la fatale parabola discendente con il nipote: lacerato dal disprezzo di sé, Jegor, capovolgendo il razzismo nazista in cui è cresciuto, porterà alle estreme conseguenze, in una New York straniante e nemica, la contraddizione che innerva l'intera storia familiare.



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La famiglia Karnowski 2016-05-18 14:09:45 Antonella76
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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    18 Mag, 2016
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Impeccabile sí, ma...



Grande e bellissimo affresco della società ebraica dal 1860 al 1940 attraverso tre generazioni: David, Georg e Jegor Karnowsky.
Singer è impeccabile nel raccontare le vicende di questi tre uomini, molto diversi fra loro, che vivono la propria cultura e le proprie tradizioni in modo completamente differente.
Si passa dall'essere un ebreo "illuminista", dedito quasi esclusivamente allo studio dei testi, all'essere un ebreo ribelle, che osa infrangere le regole e le tradizioni, fino ad essere un ebreo che, nel tentativo di rinnegare le proprie origini e il proprio sangue, finisce per perdere se stesso.
In realtà tutti e tre cercano, a modo loro, di prendere le distanze dalla loro "ebraicità".
La narrazione è accurata, ricca di dettagli, di situazioni, di storia, i personaggi sono ben delineati, anche quelli di contorno...ma a me è comunque mancato qualcosa.
Mi è mancata la passionalità, la forza trascinante che ti fa entrare "dentro" le pagine, mi sono mancati dei "picchi" di drammaticità (e le occasioni non sono certo mancate).
Anche le situazioni più "forti", più intense, vengono descritte in modo molto sobrio, quasi si volesse prendere le distanze da un certo tipo di emozioni.
Le ultime 4 pagine sono, di sicuro, le più belle, le più toccanti.
Non è la prima volta che mi capita di vivere questa dicotomia di sensazioni: il piacere di una scrittura impeccabile, elegante, fluida, eppure non riuscire a sentirmi parte della storia, proprio a causa di quell'eleganza, di quella sobrietà.
Non c'è stata la vibrazione, ecco.
Ma chi sono io per dire tutto questo?
Rimane un romanzo importante, dall'altissimo valore storico, che ci fa vedere la nascita del nazismo dall'interno della Germania, che ci racconta le rivalità presenti fra gli stessi ebrei aventi origini geografiche diverse, che ci sottolinea, soprattutto, come essere figlio del proprio tempo, in alcuni casi, può rivelarsi una terribile condanna.

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La famiglia Karnowski 2016-01-25 07:57:38 silvia t
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silvia t Opinione inserita da silvia t    25 Gennaio, 2016
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La famiglia Karnowski

Il lento scorrere della vita e delle giornate, le convinzioni che condizionano le scelte e che determinano gli eventi, di questo è fatto "La famiglia Karnowski", una sorta di mosaico in cui le tessere sono i personaggi che creano un disegno realistico e ci accompagnano nella mentalità ebraica, fatta di contraddizioni e di fede.
Fin dalle prime pagine, quando conosciamo quello che è il capostipite, avvertiamo una sensazione di instabilità, un atteggiamento che mal si concilia con un mondo, appena accennato fatto di semplicità e di familiarità, di piccoli gesti, ma di tanta umanità.
David, è un ebreo moderno, che vuol vivere in europa, scappando dalla Polonia in a cui è nato, vuole emanciparsi, vuol parlare tedesco e non Yddish, in qualche modo le sue radici non gli appartengono, non le sente, non capisce che esse rimarranno stabili nel terreno senza sradicarsi, quando perseguitati nella Germania degli anni antecedenti alla seconda Guerra Mondiale dovranno fuggire in America.
La trama si snoda su tre generazioni e non è priva di difetti, di ritmi sbagliati, ma nell'insieme funzionale allo scopo; quello che si respira nella lettura non è tanto la follia del nascente nazismo, che fa da sfondo a tutta la vicenda, ma come comportamenti dettati da convinzioni sbagliate possano condizionare la propria vita e quella degli altri, come genitori privi di quella maturità emotiva possano generare figli spaesati senza una guida e senza uno scopo.
La quantità di personaggi secondari è necessaria a descrivere il mondo ebraico, che sembra brulicare nel quartiere, tutte quelle persone che sono fuggite per cercare un mondo migliore, per vedere le proprie vite innalzarsi e divenire come quelle dei tedeschi, non sarà così, non lo sarà mai, un ebreo resterà tale, nel bene e nel male e di generazione in generazione questo è ciò che viene trasmesso, nonostante le resistenze dei padri, nonostante le resistenze dei figli, non c'è riscatto se non dell' accettazione prima e nell'orgoglio poi di appartenere ad un popolo così antico e così unito.
I personaggi rinnegano le origini, quasi a voler cancellare uno stigma, ma alla fine è sempre quell'essere ebrei che li salva, che li rende parte di un'unica grande famiglia, i cui membri possono fuggire, sbagliare, rinnegare, ma che alla fine sono costretti a riconoscere e accettare.
Lo stile è molto fluido, il lessico piuttosto ricercato e nella traduzione di Anna Linda Callow per Adelphi ha una musicalità che aiuta a rendere il tutto scorrevole e piacevole quasi fosse presente una colonna sonora a sottolineare i momenti più tragici o quelli più divertenti.
In sostanza un buon libro che trova la sua forza nelle conseguenze figlie di azioni, soprattutto dei genitori nei confronti dei bambini, descrive benissimo la totale incomprensione che si viene a formare e di come questa possa devastare la mente di un bambino.

