La cripta dei Cappuccini
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La scomparsa di un mondo
Una lettura molto bella e scorrevole, quella offerta da “La Cripta dei Cappuccini” di Joseph Roth (1894-1939), autore nato nella periferia dell’impero asburgico, lo stesso impero di cui egli si rivela un grande cantore.
Scritto e pubblicato nel 1938, il romanzo narra la rovinosa vicenda di Francesco Ferdinando, appartenente alla famiglia Trotta di recente nobiltà. Fa da sfondo la Vienna dell’ultimissimo periodo della Belle Époque, poco prima che scoppi la grande guerra che, come noto, porterà allo sfacelo non solo dell’impero in sé, ma anche al venir meno di un’epoca e di un mondo di certezze, quelli in cui si muove inizialmente il giovane protagonista dedito a ozio e frivolezze; nella narrazione subentra la parentesi legata agli scenari bellici dei confini orientali per poi ritornare a una città spenta dove niente è più come prima e i titoli nobiliari non salvano da debiti e ipoteche.
L’idea della morte e del disastro aleggia fin dall’inizio in queste pagine caratterizzate da una prosa coinvolgente e di grande piacevolezza, in cui, oltre a quello di Trotta, perfetta voce narrante, s’incontrano personaggi molto ben riusciti.
E la Cripta dei Cappuccini del titolo? Essa è il luogo che, nella capitale asburgica, accoglie le tombe imperiali, inclusa quella del vecchio Francesco Giuseppe, scomparso nel 1916 con il conflitto ancora in corso: superba metafora del tramonto di un impero e di una società di cui, come ben esprime la conclusione del libro, resta infine un grande vuoto e un’indicibile nostalgia per chi vi ha vissuto.
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"Inabili alla morte"
La Cripta dei Cappuccini, a Vienna, è il luogo di sepoltura dei sovrani asburgici. Il titolo del libro quindi risulta fortemente emblematico. Siamo introdotti infatti nella Vienna imperiale, ma all'apice della decadenza, con la sua 'gioventù bruciata', rampolli della società privilegiata di "scettica leggerezza" e "arrogante dissipazione", portatori inconsapevoli, per pigrizia, dell'imminente rovina.
L'Io-narrante è un Trotta imparentato con la famiglia dell'"eroe di Solferino" . Un romanzo dunque quasi in continuità di "La marcia di Radetzsky" dello stesso J. Roth.
"Era di moda allora, poco prima della grande guerra, una beffarda arroganza, una fatua professione di cosiddetto 'decadentismo' , di stanchezza immensa, mezzo simulata, e di noia senza motivo" . Gente insomma che ballava sul Titanic mentre affondava.. "La morte incrociava già le sue mani ossute sopra i calici dai quali" bevevano.
Erano giovani venuti su troppo viziati nella Vienna incessantemente nutrita dai paesi della Corona", e anche della guerra non sapevano nulla, così infarciti da quello che chiamavano 'senso dell'onore' col "fratello suo, il rischio".
Si tratta di un romanzo molto bello, una delle perle della letteratura mitteleuropea. Un libro di allarmante attualità, benché in un contesto assai diverso dal nostro.
Un percorso verso la consapevolezza ; triste risveglio in cui i reduci stessi si sentono "una generazione votata alla morte, che la morte aveva sdegnato" .
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letteratura mitteleuropea
Bellissimo
Romanzo che narra della prima guerra mondiale da una prospettiva originale: quella di un impero (Austro-Ungarico) che si dissolve e le conseguenze sulla borghesia e le altre classi sociali.
Joseph Trotta è un nobile sfaccendato che all'approssimarsi della guerra percepisce che qualcosa sta per cambiare radicalmente salvo non avere le forze e le competenze per indirizzare diversamente il cambiamento. In primo luogo Joseph sa che la borghesia viennese è parecchio pigra e sfaccendata quindi assolutamente inadatta alla guerra.
Joseph si sposa prima della partenza per il fronte come moltissimi altri giovani quasi a voler creare un legame che la guerra potrebbe rendere altrimenti irrealizzabile.
Prima di partire per il fronte si fa assegnare ad una compagnia diversa dalla propria per partire al seguito di un cugino e un amico ebreo carrettiere di umili origini , tra le truppe sono palesi l'inadeguatezza e la confusione alle alte sfere, i tre verranno fatti prigionieri e poi fatti fuggire da un carceriere benevolo ma finiranno per mettersi nei guai e trovarsi costretti a riconsegnarsi ai russi.
