La donna abitata
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La donna abitata.
"Il mondo non -è- in nessun modo. Questo è il problema. Siamo noi che lo facciamo in un modo o nell'altro."
Nell’immaginaria città centroamericana di Faguas, Lavinia trova lavoro come architetto in uno studio importante. Per lei, rampolla dell’alta borghesia cresciuta nella bambagia e con studi raffinati alle spalle, è la prima occasione per entrare in contatto con la realtà e con l’ingiustizia. La dittatura militare a cui il paese è sottoposto favorisce i ricchi, ma schiaccia le classi medio-basse ed alimenta un clima di violenza ed ostracismo che ben presto risulta intollerabile. Nonostante la provenienza agiata, la ragazza entra in crisi soprattutto perché si innamora –riamata- del collega Felipe che si rivela essere uno dei capi del Fronte di Liberazione Nazionale. Lentamente, Lavinia capisce di non poter più rimanere inerte e comincerà il suo personale percorso all’interno del Movimento, facendo i conti con la paura, la violenza, l’amor di patria, gli ideali di giustizia tanto facili da dichiarare ma difficilissimi da tradurre in atti. Su di lei, però, veglia qualcuno di speciale: è lo spirito di Itzà, una guerriera azteca che a suo tempo ha lottato contro i Conquistadores e si reincarna nell’albero di arancio che Lavinia ha nel giardino. Grazie ai preziosi frutti, l’essenza della donna entra fisicamente nel corpo dell’altra guidandone le azioni. Si intrecciano così due esistenze lontane nel tempo, ma vicine nelle esperienze, in un ricamo di amore, dolore ed eroismo che fa di questa storia un’avventura epica ma allo stesso tempo vicinissima al vissuto.
La donna abitata è un libro di grande impatto emotivo, perché approfondisce vari argomenti su cui tutti – prima o poi – finiscono per arenarsi. Il tema centrale è di sicuro il concetto di giustizia, declinato poi in giustizia sociale, a cui si correla il dubbio se sia giusto o meno utilizzare la violenza pur di ristabilirne almeno un poco. I concetti universali di Bene e Male sono dunque sviscerati e rappresentati attraverso il conflitto interno dei protagonisti, ma su di essi domina anche la tematica femminile – si noti bene: femminile e femminista – che ci fa interrogare sull’equilibrio, sulla società, su ciò di cui la nostra epoca ha veramente bisogno.
Inevitabilmente, i personaggi fanno i conti con l’amore e la morte quindi è molto interessante seguirli mentre si destreggiano fronteggiando le entità più soverchianti che l’umanità conosca.
L’eco storica e fantastica portata dalle figure di Itzà e Yarince non è disturbante in questa serie di riflessioni, soprattutto perché mostrano come i temi universali non vengano scalfiti dal tempo e come –anche se gli uomini sono mortali – certi ideali possano veramente sopravvivere.
Di fatto, La Donna Abitata è una storia che travalica i secoli e gli spazi per annidarsi tra le pieghe nascoste della sensibilità di ognuno, mettendo il lettore alla prova, affascinandolo e coinvolgendolo continuamente. Una lettura da non perdere, dunque, che piacerà senza dubbio al pubblico femminile e potrebbe far riflettere a lungo i signori uomini, in un confronto delicato, ma allo stesso tempo spiazzante e stimolante.
“La donna abitata”:
Nessuno sarà padrone di questo corpo di laghi e vulcani
di questa mescolanza di razze,
di questa storia di lance;
di questo popolo amante del mais,
delle feste al chiaro di luna;
del popolo dei canti e dei tessuti di tutti i colori.
Né lei né io siamo morte senza un progetto, senza lasciare un’eredità.
Siamo tornate alla terra da dove ancora torneremo a vivere.
Popoleremo di frutti carnosi l’aria dei tempi nuovi.
Colibrì Yarince
Colibrì Felipe
danzeranno sulle nostre corolle
ci feconderanno eternamente.
Vivremo nel crepuscolo della gioia
nell’alba di tutti i giardini.
Presto vedremo il giorno colmo di felicità
le imbarcazioni dei conquistatori allontanarsi per sempre.