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La famiglia Karnowski 2015-11-30 14:13:01 Cristina72
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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    30 Novembre, 2015
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“Nessuno può sfuggire al proprio destino”

Ho letto il libro sulla scia delle recensioni positive ma soprattutto per il desiderio di confrontarlo con “La famiglia Moskat”, del fratello dello scrittore.
Dal confronto, diciamolo subito, esce vincente il secondo per intensità e spessore, ma anche “La famiglia Karnowski” ha qualcosa da dire, e la dice piuttosto bene.
La storia dell'Ebraismo in Occidente con le sue varie ramificazioni e le sue luci ed ombre è spiegata attraverso le vicende dei personaggi, parallelamente al fenomeno dell'antisemitismo, seguito nella sua drammatica ascesa in maniera volutamente asettica e senza indugiare nell'autocommiserazione.
La parola “nazista” non è mai pronunciata - si parla piuttosto di “uomini in stivali” - con l'intenzione, forse, di non contaminare pagine in cui si fa spesso riferimento alla dignità di testi sacri e filosofici, offesa e minacciata emblematicamente dai topi.
L'immagine stereotipata dell'ebreo ambulante con la bisaccia risulta essere, alla fine, universale e molto vicina a quella di qualsiasi essere umano (“Nessuno può sfuggire al proprio destino...”), grazie all'empatia che lo scrittore riesce ad instaurare tra personaggi e lettore.
Questo è, a mio avviso, il merito principale del romanzo, che ha per limite una certa frettolosità in alcuni passaggi, soprattutto negli ultimi capitoli, oltre al fatto di ingenerare un po' di confusione in chi legge col susseguirsi delle generazioni (inconveniente peraltro frequente nelle saghe familiari).
Notevole il finale, che resta impresso nella memoria con l'intensità e la grazia di un bel piano sequenza cinematografico.

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La famiglia Karnowski 2015-06-05 10:18:47 MCF
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MCF Opinione inserita da MCF    05 Giugno, 2015
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Una storia antica scritta con lo stile moderno