Ma lo svolgimento della guerra è trattato di riflesso, il cuore del libro è la situazione che il protagonista trova al rientro in patria al termine del conflitto : l'impero è ormai in rovina, i vecchi nobili senza arte nè parte vagabondano per la città ormai impoveriti di privilegi, usi, costumi e denaro.
Joseph trova la moglie imbarcata in una improbabile impresa commerciale con il suocero, una enigmatica donna con cui probabilmente ha una relazione e un intrallazzatore da strapazzo.
Il ragazzo, incapace di dare una nuova dimensione alla sua vita, si lascia trascinare in questa nefasta impresa ipotecando la casa di famiglia dove ancora dimora la vecchia madre che silenziosamente
accetta i cambiamenti imposti dal nuovo stato di cose e finisce per aprire le stanze della magione come camere per ospiti, che saranno niente meno che i suoi amici borghesi ormai in rovina
a ricreare un microcosmo di legami e amicizie che assistono impotenti al dissolversi di un'epoca.
La moglie, al contrario, fallita l'impresa artistica decide di voler intraprendere la carriera cinematografica e lascia Vienna e Joseph che una sera, all'avvenuta dichiarazione della presa del potere da parte della Germania nazista si ritrova solo e sconsolato a vagare per una Vienna crepuscolare cercando rifugio e conforto presso la Cripta dei Cappuccini dove riposa il "suo" imperatore Francesco Giuseppe I antico sovrano di un impero ormai perduto.
Ritmo compassato e linguaggio tipico di un libro scritto 80 anni fa, ma splendida descrizione del dissolversi di un impero non attraverso il crollo di edifici e muri ma tramite la perdita di punti di riferimento di consuetudini, modi di vivere e la povertà di mezzi e di valori.
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La perdita di tutto
(attenzione spoiler) C'è il 'prima' e il 'dopo' l'Impero Asburgico, visto attraverso le vicissitudini della vita del giovane Francesco Ferdinando Trotta. Il 'prima' è caratterizzato da un'apatia che è quasi una 'posa', una caratteristica dei giovani nobili, i quali passano le loro nottate viennesi tra gioco, donne e cameratismo. Trotta sente la mancanza di senso e ha coscienza di essere più vicino alla vita del popolo (da cui, per altro, proviene), incarnato nel cugino sloveno, venditore di caldarroste, e in un vetturino ebreo. Su questa gioventù la morte già incombe e al giovane pare di percepirla, così come, nonostante l'unità della patria, percepisce la diseguaglianza di etnie tanto diverse tra loro per religione e tradizioni. Il 'dopo' è pregno di un'altra apatia, quella che caratterizza la perdita di tutto, della ricchezza, della Patria, degli amici, della gioventù, dei 'bei tempi andati' ... Tutte cose che non saranno mai più uguali, in un futuro in cui niente è stabile e sicuro, e tutto è in fermento. Trotta perde la moglie: la perde la prima notte di nozze quando lui preferisce la compagnia di un vecchio servitore, la perde al ritorno dalla guerra quando la ritrova legata sentimentalmente a un'amica e la perde anche quando la riconquista perché Elisabeth vuole fare l'attrice e abbandona lui e il figlio; Trotta perde la madre amata e onorata, e rinuncia al figlio che affida a un amico, a Parigi; perde quel se stesso che, in fondo, non ha mai trovato. La linea di demarcazione è la prima guerra mondiale nella quale il protagonista combatte (rinunciando al prestigio del reggimento dei Dragoni e preferendo la fanteria dove sono arruolati il cugino e il vetturino ebreo a cui è legato), è fatto prigioniero dai russi e trascorre il periodo più sereno della sua vita, da fuggitivo, in Siberia, nell'umile casa di un intagliatore di pipe. Questo, forse, sarebbe potuto essere il suo destino se non fosse nato in una generazione destinata e segnata dalla morte. In chiusura vaga nella notte viennese e cerca rifugio nella Cripta dei Cappuccini dove sono sepolti gli imperatori, compreso Francesco Giuseppe, chiedendosi: 'Dove devo andare, ora, io, un Trotta?', quasi non fosse più nessuno. La scrittura è scorrevole e malinconica. Non ci sono picchi di eroismo, esaltazioni o eccessi, solo uno sguardo disilluso. Mi sono piaciuti molto i personaggi, quasi folcloristici.
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Disfacimento storico e personale
"...Dove devo andare ora, io, un Trotta?..." Una semplice domanda, poco consolatoria, esprime la disperazione e rassegnazione del protagonista, Francesco Ferdinando Von Trotta, di fronte all' impossibilità di immaginare un futuro che non sia la caduta di un mondo, il suo mondo, quell' Impero austro-ungarico che fino a quel momento aveva segnato un' epoca unificando popoli, culture, lingue e religioni diverse.
