Narrativa straniera Romanzi La cura dell'acqua
 

La cura dell'acqua La cura dell'acqua

La cura dell'acqua

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King, il padre, ha pensato a tutto: il territorio delimitato con il filo spinato, le boe al largo. È proibito sfidare quei limiti, nessuno deve oltrepassare il confine – in un senso e nell’altro. Proteggere le tre figlie è la priorità assoluta: insieme alla loro madre, King si impegna perché l’ambiente in cui vivono sia puro, libero dalle tossine che infettano l’aria al di là del mare, sulla terraferma. Una foresta in cui cercare un po’ d’ombra ogni tanto, la spiaggia tutta per loro, un grande hotel in disuso che è diventato casa. Solo qui, in questa necessaria segregazione, Sky, Lia e Grace sono al sicuro. Ma il confinamento non basta. Da tutta la vita le tre sorelle si allenano quotidianamente per scongiurare la minaccia che incombe su di loro, e su ogni donna. Del resto, per quanto duri, gli esercizi imposti dai genitori sono un sacrificio più che accettabile: le sorelle ricordano bene tutte quelle donne ferite che si rifugiavano lì per farsi curare. Ricordano i segni, sui corpi e nell’anima, e quanto era difficile, anche con le premure di King e Mamma, anche con la cura dell’acqua, eliminare le tossine con cui gli uomini le avevano contaminate. Grace, Lia e Sky hanno piena fiducia nei genitori, ed è per questo che ogni giorno rinnovano la loro volontà di non allontanarsi, di non fare e non farsi domande, di ubbidire alle regole di quel paradiso rovesciato. Ma un giorno King sparisce misteriosamente e l’autorità materna comincia a incrinarsi sotto il peso della perdita. Poi, all’improvviso compaiono tre naufraghi che con la loro presenza rendono tangibile il pericolo paventato per tutta una vita. E minano ogni certezza di quel mondo in cui le sorelle hanno sempre creduto.



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La cura dell'acqua 2023-09-12 14:15:06 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    12 Settembre, 2023
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La rivincita

«La forma che nostro padre si lascia dietro diventa rapidamente un vuoto in cui possiamo mettere il nostro lutto, e questo in un certo senso è un passo avanti.»

“La cura dell’acqua” non è un romanzo immediato. Non è uno di quei titoli che arriva “tutto e subito”, dunque, se come lettori amate i libri dai ritmi ben cadenzati, rapidi, in un continuo crescere di velocità e dove la storia appare subito per quella che è, questo non è il romanzo adatto a voi perché si struttura interamente come una metafora. È un racconto dove la prosa è chiara, cruda, essenziale ed anche visionaria, lo stile è anche disturbante in alcuni passaggi in quanto confondente. “La cura dell’acqua” è prima di tutto una metafora sul dolore delle donne, sulla sorellanza, la salvezza.
Una breve ma doverosa premessa che si rende necessaria quanto inevitabile per descrivere quella che è una favola noir che si snoda apaticamente e che altrettanto apaticamente o cattura o non arriva. Non prevede vie mediane, come spesso si suol dire, “o si ama, o si odia”.

«In effetti l’aria diventa più leggera; piccoli uccelli marini si avvicinavano alla casa, si libravano sul giardino, sulla piscina, e cantavano l’uno per l’altro. Eppure, oltre la foresta, oltre l’orizzonte, il mondo pieno di tossine era ancora lì. Aspettava il suo momento.»