Un bel libro, corposo e ben costruito. Narra la storia di una famiglia di ebrei polacchi che si trasferisce in Germania e poi, a causa delle leggi antisemitiche, fugge in America. La trama è avvincente, i personaggi sono descritti in modo che il lettore ne abbia un’immagine precisa; consapevole del collegamento tra corpo e mente, l’autore abbina l’aspetto al carattere; complessi, debolezze, qualità sono mirabilmente esposte: c’è il duro che vivrà nella fortezza delle sue convinzioni finché il mondo circostante glielo permetterà; poi dimostrerà tutta la sua intelligenza rivedendo le posizioni a lungo difese; il buono bistrattato sarà accolto con rispetto, l’idealista si scontrerà con la realtà. Splendida la parte relativa al dott. Zerbe, uno squallido individuo che sfrutta ignobilmente uno dei protagonisti, ingannandolo con fine psicologia.
Dal testo:
“I Karnowski della Grande Polonia erano noti per il loro carattere testardo e provocatore, ma allo stesso tempo stimati per la vasta erudizione e l’intelligenza penetrante. La genialità era iscritta nelle alte fronti da studioso e negli occhi profondi e inquieti, neri come il carbone. Ostinazione e sfida si leggevano sui nasi forti e sproporzionati che spiccavano beffardi e arroganti nei loro visi scarni: poche confidenze! È per via di questa testardaggine che nessuno in famiglia era diventato rabbino, anche se non sarebbe stato difficile, e tutti avevano preso la via del commercio. Per quanto non nuotassero nell’oro – si guadagnavano onestamente di che vivere e nulla più – i loro figli trovavano moglie tra le più ricche casate della Grande Polonia.”
“Il più svelto, vivace ed elegante di tutti è Solomon Burak, il proprietario del negozio. Snello, biondo, con un abito inglese a quadretti, la cravatta rossa e il fazzoletto di seta nel taschino della giacca attillata, un grosso anello a sigillo all’indice della destra, sembra più un commediante tedesco o il direttore di un circo che il padrone di un emporio non lontano dal quartiere ebraico. Dal suo modo di fare brioso e agitato traspare l’ebreo, e non tanto l’ebreo tedesco, quanto l’immigrato dall’Europa orientale. “Soldo più, soldo meno, “mormora a commessi e commesse“ l’importante è vendere. Voglio vedere movimento.” Acquista a basso prezzo e rivende a basso prezzo. Accetta pagamenti in contanti, in cambiali, a rate. Ma benché abbia lasciato la Linierstasse e la sua clientela sia tutta di gentili, non nasconde le proprie origini come fa invece la maggioranza dei commercianti ebrei del quartiere. Il suo nome ebreo spicca a grandi caratteri sull’insegna. Non cerca neppure di nobilitare l’emporio impiegando commessi dai capelli biondi, preferisce assumere parenti suoi o della moglie, che fa arrivare da Melnitz.”
Si percepisce che Singer ha pianificato e preparato la storia con puntiglio curando tutti i particolari. Ma manca di quella fluidità e di quella passione che contraddistinguono i libri dei secoli passati; gli autori di un tempo riuscivano a dare vita e ad avvicinare i personaggi al lettore che ha l’impressione di seguire le vicende di cari amici e rimane spaesato e triste quando arriva all’ultima riga. Qui invece, i protagonisti e coloro che li circondano rimangono prigionieri della carta stampata; quando la storia finisce, finiscono anche loro e il lettore li dimentica.

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I Buddenbrock
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La famiglia Karnowski 2015-06-04 16:52:35 f.martinuz
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f.martinuz Opinione inserita da f.martinuz    04 Giugno, 2015
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Essere ebreo

“La famiglia Karnowski” rientra tanto nella categoria del romanzo di formazione quanto in quella letteraria del romanzo familiare.
L’intera vicenda, che copre circa 60 anni di storia e quasi 500 pagine, ha come fulcro la famiglia di origine ebrea dei Karnowski, le cui vicende vengono narrate secondo un ottica maschiocentrica da David, dotto erudito ebreo trapiantato nella vitale Berlino di fine ‘800, Georg, abile e affermato medico, e Jegor, figlio di Georg che metterà in mostra un conflitto personale e profondo tra due lati di sé tanto contrastanti tra loro negli anni ’30 del Secolo Breve: quello ebraico e quello tedesco-ariano.

La vicenda prende le mosse negli anni ’60 dell’800 quando il novello sposo David, appassionato cultore del Talmud e delle tradizioni ebraiche tanto da rasentare il bigottismo ed il fanatismo, si trasferisce a Berlino con la moglie Lea. Qui Singer espone, tramite la parabola ascendente di David, la relativa facilità di inserimento e integrazione culturale facilitata dalla presenza corposa di correligionari coi quali David si diletta a conversare di religione e filosofia.

Il clima comincia a mutare con la nascita di Georg che, non appena cresciuto, fa esplodere il conflitto generazionale tra lui, cittadino tedesco nato in Germania, ed il padre, legato inscindibilmente alle sue radici. Georg sin da subito si dimostrerà reticente ad abbracciare gli strambi precetti religiosi che il padre e il maestro della sinagoga tentano di insegnarli e predilige invece le ragazze, il divertimento ed il bere disdegnando qualsiasi approccio ai libri e agli studi. Sarà solo grazie ad una focosa e giovane ragazza che Georg si approccerà alla professione di medico tanto da diventare il più illustre luminare della Berlino del primo Novecento.