È un momento storico che è anche l' epilogo di un ideale personale, il disfacimento di un casato, la certezza che nulla sarà più come prima e che un presentimento si è fatto realtà e fredda desolazione.
Sin dall'inizio, in Francesco Ferdinando, erede di un casato di umili origini assurto a gloria e nobiltà grazie all' imperatore, aleggia una malinconica presenza, quell' idea di non essere figlio del proprio tempo, per non dire suo nemico, un giovane dotato di orecchio fine ma volutamente sordo.
Egli frequenta un mondo aristocratico dissipatore, malinconicamente presuntuoso, ignavo, è un giovane frivolo e sciocco, sfaticato, inconcludente, nottambulo ( di giorno dorme ), miscredente come tutti i suoi amici.
Eppure, oltre una banale apparenza sente e rimugina altro, vive la certezza che il vecchio impero sta morendo, accompagnato da tutti i sintomi della rovina. E proprio da un preciso sentimento, "...da quella sensazione di essere votati alla morte, nasceva un folle desiderio di vita..."
Francesco Ferdinando e' intriso dello spirito della vecchia monarchia ma sa che tutto sta cambiando o è già cambiato " ...ma la morte invisibile incrociava gia' le sue mani ossute sopra i calici dai quali bevevamo, noi non le vedevamo, non vedevamo le sue mani..."( espressione simbolo del disfacimento e ripetuta più volte nel testo ).
Attorno a lui molteplici partenze e ritorni, volti multietnici figli di quel vasto impero mitteleuropeo, sfruttatore delle periferie ma da tutti riconosciuto, da alcuni persino amato, si pensi al conte Chojnicki, considerato vecchio e maturo da chi era immaturalmente senza età, al vetturino Menes Reisiger, polacco, innamorato di un figlio geniale quanto rivoluzionario ed al caldarrostaio Joseph Branco, cugino del protagonista, sloveno di origine, animo semplice e nomade perenne.
E poi una madre austera e conservatrice di una tradizione decadente ed una giovane donna da amare e da sposare, Elisabeth, prima della partenza per il fronte ( lo scoppio della prima guerra mondiale ) e di una possibile fine annunciata, perché " ...ogni faccenda privata ormai era divenuta pubblica...", ci si sentiva liberi di fronte alla malattia, la grande guerra, e "...non si aveva piu' tempo per sapere se si agognava la morte o si aspettava la vita....".
È una guerra mondiale non perché vi partecipi il mondo intero, ma in quanto farà crollare il magico mondo della monarchia danubiana.
I combattimenti in Galizia orientale, la prigionia, il ritorno nell' inverno del 1918 in una città' fantasma ( Vienna ), l' impoverimento degli amici più cari, l' indebitamento della propria casata, il confinamento nella propria dimora, dove ".. nel bel mezzo di una patria distrutta ci si addormentava in una fortezza..."
Ormai l' inconsueto diviene consuetudine, in una vita nata obbligatoriamente dalle ceneri di un passato vivo solo nella propria memoria.
Tutto è cambiato ed in Francesco Ferdinando si spalanca un abisso di disconoscimento, attutito da un riavvicinamento alla vecchia e malata madre e dal disperato tentativo di riconquistare l' amore di una moglie in fuga ( aspirante attrice ), idealmente e fisicamente rapita da una donna enigmatica e possessiva.
All' orizzonte l' impossibilità di ricostruirsi una vita per incapacità e negazione, di dedicarsi ad un lavoro, debiti ed ipoteche si accumulano e non resta che aggrapparsi a vecchie conoscenze, affetti lontani, ritorni insperati, attorniato da losche figure scomparse rapidamente al soffio di affari svaniti .
La cruda verità riporta il protagonista alla rivisitazione di un passato rimpianto ma fallimentare, a quella giovinezza vissuta con leggerezza e senza amore che si era cercato di correggere invece di iniziare una nuova vita dopo avere trascurato ciò che era più importante.
Ma ormai è tardi, i confini del proprio mondo sono spariti, polverizzati, come il proprio casato, non resta che il ritorno a quel quesito poco consolatorio, sbugiardato dal proprio triste destino, dopo che "...ogni faccenda privata ormai è passata nel regno di cio' che è pubblico..."
