La custode di mia sorella
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Un figlio preferito c'è sempre
Quando ho cominciato la lettura de "La custode di mia sorella" ero tanto esaltata per il titolo in sé (che continuo comunque a considerare una scelta geniale!) quanto dubbiosa del contenuto effettivo. Non si può negare che lo spunto sia decisamente interessante, ma capita spesso di leggere buone idee svilite in trame poco solide; da questo punto di vista, Picoult non mi ha propriamente deluso, ma ciò non toglie che da una premessa simile si potesse ricavare un romanzo più coerente e lineare.
La narrazione si apre su Upper Darby, città fittizia nello Stato del Rhode Island; qui vive tra molte difficoltà la famiglia Fitzgerald, causate soprattutto dall'aggressiva forma di leucemia che anni prima è stata diagnosticata alla figlia mediana Katherine "Kate". Letteralmente concepita per essere la donatrice perfetta per la sorella, la tredicenne Andromeda "Anna" si trova di fronte all'ennesima richiesta dei genitori: donare uno dei suoi reni per salvare ancora una volta la vita a Kate. In questo caso Anna decide però di opporsi, assumendo l'avvocato Campbell Alexander per intentare una causa di emancipazione medica contro la sua stessa famiglia.
Il volume è narrato in prima persona, alternando però diversi POV che mostrano le riflessioni di tutti i Fitzgerald, oltre a quelle di Campbell e della tutrice ad litem Julia Romano. Questa decisione inizialmente non mi convinceva troppo (specie per l'eccessiva retorica nei capitoli di Anna), ma pian piano ho realizzato che la cara Jodi era riuscita a rendere ben distinguibili le voci dei protagonisti. In generale, ho trovato caratterizzati in modo solido tutti i personaggi, attorno ai quali si sviluppano delle affascinanti dinamiche relazioni disfunzionali che sono forse il maggior pregio del libro.
Il volume è molto interessante anche per gli ottimi quesiti etici che suggerisce al lettore, a prescindere dal modo in cui l'intreccio li sfrutta: è giusto fare pressione morale su un donatore? o anteporre il benessere di una persona sana alla possibilità di salvarne una malata? oppure ancora concentrare la propria attenzione in via prioritaria su uno soltanto dei propri figli? Un altro pregio -decisamente inaspettato- si nasconde nella traduzione, che fornisce al lettore nostrano una gran quantità di utili informazioni socioculturali tramite note a fondo pagina. E per concludere questa carrellata di punti a favore, devo assolutamente nominare la partenza: le prime scene sono molto incisive, con Anna che prova a racimolare qualche soldo per poi presentarsi a Campbell, dando già un'idea della sua determinazione.
Questo incipit incisivo non viene però supportato dal resto della trama, anzi si percepisce quasi una lentezza narrativa, che si scontra nettamente con la teorica urgenza della donazione alla base della storia. Il rallentamento è dovuto in parte alla volontà dell'autrice di rendere ad ogni costo sensazionalistiche le sue scelte narrative, ma anche alla quantità di sottotrame inserite successivamente. Alcune di queste servono soltanto a distrarre e fuorviare (come nel caso del padre abusivo di Campbell), altre avrebbero effettivamente beneficiato di maggior attenzione per potersi amalgamare al resto dell'intreccio -e penso in particolare a quanto viene mostrato sul personaggio di Jesse, il figlio maggiore dei Fiztgerald-, e poi c'è Julia. L'inutile Julia, con i suoi immotivati pipponi moralisti, con l'ancor più inutile sorella gemella e con una delle romance più casuali e fuori luogo di cui abbia letto recentemente.
Altri demeriti a margine sono le battute inadatte al contesto (quella del cane guida soprattutto diventa fastidiosa dopo un po'), l'esasperazione delle disgrazie che capitano alla famiglia protagonista, la presenza ridottissima della prospettiva di Kate -di cui capisco la ragione, ma ritengo ugualmente che avrebbe meritato più spazio- e la scelta di limitare quasi sempre al passato il POV della madre Sara: sarebbe stato interessante scoprire i suoi pensieri prima del finale, anche perché gli altri protagonisti raccontano dei flashback senza per questo interrompere la narrazione al presente. E proprio l'epilogo condensa l'altra grossa critica al romanzo, perché a quel punto Picoult ha deciso di immolare sull'altare della commozione ad ogni costo tutte le riflessioni fatte prima sull'autodeterminazione; e le tirate paternalistiche ed inconcludenti durante il processo fanno da adeguato contorno.
