La donna mancina
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Gelo austriaco
Questo romanzo dà l'impressione di certi quadri metafisici: una realtà che pur nella ricchezza di particolari realistici ha qualcosa che non va, di irreale e di glaciale. La mentalità che appare fin dalle prime pagine è ben diversa dalla nostra. Bruno, innamorato della moglie, la porta a cena fuori, poi i due dormono in una camera di lusso del ristorante. Il figlio di otto anni resta a casa solo, ma tanto ha il loro telefono e c'è abituato. La mattina la donna come se scherzasse e senza un litigio caccia di casa il marito e gli impone di andare a convivere con Franziska, la maestra del figlio. Tutte le situazioni che si creano in seguito hanno qualcosa che non va. Il clima surreale e metafisico lo è troppo poco per essere intrigante. D'altra parte la mancanza di sentimenti della donna, che non viene chiamata per nome, ma solo donna, come se non avesse un mondo interiore lascia sconcertati. Mai l'autore ci dice come si sente o ci fa entrare nei suoi pensieri. Il romanzo si limita a descrivere una serie di azioni e di dialoghi, tutti molto freddi e letterari anche quando si parla di approcci sentimentali o quasi. Le situazioni che si creano sono tutte molto strane come nei film di Bunuel ma rese in modo meno efficace.
Il romanzo assomiglia abbastanza a una sceneggiatura teatrale. Emergono la mancanza di affetti, di relazioni, la solitudine, il gelo dei rapporti umani che toglie gusto alla vita e identità ai desideri. Nelle relazioni con diversi personaggi "la donna" non fa un passo verso nessuno. E' come una sfinge priva di ogni slancio vitale. Emblematica l'aggressione al figlio come se volesse trasformare anche lui da Stefano a bambino senza identità.
Non è un brutto romanzo, non è scritto male ma a me non ha dato niente. Penso che qualcuno potrebbe trovarlo interessante.
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Una donna alla ricerca di se stessa
Marianne è una trentenne sposata con Bruno, direttore vendite di un’affermata ditta di porcellane. I due vivono agiatamente in un bungalow in un quartiere residenziale e hanno un figlio di nome Stefano. Il loro sembra un matrimonio felice, ma la donna un bel giorno decide di dare il ben servito al suo compagno pregandolo di andarsene da casa e lasciarla da sola con il bambino, senza giustificare la sua scelta. Inizierà per lei un periodo di riflessione interiore che la vedrà rifugiarsi in una profonda solitudine, rifiutando compagnie, svaghi e avances e concentrandosi invece su se stessa e sul suo lavoro di traduttrice. Libro breve e glaciale, in cui l’autore racconta i tormenti di una donna alla ricerca del proprio Io, senza intraprendere una vera e propria analisi introspettiva della protagonista ma basandosi su piccoli particolari, su gesti quotidiani apparentemente banali e su vaghe informazioni riguardanti la sua vita che più che spiegare fanno intuire velatamente quali potrebbero essere le ragioni della sua scelta e la maniera in cui la donna affronta le conseguenze della sua decisione. Una decisione che Marianne sembra difendere con sempre maggiore fermezza e convinzione, dichiarando esplicitamente che non cerca la felicità, anzi la teme, dimostrando fastidio nei confronti di chi vuole spiegarle come è fatta lei e indifferenza verso chi cerca di starle vicino e verso i blandi tentativi del marito di riconquistarla. Decisa, misteriosa, impassibile, la protagonista affronta un viaggio nei meandri della propria identità che va oltre la fuga dal matrimonio e la conquista di una libertà fine a se stessa.