Il matrimonio tra Georg e la fragile Teresa Holbek darà alla luce Jegor, la figura più tormentata e forse più interessante dell’intero romanzo. Jegor è infatti figlio del suo tempo, ammaliato dalle adunate dei nazisti ma intrappolato in una contraddizione dal quale non riesce ad uscire; dileggiato, insultato, schernito e umiliato dal preside della scuola davanti a centinaia di studenti e ufficiali nazisti. Questa esperienza psicologicamente violenta segnerà il resto della sua vita in Germania e sfocerà in un cortocircuito di odio senza senso nei confronti del suo essere ebreo, nei confronti del padre Georg e della sua etnia alla quale lui stesso non può sfuggire. Lui, cittadino tedesco a tutti gli effetti, considerato alla stregua di un ebreo.

Il contesto in cui i Karnowski vivono si fa insopportabile e, come prevedibile, si trasferiscono negli Stati Uniti dove li attende un futuro incerto. A soffrire il “nuovo mondo” è ancora una volta il diciottenne Jegor che tenterà in tutti i modi di ricongiungersi follemente con il suo “Heimat”, la Germania che l’ha cacciato.
“La famiglia Karnowski” è un romanzo dove la Storia assume i connotati di un fattore esterno che influisce sulle vite dei Karnowski ma che non ha la pretesa di occupare la scena. Molto curioso è per esempio il fatto che Singer non pronunci mai la parola “nazismo” ma si riferisca ai militanti in camicia nera con l’epiteto riduttivo di “uomini in stivali”, quasi volesse ridicolizzarli.
Singer inoltre mette in sequenza temporale i diversi modi con i quali le generazioni di ebrei si sono rapportate con la Germania dove, in breve tempo, sono passati da apprezzati eruditi e professionisti del mestiere a minaccia ed erbaccia da estirpare.

FM

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La famiglia Karnowski 2015-05-19 12:54:06 Mancini
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Mancini Opinione inserita da Mancini    19 Mag, 2015
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Un viaggio lungo tre generazioni

Le scelte di ognuno di noi, a volte contestualizzate nel confine stretto di alcune convinzioni del momento o più profondamente determinate dal temperamento che ci caratterizza e ci forgia, finiscono inevitabilmente per ricadere anche sui nostri figli.
Siamo un po’ quello che i nostri padri hanno deciso (inconsciamente) che noi saremmo stati.
Quando David Karnowski, il patriarca, decise di lasciare la natia Polonia, troppo stretta per il suo spirito libero, non poteva immaginare dove sarebbe finito di lì a breve.
La storia che ci racconta Singer, quello meno noto, quello che il Nobel, al contrario del fratello, non lo avrebbe mai visto, è la storia di tre generazioni (nonno – padre – figlio) e di tre Nazioni (Polonia – Germania – USA), ingredienti messi in un unico contenitore e miscelati sapientemente per dare vita a questo riconosciuto capolavoro della letteratura Americana di stampo Ebreo.
Sono infatti molteplici gli elementi che accomunano i tre Karnowski, tutti e tre perennemente in fuga da qualcosa e da qualcuno.
Se David sceglie la Germania come alternativa alla stantia Polonia, suo figlio Georg a sua volta, dopo l’esplodere della morsa antisemita hitleriana, non ha troppo tempo per decidere e fa quello che molti suoi compagni di sangue fecero in quel tempo, emigrare in America.
Lo fa per dare un’alternativa valida a suo figlio Jegor, sempre più oggetto di scherno da parte dei suoi compagni ariani, sapendo che per se stesso, medico ormai famoso e apprezzato, si tratterà di una regressione dalla quale non si sarebbe più ripreso.
E come in gran parte delle fughe, in gran parte delle corse a perdifiato dove non c’è una meta concreta, dove l’incertezza è l’unica guida, arriva il momento dello schianto, un grosso muro, prima offuscato dalla nebbia dell’ignoto si presenta di fronte e ci si finisce contro, inermi, senza avere il tempo di frenare!
E chi ne pagherà le conseguenze più nefaste è proprio l’ultimo dei Karnowski, Jegor, troppo fragile per sopportare quei cambiamenti e troppo vessato da quelle ideologie marce, causa dello scempio mondiale che si stava consumando.
Lui, che nemmeno si considerava un Karnowski, che preferiva assumere il cognome della madre, lei sì che era ariana, piuttosto che passare per ebreo; eppure lì dove la volontà e le convinzioni interne possono mentire, le caratteristiche esterne cedono il passo alla cruda verità, i capelli e la carnagione scuri, il naso prominente, quello dei Karnowski e la testardaggine, anch'essa presente in tutti e tre i nostri personaggi, che tanti guai ha loro provocato, ma che allo stesso tempo conferisce loro quell'autenticità che non può far restare indifferenti.
Una storia, forse come tante, ma mai abbastanza banale da “muovere gli animi” e soprattutto il ricordo, unico mezzo per garantire ancora dignità a tutte le povere vittime di quell'assurdo male che fu l’antisemitismo.