Saranno nostri l’oro e le piume
il cacao e il mango
l’essenza dei sacuanjioces.
Chi ama non muore mai.
Indicazioni utili
Lavinia-Itzà
Lavinia è una studentessa di architettura presso la facoltà di Bologna che, una volta conseguiti questi, decide di tornare in patria, a Faguas, luogo ove trova impiego presso un prestigio studio. Si stabilisce altresì nella casa che la zia, con cui ha trascorso attimi essenziali della sua vita, ed ormai venuta a mancare, le ha lasciato. Detta manifestazione di indipendenza suscita il disappunto tanto dei genitori quanto del ceto dei “verdi” a cui ella appartiene. E’ inoltre qui che essa conosce Felipe, uomo affascinante con cui inevitabilmente inizia una relazione talvolta offuscata dai misteriosi impegni di questa figura a tratti sfuggente. Il primo pensiero va alla possibilità di un tradimento, alla possibilità di non essere la sola, alla possibilità che egli frequenti altre donne. Detto timore viene meno una notte come tante quando egli fa ritorno a casa con un uomo ferito da un colpo di arma da fuoco. E’ così che Lavinia scopre le attività segrete del compagno, è così che scopre che egli è impegnato nella lotta di liberazione tanto che, dopo un primo momento di sconcerto e terrore, arriverà a maturare il desiderio di entrare con lui in clandestinità.
Con “La Donna abitata” Gioconda Belli riesce, attraverso l’ambientazione in una ipotetica città dell’America Latina chiamata Faguas, a far rivivere al lettore quella che è stata la dittatura di Somoza. La storia non ha fretta, parte con calma e con calma si sviluppa, ben descrivendo quelle che sono le amicizie della protagonista, le sue ambizioni nonché l’universo ovattato che la congiunge e separa dalla povertà che la circonda. Una condizione, quest’ultima, che esiste ed è tangibile con mano seppure sia parallela a quella ricchezza che tenta di offuscarla facendo buon viso a cattivo gioco. Lavinia dal canto suo segue il modello occidentale europeo ed utilizza questo archetipo anche quale espediente giustificatorio volto a chi può permettersi di chiudere gli occhi innanzi all’indigenza altrui.
In queste prime premesse si inserisce Itzà, spirito di una guerriera atzeca, figura spontanea, genuina, concreta che non comprende e si spiega questa passività. Ella è inoltre un personaggio da non sottovalutare; con la sua autenticità si presenta stratificata, complessa, caratterizzata da mille sfaccettature. Rappresenta il passato, rappresenta il conio delle antiche tribù nonché lo strumento con cui far fronte a questa indifferenza. E’ il mezzo con cui Lavinia può essere risvegliata dissipando il conflitto interiore.
Pacificazione, questa, che porterà a stravolgere anche il senso della vita, dell’esistenza. Vivere e morire assumeranno un significato, saranno espressione delle scelte e delle volontà che sono proprie del percorso di ognuno su questa terra.
Quello di Gioconda Belli è un romanzo forte, crudo, intenso. Un testo dove uno stile elegante e pacato sa essere al contempo tagliente ed efferato, sa essere al contempo appassionato e creativo, sa mostrare al lettore il conto che ogni colpa e merito comporta. Un elaborato dove il sentimento, gli ideali, l’amore, il femminismo, il riscatto, la politica, la povertà, la ricchezza, la guerra, i conflitti esterni ed interiori, sono colonna portante ma anche punta dell’ice-berg di una serie di contenuti estremamente vasto e articolato.
Indicazioni utili
"La vita trova il modo di rinnovarsi"
Davvero difficile rendere giustizia ad uno dei libri che è risultato essere tra i più coinvolgenti in cui sono incappata in questi ultimi anni. E mi sorprende essere la prima a recensirlo. Così tenterò di fare del mio meglio per incuriosirvi e rivalutarlo adeguatamente.