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ANNA SALVA SEMPRE
La storia di una famiglia e in particolare di due sorelle, Anna e Kate.
Kate è malata di leucemia e Anna è stata concepita in modo tale da essere una sua donatrice perfettamente compatibile e negli anni dona alla sorella sangue e tutto ciò che può servire. Ma quando si tratta di donare un rene la situazione cambia.
Anna decide di fare causa alla sua famiglia per opporsi al trapianto di rene. Ma cosa c'è dietro alla sua decisione?
C'è amore, rabbia e tanto sentimento e anche una piccola parte di egoismo, ma come ci sentiremmo noi a non essere padroni delle decisioni sul proprio corpo?
La scrittrice ci racconta dai vari punti di vista dei familiari, e anche dell'avvocato di Anna, cosa succede in questa particolare situazione.
Una malattia non tocca solo chi ne è colpito ma anche chi sta attorno e vediamo gli effetti in una famiglia normale che scende a patti con la vita.
A me è piaciuto molto questo libro l'ho trovato toccante e interessante soprattutto per i piccoli approfondimenti medici e legali.
Se poi si ha qualche sorella non si riesce a non farsi coinvolgere!
Il finale mi è dispiaciuto e l'ho trovato scontato e su questo punto ho preferito la trasposizione cinematografica.
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"La verità è che nessuno vincerà"
Quando la malattia varca la soglia di quel luogo che da sempre ha costituito il tuo rifugio, il tuo nucleo di affetti e che comunemente è appellato “casa” puoi dire addio ad ogni tua difesa, ad ogni confine di moralità ed immoralità perché l’istinto prevale sulla ragione, sulle conseguenze, su tutto.
Questo è ciò che accade nella famiglia di Anna: sua sorella maggiore Kate ha una particolare forma di leucemia, una patologia che oltre ad essere estremamente rara è anche enormemente aggressiva. E qui inizia il dramma. Quella di Anna è una storia come tante e come poche, chi nella sua vita è passato almeno in un’occasione per i meandri del malore (qualunque esso sia) conosce bene passaggi che collegano una disperazione all’altra, la rassegnazione dovuta all’incapacità di poter anche solo lentamente fare qualcosa e doversi altresì limitare ad osservare la sofferenza, la morte lenta ed inesorabile, o ancora lasciarsi illudere da un inaspettato miglioramento a cui segue un nuovo ed interminabile precipizio; chi al contrario non ha avuto questo onere potrà trovare i predetti passaggi quali non fondamentali, superflui e eliminabili, non per cattiveria, semplicemente perché non è abituato a veder scorrere le lancette di un orologio minuto dopo minuto, non è conscio di come questo possa sopraffarti, di quanto desiderio si nasconda dietro una attesa e dietro ad uno sguardo.
Il problema che l’autrice ci pone è quello della emancipazione medica di Anna che, a soli tredici anni, non ce la fa più, non se la sente più di essere donatrice per sua sorella; e non pensate che sia la richiesta egoistica di una bambina in fase adolescenziale, la nostra protagonista ha iniziato a salvare la sua consanguinea nonché migliore amica quando aveva appena 6 anni (e la maggiore nove) ed ora quel che le viene chiesto è un rene. Per dar voce alla sua pretesa Anna non ha altra scelta che rivolgersi ad un legale e portare la sua causa in Tribunale affinché un giudice terzo ed imparziale udite le sue parole ed il suo vissuto possa decidere quello che è il meglio per tutti loro. Arrivati ad un certo punto infatti non si tratta più solo e soltanto del diritto della giovane di disporre del suo corpo, si va ben oltre, si toccano temi di eticità e moralità indiscussa quale il diritto alla vita, la configurazione del diritto di vivere in modo dignitoso, lasciare andare anche quando non vorremmo.