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P. Roth
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La famiglia Karnowski 2015-05-10 17:53:02 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    10 Mag, 2015
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UNA SAGA APPASSIONANTE

Questo libro è una vera e propria saga familiare e narra le vicende della famiglia Karnowski coinvolgendo ben tre generazioni differenti: quella di David innanzitutto, ebreo osservante ed ambizioso che decide di emigrare dalla natia Polonia a Berlino in cerca di fortuna e di un ebraismo più illuminato e sapiente di quello vissuto in patria. Quindi la generazione di Georg, figlio di David, ebreo non osservante e ribelle tanto da sfidare apertamente suo padre sposando una donna non ebrea, ed infine quella di Jegor, figlio di Georg, personaggio pieno di contraddizioni ed insicurezze. Dunque tre personaggi così diversi, ma dotati di personalità ben delineate e tratteggiate dall'abile mano di I.J. Singer., scrittore che dimostra di conoscere bene i punti di forza, di debolezza e le tradizioni del popolo ebraico al quale del resto appartiene.

Il vissuto storico della Germania nel quale i tre co-protagonisti sono inseriti non rappresenta solamente lo sfondo attorno a cui fare vivere David, Georg e Jegor, ma è parte integrante del loro comportamento, del loro modo di agire e di pensare. Più specificamente la Prima Guerra Mondiale costituisce “l'humus” attorno al quale si forma la figura professionale di Georg, che matura come uomo e come medico durante la sua esperienza al fronte, vissuta appunto, da ufficiale medico al servizio dei soldati tedeschi in guerra. La fine della guerra, il fallimento bellico e la crisi economica dilagante che porta al periodo di super inflazione, con la totale perdita del potere di acquisto del marco, sono i presupposti che conducono la Germania ed il popolo tutto ad abbracciare la follia dell'ideologia nazista, dalla quale scaturirà poi l'odio viscerale verso gli ebrei. Il momento storico a cavallo tra le due guerre sarà anche quello che condurrà alla crisi la famiglia Karnowski, crisi economica ma anche umana e relazionale, soprattutto nei rapporti tra Georg ed il figlio Jegor che non riesce a riconoscersi nella sua identità ebraica ed esalta invece la razza ariana della madre. Il peso di questa anomala situazione si scaricherà sulla già debole personalità di Jegor al quale non basterà l'allontanamento dalla patria natia, con destinazione gli Stati Uniti e la città di New York, a sanare i suoi contasti interiori.

In definitiva Singer ha l'indubbio merito di descrivere con grande accuratezza la situazione degli ebrei in Germania in un periodo storico così cruciale come quello di transizione tra le due guerre mondiali. Le vicissitudini dei Karnowski e di altre famiglie ebraiche sono raccontate con dovizia di particolari, attingendo anche alla tradizionale terminologia yiddish, tanto nel loro vissuto privato quanto nella loro dimensione pubblica perché, come dice David Karnowski al figlio Gregor, occorre comportarsi da tedesco in strada e da buon ebreo in casa.