Scritto nel 1938 ( durante l' esilio di Roth in Francia ) " La cripta dei cappuccini " è un romanzo con una prosa ricca, fluente, intrisa di verità storica, come la descrizione dettagliata di un mondo lentamente ma inesorabilmente scomparso anche se gelosamente conservato nella memoria del protagonista, ma è anche una visione personale dell' autore che attinge al proprio vissuto ( tra giornalismo, viaggi, poesia, sogno, esilio ) per trarre un bilancio della propria vita ( morirà nel 1939 ).
Ne esce un affresco spietato, lucido, tristemente vero di un momento storico così importante unito a tratti di interiorità, memoria, poesia, tra cultura e religione, tormento e rassegnazione, in un flusso narrativo affascinante e riccamente vestito, sintesi del pensiero e della poetica di un grande narratore.
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Dove devo andare, ora, io?
Visitando, diversi anni fa, la Cripta dei Cappuccini a Vienna rimasi colpita dalla quantità di fiori, biglietti e messaggi che adornavano le tombe di Francesco Giuseppe, Elisabetta e del loro sfortunato figlio Rodolfo. Sicuramente per la curiosità che da sempre suscita la figura di Sissi. Ma non solo. Forse anche per il fascino di un mondo dal sapore antico, che di ingiustizie sociali e incongruenze ne aveva tante, ma che, confrontato con il nostro oggi dominato dalla frammentarietà e governato dall’unica legge del denaro, appare quasi rassicurante con i suoi valori secolari, la sua sobria eleganza, il suo splendore austero, la sua unità capace di aggregare popoli e civiltà diverse.
La nostalgia e la malinconia per un mondo ormai tramontato sono proprio le sensazioni che pervadono le pagine di questo romanzo, scritto nel 1938 da Joseph Roth in esilio a Parigi. Abbracciano una manciata di decenni a cavallo della prima guerra mondiale, pochi anni capaci però di determinare la fine di un’epoca.
Francesco Ferdinando Trotta è un giovane viennese, rappresentante di una generazione di figli della vecchia e nuova aristocrazia austriaca, che passa le proprie giornate nella dissipazione, nella scettica leggerezza, nella colpevole ignavia. Una generazione che già porta inconsapevolmente su di sé i sintomi della rovina che travolgerà l’impero e le loro vite: “Sopra i calici dai quali spavaldamente bevevamo, la morte incrociava già le sue mani ossute.” L’incombere della prima guerra mondiale, col suo vento di morte, trasformerà il mondo in un cumulo di macerie e, al ritorno dal fronte, Trotta assisterà impotente al dissolversi della sua patria con i suoi ideali, i suoi costumi e il suo ordine, e al disfacimento della sua stessa vita.
Gli eventi storici sono solo sfiorati e le emozioni solo toccate, eppure in queste pagine si percepisce tutta la desolazione della fine di un’epoca e il vuoto di una vita in cui all’improvviso non c’è più passato, presente, futuro a cui aggrapparsi. “Dove devo andare, ora, io, un Trotta?”. L’Austria Felix non c’è più, l’imperatore è morto e riposa nella Cripta, la famiglia si sgretola: il suo frettoloso matrimonio rivela tutta la sua fragilità, in assenza di valori e solidità, e anche la forte e tenace madre, unico punto di riferimento di quel mondo antico, soccombe agli urti dell’età. E diventa allora più facile invidiare chi non c’è più e guardare alla morte come unica salvezza perché il peso della realtà, in cui non ci si riesce a riconoscere e che non si sa come affrontare, risulta schiacciante.
Profondo e struggente, da leggere.
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Riuscirò a mettere ordine nelle mie terre?
“Shall I at least set my lands in order?” – “Riuscirò infine a mettere ordine nelle mie terre?” Questo è l’interrogativo che si pone il Re Pescatore nella Waste Land di T.S.Eliot. E come nella Terra Desolata si celebra la dissoluzione e la frammentazione di un mondo passato che si tenta dolorosamente di ricostituire attraverso l’arte e la poesia, così il romanzo “La Cripta dei Cappuccini” di J.Roth, pubblicato nel 1938, l’anno dell’Anschluss, può essere considerato il canto funebre, l’epicedio dell’impero asburgico e di tutti i valori da esso rappresentati.
Al centro del racconto è il declino della famiglia Trotta, simbolo di un’epoca che va definitivamente scomparendo. Con la conclusione della prima guerra mondiale tutto l’assetto politico - geografico dell’Europa muta radicalmente. I grandi stati sovranazionali, come l’impero austro-ungarico, non resistono al mutamento dei tempi e le popolazioni più eterogenee, diverse per etnie e religioni, perdono quel punto di riferimento unitario nell’impero e si trovano a essere nuovamente, unicamente ruteni sub carpatici, ebrei della Galizia, sloveni e così via, senza una patria e con un incerto avvenire. Il passato diviene allora oggetto di nostalgia e di rimpianto.