A livello di famiglia tutti vengono toccati dalla situazione della malata, Kate stessa non è immune a ciò. Sara, la madre, non riesce a pensare nemmeno per un momento alla sua vita senza sua figlia e dunque esige che Anna doni il rene, talvolta le fa delle pressioni psicologiche tali che sinceramente la fanno odiare e spingono il lettore al limite poiché da un lato spontaneo è chiedersi “ma è impazzita, ma non si rende conto di quello che fa e delle conseguenze a cui sottopone sua figlia minore?”, dall’altro viene spontaneo associarsi a lei in una lotta che ci da per perdenti sin dall’inizio ma a cui non ci sentiamo di sottrarci perché si tratta pur sempre di una vita, si tratta pur sempre di una persona a noi cara (nel caso di specie di una figlia), Brian il padre è consapevole dei rischi del trapianto e mai vorrebbe rinunciare a Kate ma si rende anche conto che, per quanto sia difficile, forse è arrivato il momento di lasciarla andare, Jesse è la pecora nera del nucleo familiare e vive nella più completa invisibilità, ha fatto di tutto pur di attrarre l’attenzione dei suoi genitori seppur con scarsissimi risultati (vengono narrati degli episodi a lui relativi che fanno sinceramente prendere a cuore il giovane, che permettono al lettore di entrare in simbiosi con lui perché mai un figlio dovrebbe essere sottoposto alla malattia di una sorella/genitore etc ma nemmeno essere abbandonato da questi perché la priorità è un’altra), vi è Anna che è stata letteralmente progettata per essere la donatrice perfetta per la maggiore e la cosa peggiore è che è consapevole delle ragioni della sua nascita, infine vi è Kate e tutto l’universo che la circonda, la malattia, la voglia di lottare, tornare alla vita o lasciarsi semplicemente andare.
Personaggi forse secondari ma interessanti e di buona riflessione sono Julia, il tutore nominato dal tribunale, e Campbell l’avvocato intitolato dalla minore per difendere i suoi diritti di emancipazione medica. Tra i due esiste un affetto da sempre ma tanti sono stati gli avvenimenti che li hanno fatti allontanare tanto che il ritrovarsi dopo 15 anni gli offre il modo di spiegarsi e di chiarirsi delle rispettive incomprensioni e/o torti. Judge, il fedele pastore tedesco del legale, contribuisce insieme alle vicende amorose della coppia, a stemperare un po’ il clima che si crea nel romanzo e che come appare di tutta evidenza non è chiaramente leggero.
Che dire, stilisticamente il componimento è fluente, ogni capitolo vede l’alternarsi della voce narrante (caratteristica tipica della Picoult), parte con gran velocità tanto che il lettore divora le prime 210 pagine per subire dopo queste una leggera battuta d’arresto – a tratti si fa greve come (e a causa) dei temi trattati – ed infine giungere ad un finale che può deludere e non. La scrittrice riesce con questa scelta narrativa a ricostruire passo dopo passo i ricordi di gioia e di tristezza di queste anime. Chi legge tende a mutare più volte la sua opinione in quanto all’inizio si schiera contro Sara e a favore di Anna, poi tende a rivalutare Sara perché comprende che agisce come madre, successivamente entra in simbiosi con Brian e Jesse, nuovamente con Kate ed infine sul finale dopo le riflessioni dei due avvocati, del giudice e del tutore arriva alla conclusione che in determinati circostanze non c’è una scelta più giusta dell’altra, perché in taluni casi, comunque vada, non vi è mai un vero vincitore.
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Film o Libro
Premetto che ho guardato il film prima di aver letto il libro e che quindi non sono riuscita a farmi completamente trasportare dalla lettura perché troppo condizionata dai volti, dalle scene e dalla trama del film.
Sono rimasta un po' perplessa sulle stile scelto: ad ogni capitolo si saltava da un personaggio all'altro, da un periodo di vita ad un altro. Certo questo riesce a lasciare un quadro generale della situazione, di come hanno affrontato la malattia, di come le loro vite siano completamente cambiate, di come una famiglia felice sia crollata passo dopo passo; ma allo stesso tempo rende complicato seguire un filo logico della storia. Anche se ammetto che è bello vivere i loro ricordi come tali.
Mi è piaciuto molto che si soffermasse sui vari dettagli tecnici della malattia, con anche note a piè di pagina, questo mi ha permesso di non rimanere completamente estranea alla malattia e a capire meglio le varie situazioni e problematiche, ma soprattutto le varie scelte.
Ho invece trovato inutile la storia di sottofondo tra l'avvocato e il tutore ad item, distraeva troppo da ciò che era realmente interessante.
Avendo, come premesso, guardato prima il film sono rimasta molto sorpresa del finale. Ma non saprei sceglierne uno... chi come me li ha "visti" entrambi capirà che è impossibile preferirne uno!