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Scrittori di origine ebraica, ad es. P. Roth.
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La famiglia Karnowski 2015-04-08 12:39:22 siti
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siti Opinione inserita da siti    08 Aprile, 2015
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Di padre in figlio

La storia narrata è l’evoluzione del ramo maschile della famiglia Karnowski a partire da David, antichassidico e polacco, che in atto di ribellione e rifiuto abbandona il suo villaggio per recarsi a Berlino e lì prosperare con il suo ingegno commerciale. Divenuto padre, ha difficoltà ad educare suo figlio Georg non tanto ai valori religiosi, già da lui ampiamente contestati, quanto alla scalata sociale, al doversi dare una collocazione valida e di spessore prima e dopo la Grande guerra in bilico tra l’essere ebreo in casa e tedesco fuori. La difficoltà educativa aumenta col mutar dei tempi e delle condizioni socio-economiche :il padre si allontana dal figlio proprio in virtù di un matrimonio misto e mentre gli ebrei colonizzano Berlino da Dragonerstrasse a Kuffusterdamm eccellendo nei più svariati campi, da quelli tipicamente commerciali ai ruoli intellettuali e sociali più accreditati, la pura razza ariana conoscerà un dilagante risentimento. Nuove ondate migratorie ebree avanzano minacciose da est e sono avvertite come un pericolo dagli stessi tedeschi ebrei. Un misto di sconfitta militare, dure condizioni di pace, perdita di territori e di ricchezze, crollo del mito imperiale, concreta difficoltà economica a causa della svalutazione del marco e della rapacità degli sciacalli, il tutto condito dal più pericoloso risentimento dei reduci di guerra resi inutili e non riconvertibili, alimenta l’odio ariano . Georg diventa stimato ginecologo e acquisisce la tanto agognata posizione sociale, il Nuovo Ordine ribalta il suo destino e quello della sua famiglia. Diversa è invece la formazione cui è destinato suo figlio, Jegor, il risultato dell’unione mista genera un ragazzo debole e sfiduciato che trova la massima espressione nell’ odio razziale dapprima come vittima poi come carnefice: il suo cammino di formazione sarà a cavallo di due razze, due mondi, due continenti e la sua formazione avverrà per lo più in America.
A dispetto di quanto finora detto, sono in realtà le figure femminili a vivere di maggior forza nell’economia del romanzo. La figura femminile è declinata in una ricca varietà, si incontra il prototipo della moglie devota e mansueta, quello della donna emancipata e aperta alla carriera politica, quello della fine seduttrice ed emancipata in altra veste. In quasi tutti i casi sono figure positive sul piano etico e morale mentre le principali figure maschili riflettono le fratture, i dissidi, i contrasti del rapporto padre-figlio, ebreo- tradizione, ebreo-innovazione.
Complessivamente un buon romanzo con un interessante impianto narrativo deprivato però della carica riflessiva, la scrittura è quasi puramente narrativa, raramente l’autore si abbandona a considerazioni alte e se lo fa è poco più che un accenno, per me questo il più evidente limite. Il pregio maggiore l’ambientazione berlinese e la sua contrapposizione a quella americana.

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La famiglia Moskat
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La famiglia Karnowski 2014-10-28 11:46:01 GPC36
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GPC36 Opinione inserita da GPC36    28 Ottobre, 2014
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Per lo scaffale dei classici