A narrare la storia sono tre sorelle: Grace, Lia e Sky. Allevate da Mamma e King su un’isola protetta, lontana dal mondo infetto e accuratamente recintata dal filo spinato. Grace è la più grande, ha sperimentato il “mondo di fuori” da bambina e si riscoprirà incinta, Lia è giunta sull’isola ancora in fasce, Sky vi è nata. Sanno che nel mondo di fuori vi è la “tossicità” e che ogni volta che King, ogni circa tre mesi, vi va per far provviste, deve poi fare una serie di riti purificatori per liberarsi delle tossine. Si intuisce che nell’aria vi è una sorta di infezione che la aggredisce rendendola pericolosa per le donne. Come, dove, perché non è dato saperlo. Non ci viene fornita in questa fase risposta alcuna ai tanti quesiti. Altro grande nemico sono i sentimenti. Questi ultimi costituivano delle energie pericolosissime nel mondo di fuori, le tre ragazze devono sapersene difendere, devono in ogni modo non cedere mai a questi.
A far da sfondo acqua, aria e terra ma non anche il fuoco che viene al contrario sostituito dal sangue. Mamma e King usano la “cura dell’acqua” per liberare le donne ferite e intossicate così come le convalescenti che chiedono aiuto. L’ex albergo adibito a clinica, un po’ come succedeva ne “L’albergo delle donne tristi” della Serrano, è il luogo in cui è possibile auspicare della cura. Ci sono prove e rituali ben precisi (es. il sacco, la mussola) che devono essere affrontate dalle donne ma anche da Grace, Sky e Lia. Queste le irrobustiranno nel corpo ma anche nella mente. I rituali non esulano dal riguardare anche ciò che viene dal mondo di fuori; che si tratti di carcasse o relitti, tutto deve essere cosparso dal sale e affidato alla terra. Lontano dagli occhi, lontano dalla memoria.
A questa prima parte più descrittiva in cui conosciamo dei personaggi e delle abitudini sull’isola ne seguono altre due per un totale di tre sezioni complessive. Se nella prima sezione le voci si alternano tra tutte e tre le sorelle, Sky tra queste pagine è una bambina, nella seconda a parlare è Lia e nella terza Grace.

«I sentimenti forti ti indeboliscono, ti aprono il corpo come una ferita. Per tenerli a bada ci vogliono vigilanza e terapie regolari. Nel corso degli anni abbiamo imparato come smorzarli, come esercitare e rilasciare l’emozione solo in condizioni controllate, come padroneggiare il nostro dolore. Posso tossirlo nella mussola, intrappolarlo nelle bolle sott’acqua, farlo sgocciolare via dal sangue.»

Lia e Grace raccontano così la storia tra presente e passato, ricomponendola come un puzzle. Mamma e King sono figure estemporanee che non narrano. Sono narrati. Sono le due sorelle maggiori a descrivere le privazioni, l’isolamento e anche le prove. Sono loro che arrivano anche a descriverci della scomparsa di King da un lato, della nascita del figlio di Grace e dell’arrivo di loro; gli uomini. Due uomini adulti fratelli e un bambino. I loro nomi sono James fratello di Llew e zio di Gwil. Lia cede. Sente di essersi infettata. I sentimenti prendono il sopravvento. La presenza degli uomini scombussola ogni precedente certezza. Finisce anche con l’aspettarsi qualcosa, seppur non sappia cosa. Grace infine chiude il cerchio. Lei sa cosa sia il male, lei ha sperimentato il male di fuori.

«Piangere non ci è mai stato permesso, perché rende opprimenti le nostre energie. Piangere ti fa diventare umile e vulnerabile, ti strazia il corpo. Se l’acqua è la cura per il male che ci affligge, l’acqua che ci viene dalla faccia e dal cuore è acqua del tipo sbagliato. Ha assorbito il nostro dolore, e spargerla è pericoloso. Disperazione patologica era l’espressione che usava King per definire un’emergenza a cui bisognava reagire con la mussola, il confinamento, la testa sott’acqua. Emergenza eravamo io e le mie sorelle che piangevamo tutte assieme senza riuscire a fermarci.»

Ed ecco allora che i contorni della metafora prendono forma. Non è distopia, ma realtà. Un mondo reale sbilanciato, concreto, dove le donne sono espressione della loro fragilità mentre dall’altra vi è l’insofferenza più propria della sfera maschile che “condanna” quel bisogno. Senza mai rinunciare alla violenza, se necessaria. E come può la donna salvarsi? Trovare il suo riscatto, la sua occasione di vita? Con la sorellanza.

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