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Puff pant...
La custode di mia sorella è un overdose di parole inutili,oltre ad essere un libro incentrato sul caso di una 13enne che fa causa ai suoi genitori per riavere diritti sul proprio corpo e non più una “cavia” che mantiene in vita la sorella maggiorenne, malata di grave leucemia.
Posso dire tranquillamente che essendo ben 428 pagine,la metà di queste(200 all’incirca) seguono il filo del discorso,il resto è tutto pappardella ,magari a qualcuno può piacere,tranne che a me. Sconsiglio questo libro per diversi motivi.
Prima cosa,come già specificato, non segue bene il filo conduttore della trama ma ci si perde nei meandri di storie personali di ciascun personaggio,verremmo a conoscere esempio la storia privata dell’avvocato o del tutore ad litem(difensore dei minorenni) descritta in modo prolisso e fuorviante.
Seconda cosa troppo descrittivo,troppi nomi dei medicinali e delle fasi della malattia,zeppo di termini medici e tutto quello che concerne l’ospedale.
C’è un motto: “Il troppo stroppia”,è bene mettere un limite a tutto; inoltre , francamente, non vedo a chi possa interessare la valanga dei medicinali citati o le precise fasi di certe procedure mediche o peggio ancora,come agisce la leucemia. Una descrizione dettagliata va bene solo all’inizio,ma se continua per tutto il resto del libro risulta pesante, ed è l’unico filo conduttore rimasto indenne.
In generis posso dire che all’inizio il libro sembra davvero promettente per poi perdersi in storie che non centrano nulla con la trama, a chi può interessare il rapporto sentimentale tra l’avvocato e il tutore ad litem? Va bene un accenno, un riassunto, o un modo di narrare secondario ,invece viene risaltato come fosse fondamentale. Il tutore ad litem per esempio,che dovrebbe impersonare una figura professionale,solida sia nel lavoro che nel privato,la possiamo trovare a qualche bar frequentato da tipi poco rassicuranti a trangugiare Tequila,narrando il suo amore perduto per l’avvocato …
Molto interessante guarda!
Per non parlare poi che questa donna viene ridotta al ruolo di “ragazzotta sentimentale” anziché di figura importante e professionale,pochissimi e radi sono i momenti in cui viene presentata come tutore ad litem e la mia impressione immediata è che la scrittrice abbia avuto l’intenzione di usare il personaggio per fini sentimentali,anziché il contrario.
Oppure a chi può interessare le rievocazioni del passato da parte dei singoli personaggi?
Esempio, ti ritrovi nel bel mezzo di una disputa da tribunale(ed è anche il motivo per cui ho preso il libro,voglio dire, ogni libro ha il suo preciso argomento o no?) e pendi dalle labbra dei personaggi che fanno causa e discutono,giri la pagina,curiosissima di sapere come proseguirà ed invece ti beccherai il ricordo di quando Tizia aveva 3 anni e giocava a nascondino blablabla, Caia che smaltava le unghie e blablabla,il ragazzo che fumava e blablabla,l’avvocato che da adolescente blablabla, io dico ma chissenefrega, e confesso di aver saltato pagine (e mica 2 o tre pagine, ma 10-20…50 pagine se non di più) per continuare con il filo della trama. (!!)
Alla fine …puff pant… saltando pagine divaganti e a scopo presumibilmente “rilassante” , sono arrivata finalmente alla fine del discorso,che… non mi è piaciuto per niente. Per carità,detesto i finali scontati ma…che razza di finale si è inventata la scrittrice? (Chi lo ha letto,capirà)
Non sconsiglio mai un libro senza una valida motivazione... per cui spero di non aver offeso la sensibilità dei lettori che lo hanno trovato meraviglioso.
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Piangerete, molto
Jodi Picoult ci fa entrare in una famiglia colpita dalla tragedia di una figlia con la leucemia, e del bisogno di una sorella che potesse procurare "pezzi di ricambio" come midollo osseo e tanto altro.
L'autrice si è ben informata sull'argomento, e rende tutto realistico, fornendo informazioni certamente reali.
Possiamo guardare la storia attraverso i punti di vista di Sara, Brian, Jesse, Anna, l'avvocato Campbell e Julia. Questa scelta narrativa è stata un'ottima scelta, perché ti dà una visione a 360°.