Gioconda Belli, ne “La donna abitata”, fa rivivere la dittatura di Somoza in una ipotetica città dell’America latina, Faguas. Ispirandosi alla sua diretta esperienza nel Movimento di Liberazione Nazionale Sandinista, ci si ritrova coinvolti nella doppia (o forse più) vita della protagonista Lavinia, figlia di una famiglia “verde” (aristocratica) ed abile architetto che, dopo aver terminato gli studi in Europa, ritorna a Faguas per vivere come una donna libera e indipendente (suscitando il malcontento dei genitori e vari pettegolezzi nell’ozioso “ceto verde”). La storia prende avvio quasi in totale normalità, raccontando delle abitudini, di esperienze passate e dell’infanzia, delle vecchie e nuove amicizie della giovane, della bolla di sapone in cui è contenuta e che, nello stesso tempo, la congiunge e la separa dalla realtà misera e squallida che la circonda. La povertà e la ricchezza vivono l’una accanto all’altra, guardandosi senza osservarsi.
Lavinia si lascia vivere seguendo il modello di donna europeo, non per ambizione, ma per accentuare questo distacco: la compassione e la pietà sono solo sentimenti giustificatori, che attenuano il senso di colpa di chi può vivere chiudendo gli occhi di fronte all’indigenza altrui.
Ad osservarla c’è l’ingegnoso personaggio di Itzà, che non comprende la sua inspiegabile passività: Itzà è ciò che c’è di mistico, leggendario, fascinoso, è lo spirito di una guerriera azteca che si rinnova nella fioritura della natura della sua terra. La più spontanea ed autentica percezione del mondo, in tutte le sue manifestazioni. Ciò che maggiormente colpisce è la purezza e naturalità della relazione tra uomo e donna. Così essenziale, eppure anche così complessa:
“ L’uomo ci sfugge, scivola tra le nostre mani come un pesce in un fiume calmo. Lo colpiamo , lo tocchiamo, gli diamo fiato, lo ancoriamo tra le gambe e continua ad essere distante come se il suo cuore fosse fatto di un altro materiale. […] Per lui, l’amore era ascia, uragano. Lo smorzava perché non gli infiammasse il senno. Lo temeva. Per me, invece, l’amore era una forza con due estremità: una di filo di fuoco e l’altra di cotone e di brezza. […] Non potevo accettare che portassero dentro di sé solo l’ossidiana necessaria per le guerre. Mi sembrava che non manifestassero l’amore per il timore di sembrare donne.”
Itzà è l’autoctonia pregnante di chi, per primo, si è conformato alla terra: “un rapporto di comunione con la natura e in una sua umanizzazione o viceversa, nella –naturalizzazione- della specie umana” (Gioconda Belli). Itzà è il suono delle antiche tribù che deve continuare a battere, è “la lama per tagliare l’indifferenza”.
Solo quando le due donne abiteranno lo stesso sangue, l’essenza di Lavinia sarà risvegliata, l’enigma femminile si dissolverà, pacificando il dissidio interiore. L’esistenza assumerà il valore arcano che dà contenuto e spessore alla morte. Vita e Morte parificate. Vita e Morte presentate non come deserti sterili, ma feconde, perché riempite di significato e sentimento. Vita e Morte, violentate dal mondo circostante, sono modellate da scelte e votate alla riconquista dell’integrità.
“E’ l’unica cosa che di noi è rimasta: la resistenza.” (Itzà)
Perfetto stilisticamente. Immaginate uno corda in costante tensione che non vi permetterà di distrarvi, ma di piangere e ridere assieme ai personaggi. Luci e ombre, miserie e grandezze, di una compagine di cui ciascuno di noi fa parte con le proprie colpe e meriti.
Credo di aver anticipato fin troppo. Ma ciò che è importante capire è che, anche in una realtà così ferina, cruda e solitaria, l’umanità è possibile finché si perseguirà l’Amore (“imperfetta approssimazione della vicinanza”) per il proprio compagno, per i propri cari, per i propri ideali, tanto più alti, tanto più nobili, quanto più condivisi. Ed è l’amore l’impulso dominante, il principio ricercato e trovato da Itzà, e smarrito da chi è venuto dopo.
Dunque, leggete “La donna abitata” e lasciatevi amare.