Il libro è tanto coinvolgente e di tale rilevanza che non ho saputo sottrarmi al desiderio di unirmi alle belle recensioni già ospitate.
Definire “La famiglia Karnowski” una saga familiare può apparire riduttivo, per un romanzo in cui si intrecciano strettamente i rapporti tra la comunità ebraica e i”gentili”, la loro evoluzione nella fase della nascita e della conquista del potere da parte dei nazisti, i dissidi culturali interni al mondo ebraico, la drammatica tensione interiore che nasce dalla ricerca di un punto di equilibrio per la convivenza fra le due identità di ebreo e di tedesco, con le lacerazioni che ne derivano nei rapporti intergenerazionali..
Il romanzo è articolato in tre parti, corrispondenti alle figure centrali di tre generazioni, ma anche ai tre paesi in cui è ambientato: Polonia, Germania e Stati Uniti.
David, la figura cui è dedicata la prima parte, è un appassionato cultore delle tradizioni e della religione ebraica, tanto da lasciare la Galizia per Berlino a seguito di una disputa religiosa. In questa parte I. J. Singer, figlio e nipote di rabbini, conduce il lettore non ebreo nei rituali, nelle tradizioni e nella cultura yiddish, nelle citazioni talmudiche ed anche nei conflitti di pensiero del mondo ebraico. È la parte più suggestiva, con una ricca terminologia yiddish, resa accessibile da un glossario, che ci riporta ad una Germania vitale, in cui la componente ebraica e la società prussiana convivono senza amalgamarsi, ma con un reciproco rispetto basato anche su concreti interessi. David sintetizza la possibilità e la regola di convivenza nel principio "ebreo in casa, tedesco fuori".
Un equilibrio che si rompe già con il figlio Georg, indifferente a tutto ciò che riguarda l’identità ebraica, sino al punto di sposare una cristiana. Tale scelta porta alla rottura dei rapporti con il padre che constata amaramente l’inversione del suo principio di vita in quello di “essere goyim in casa ed ebreo fuori”. Un’inversione pericolosa quando l’antisemitismo diventa elemento fondante del nazismo al potere, provocando per i Karnowski il crollo della situazione di notevole benessere acquisita.
Non solo il matrimonio non è sufficiente per l’osmosi tra le due identità e per sfuggire alle persecuzioni, ma è causa di una pesante lacerazione per il loro figlio Jegor, affascinato dalla nuova ideologia e insofferente ad un’identità ebraica cui si sente condannato dai caratteri somatici, dalla circoncisione e che lo porta a subire umiliazioni dolorose. Una lacerazione che solo passando da un’esperienza drammatica potrà essere ricucita.
Come in “Giobbe” di Joseph Roth (un romanzo con cui vi sono, pur nella diversità del contesto, interessanti parallelismi) New York, dove si rifugiano per sfuggire al nazismo, non è la Nuova Gerusalemme, ma è solo la spiaggia su cui approdano dei naufraghi che dovranno ricostruire, faticosamente e dolorosamente, una nuova esistenza.
Pubblicato nel 1943, la shoa non compare ancora in tutta la sua dimensione, ma le ombre cupe del nazismo che dominano la scena ne fanno già prevedere i tragici sviluppi.
Oltre alla trama, la narrazione splendida e la ricchezza di personaggi accuratamente tratteggiati, fanno di questo libro una lettura imperdibile. Un grazie ad Adelphi per averlo recuperato!

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Giobbe di P. Roth
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La famiglia Karnowski 2014-08-29 18:19:51 diogneto
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diogneto Opinione inserita da diogneto    29 Agosto, 2014
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C A P O L A V O R O!

Non è semplice recensire un libro della portata della Famiglia Karnowsky.... ci si prova a è un po' come cercare di mettere il mare in un secchiello!

La prima parola che mi è venuta in mente, al termine della lettura con ancora il fazzoletto denso di lacrime in mano è CAPOLAVORO! Spiegarne il motivo sarebbe ridurne la portata alle sensazioni personali... ma forse è quello che devo trasmettere e ci provo:

sono sempre stato interessato dalle storie di famiglie che si mescolano alla storia recente... la prima opera che mi viene in mente è quella che sta portando avanti Ken Follet con la sua Millennium! Ma qui la Storia è un personaggio quasi secondario.... le vicende della famiglia Karnoswky hanno una potenza a sé stante e, in alcuni passaggi, sembra coprire la Storia facendola quasi scomparire dallo sfondo.

La razza, la voglia di emergere, il patriarcato, il ruolo della donna, la medicina, il nuovo mondo.... ma tra tutti questi temi si erge ad attore principale il rapporto padre- figlio dolorosa lotta che lascia ferite che si tramandano di generazione in generazione... Questo evolversi delle generazioni, questo voler quasi slegarsi dal passato, rimane incatenato ad una religione, come quella ebraica che, nelle radici profonde ha uno dei valori fondanti!

Come fondere le radici con questa voglia di volare? Come essere fedeli al Padre ma volerlo superare?

Alla fine del libro tutto torna... come un cerchio che si chiude sembra tornare tutto a posto! ma nel chiudersi ti lascia in testa una domanda... una domanda che non ha né tempo né storia, o meglio è fondo a tutti i tempi e tutti le storie...la vorreste sapere vero? No no... leggetevi il libro e vedrete che troverete molte risposte ma, se vi sforzate, troverete anche quelle domande che magari da tanto tempo portate dentro....

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