Tutti sono ben caratterizzati e con un passato alle spalle, tutti hanno ragione ma anche torto.
Il libro vuole puntare al dibattito pacifico su argomenti etici, non dando una risposta personale.
Chi leggerà si ritroverà diviso su quale fazione stare, fino all'ultimo.
Anna è la ragazza innocente ma forte, che è abituata sin da subito ad avere delle responsabilità, e già dall'inizio mi ha dato l'idea di essere confusa e che avesse un dibattito con se stessa che non dipendeva solo dalla scelta di aver fatto causa ai suoi genitori.
L'avvocato l'ho adorato, non so mi è subito piaciuto, così come Julia. E il fratello Jesse, non sono riuscita a dargli tutte le colpe.
La madre mi è risultata sino all'ultimo troppo testarda, troppo presa da sua figlia Kate per non notare cosa realmente volesse.
Ho pianto, pianto molto, come una stupida. Soprattutto nel finale, fin troppo improvviso. E' stato davvero un colpo di scena, che nel film hanno tolto, rendendolo a mio parere, troppo banale.
il libro vale, e anche molto. Lo consiglio, perché si esce da questa lettura meno cinici.
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IL PRIMO DI UNA LUNGA SERIE
Da qui comincia il mio incontro con Jodi Picoult, leggendo il suo libro più famoso, grazie all'omonimo film ( che lasciatemi dire lascia senza parole per la storpiatura del finale).
L'argomento estremamente difficile, ovvero la malattia, la lotta di una madre per salvare la figlia e l'amore della sorella minore che arriva a far causa ai genitori, pur di aiutarla.
I dolorosi passaggi della malattia terminale e della difficile vita che Kate ha dovuto affrontare, sempre fuori e dentro dagli ospedali e che ha coinvolto anche la piccola Anna, la sorellina messa al mondo per salvare la sorellona.
L'estremo amore dei componenti familiari attraversa le aule di un tribunale e culmina nel modo più triste ma inaspettato.
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Straordinario.
Circa un anno e mezzo fa vidi il film tratto da questo libro. Ne rimasi subito affascinata, mi piaceva la storia, drammatica anche se con un finale normale, che mi sono aspettata fin dall'inizio. Pochi minuti fa ho finito di leggere il libro e ne sono rimasta piacevolmente sorpresa sotto tanti aspetti. Prima di tutto è molto meglio del film. I personaggi sono tutti caratterizzati, Sara, Brian, Jesse, Anna, l'avvocato Campbell e Julia diventano quasi dei nostri conoscenti, questo perché il libro è diviso in tanti piccoli capitoletti dove ognuno di loro racconta l'evolversi della vicenda. E trovo questa una scelta di stile azzeccata. La trama è abbastanza semplice: a Kate viene diagnosticata in tenera età una forma grave e rara di leucemia, subito i suoi genitori le fanno iniziare le cure, ma ben presto si accorgono che queste non bastano. Con il consiglio del medico che segue Kate decidono di procreare una terza figlia che sia perfettamente compatibile con la sorella malata. Da subito Anna viene utilizzata come salvatrice della sorella, le dona sangue, midollo... Fino al giorno in cui le viene chiesto di donare a sua sorella un rene. Anna inizia una causa legale contro i suoi genitori chiedendo la sua emancipazione medica da essi, in quanto non vuole donare una parte di sé a sua sorella. La scelta di Anna può sembrare egoistica, ma non è ciò che sembra. In tribunale, quando giungerà il momento della sua testimonianza si scoprirà il vero motivo che l'ha spinta a fare causa ai suoi genitori. Leggendo il libro io ho amato Anna, i suoi pensieri e il suo personaggio stesso. Mi ha colpita molto una parte in cui rifletteva sulle persone in paradiso e a quanti volessero comparire quando vi arrivavano. Se una persona muore da vecchia non è detto che sia quello l'aspetto che vuole mantenere quando è in paradiso. Non svelo il finale a sorpresa, ma lascio a voi il gusto di leggerlo e di assaporarlo fino all'ultima parola e lacrima.
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Pura emozione
Quando ho iniziato a leggere questo libro, pensavo che mi sarei imbattuta in uno dei "soliti" libri che trattano le storie di protagnisti le cui vite sono tormentate dalla malattia. Mi sono dovuta subito ricredere.
La tecnica di scrittura la trovo molto originale. Ogni capitolo indaga la vicenda dal punto di vista di un personaggio diverso (caratteristica tipica anche di altri romanzi della Picoult) il che permette di capire i sentimenti di ogni protagonista. Tutta la storia é scritta al presente, il che stimola ancora di più all'immedesimazione nel protagonista: la scrittrice fa sentire il lettore quasi partecipe delle vicende, e le mostra vere ed istantanee, non come dei ricordi rievocati (sensazione che provo tutte le volte che leggo dei libri scritti al passato).
Alla fine del romanzo, mi sono convinta che la vera protagonista della vicenda non è Kate, l'adolescente colpita dalla leucemia, o Anna, la ragazzina nata in provetta per salvare sua sorella; credo che il centro di tutto sia Sara, la madre coraggio, che fa di tutto per proteggere la figlia malata, mentre lotta tutti i giorni contro l'istinto di trattare Anna come un dispenser di "pezzi di ricambio" per Kate.
É sorprendente la scoperta del vero motivo che spinge Anna ad intentare la causa per l'emancipazione medica contro i suoi genitori e il finale è assolutamente inatteso, da restare letteralmente senza fiato.
Chi ha già visto il film, non si faccia ingannare: il libro sembra quasi che racconti un'altra storia, a maggior ragione, visto che il finale è completamente diverso!
"La custode di mia sorella" è un libro che ti coinvolge in ogni pagina e ti colpisce con mille sensazioni diverse.
Lo consiglio a tutti quelli che hanno la voglia e la capacità di emozionarsi davanti alle cose semplici della vita che, per coloro che vivono delle situazioni difficili, possono diventare dei piccoli miracoli quotidiani.
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"Quando ti preoccupi più della vita di qualcun alt
12 giorni mi ci sono voluti per finire questo libro, e non c'entra niente con il fatto che ha 428 pagine. Decisamente no.
Una storia che ha dei pro, ma sopratutto dei contro. Inizio con l'ammettere una cosa: probabilmente iniziarlo subito dopo aver finito "Voglio vivere prima di morire" non è stata un'idea grandiosa. Sono entrambi libri dolorosi e amari, e trattano tutti e due la leucemia.. avrei dovuto aspettare del tempo tra uno e l'altro, ma così è andata, e così mi tocca recensire.
Forse erano troppo alte le mie aspettative, o semplicemente non ha retto il confronto con Voglio vivere prima di morire, fatto sta che è ben lontano dal passare a pieni voti. Quante stelle do? 3 e mezzo forse.
La custode di mia sorella è un libro che tocca tematiche profonde come la malattia, la vita, la morte e la sorellanza.
Anna ha tredici anni, ed è stata concepita in vitro per essere la donatrice perfetta per la sorella Kate, malata di leucemia. Fin dal momento della sua nascita, Anna ha dovuto donare parti di sè a Kate, a partire dal sangue del cordone ombelicale, e finendo, tredici anni dopo, con la donazione di un rene.
Ma cosa succederebbe se Anna si rifiutasse di continuare la vita da donatrice?
"Anna sapeva di essere stata messa al mondo per salvare sua sorella. Ma non era d'accordo."
La scrittura e la trama sono interessanti senza dubbio, ma c'è un particolare che mi ha davvero irritata: i capitoli in prima persona. L'intero libro è scritto in prima persona, diviso in capitoli dal punto di vista dei personaggi: Anna, la madre, il padre, il fratello, l'avvocato, Julia Romano.. davvero troppo. Capisco che per una storia del genere sia importante ogni punto di vista, perché se fosse stata la sola Anna a raccontarcela, non avremmo mai conosciuto i sentimenti di due genitori distrutti dalla malattia della figlia. Non avremmo capito il perché del comportamento scontroso e arrabbiato del fratello Jesse. Non avremmo scoperto il segreto dell'avvocato Campbell Alexander e del suo cane Judge.
Però, voglio dire, se questa era la scelta dell'autrice, andava scritto in terza persona. Probabilmente avrebbe perso un po', è vero.. ma così è davvero troppo confuso. Basta dimenticarsi per un istante il nome scritto a inizio capitolo e non ci si capisce più nulla.
Oltre a questo posso dire che non mi ha emozionato come avrebbe dovuto. Molto bello il finale, assolutamente inaspettato, ma.. non mi ha dato abbastanza.