In questa dolorosa situazione il protagonista, il cui nome, non a caso, è Francesco Ferdinando, dà dell’attributo “mondiale”, con cui veniva definita quella tragica guerra, una spiegazione del tutto aderente al significato intrinseco del romanzo : “[…]la grande guerra[…]viene chiamata ‘guerra mondiale’ non già perché l’ha fatta tutto il mondo, ma perché noi tutti, in seguito ad essa, abbiamo perduto un mondo, il nostro mondo…”.
Il rientro a casa dopo la sconfitta accentua le amarezze. L’amore di Elizabeth complicato e superficiale è destinato a tramontare squallidamente, come destinate al fallimento sono le avventure commerciali intraprese. Il giovane reduce Trotta, più incline a una vita contemplativa che portato verso iniziative avventurose, vede esaurirsi in breve il piccolo capitale rimastogli. Solo la vecchia madre, forte e tenace, rappresenta per lui un punto di riferimento. “La mia vecchia mamma, col suo vecchio bastone nero, teneva lontano il disordine.” È lei che rappresenta ai suoi occhi il vecchio mondo in declino e quando la malattia la priverà di alcune facoltà non potrà fare altro che vedere in lei la sua patria ferita e oltraggiata.
Senza affetti e senza casa, nostalgico di un mondo fatto di un ordine non solo estetico ma anche morale, disperato come Lear che nella sua cecità aveva compreso e colto il capovolgimento del mondo che lo circondava, vera profonda rivoluzione copernicana, si rifugia nella Cripta dei Cappuccini, il luogo ove può unirsi alla sola reliquia del passato, il monumento funebre dei suoi imperatori. E qui di fronte al sarcofago l’ultima tragica domanda, quasi un urlo disperato: Dove devo andare , ora, io, un Trotta?
L’eterno interrogativo dell’ebreo errante.
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Visioni di ciò che è stato
Joseph Roth è un autore da collocare storicamente in un periodo ben preciso.
La prima guerra mondiale, una fine dell'impero asburgico è ormai dichiarata, tante piccole civiltà differenti prima unificate e poi autonome, moltissime tradizioni.
La storia del romanzo è quella di un ragazzo della famiglia Trotta che descrive gli eventi precedenti e successivi alla guerra alla quale egli stesso è chiamato a partecipare.
I personaggi sono ritratti in maniera squisitamente dettagliata (penso al cugino Joseph Branco, o alla madre) e gli ambienti sono descritti in modo assai suggestivo.
Ho avuto l'impressione che spesso il romanzo perdesse il filo della narrazione, a causa di molti piccoli e ravvicinati eventi anche a volte fini a loro stessi, magari però da contestualizzare in una realtà di incertezze e incomprensioni.
In conclusione, ho trovato il romanzo davvero piacevole, ma ho la netta sensazione di non averlo capito a fondo.
Lo stile di Roth è fiabesco e al tempo stesso disincantato, poichè è riuscito infatti a raccontare di un periodo storico confusionario e disilluso con una prosa nitida e fiabesca, che non lascia spazio a esercizi di stile ma che è senza dubbio affine al linguaggio poetico.
Rimangono delle splendide e dettagliate descrizioni dell'Impero ormai decaduto, e di un'atmosfera incantata e mitteleuropea indubbiamente accattivante e fiabesca (nonostante gli avvenimenti sopra citati). Ho trovato dunque questo romanzo complessivamente non del tutto comprensibile, disilluso e al contempo piacevole, come forse era la sensazione dei personaggi in quel determinato ambito storico sociale.
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IERI, OGGI, DOMANI
Il proclama di Francesco Giuseppe “Ai miei popoli” irrompe in un mondo fatto di odore dolciastro di mele al forno e di castagne dei caldarrostai nella piazza.
La voce narrante, il giovane Trotta, figlio di un Trotta del casato di nuova nobiltà asservito agli Asburgo dai tempi dell’eroe di Solferino che salvò l’imperatore, si trova in Slovenia quando si annuncia lo scoppio della I guerra mondiale. È la terra dei parenti, lui è viennese, è un giovane come tanti, frivolo e inetto e non si è accorto delle “deboli avvisaglie” di un prossimo sfacelo.
È scoppiata la prima guerra mondiale, definita tale dal giovane non per il coinvolgimento di tante nazioni ma per il fatto che renderà lui orfano di un mondo, lo stesso “mondo di ieri” redivivo nelle parole dell’amico Zweig.
L’opera scritta nel 1938, l’anno dell’annessione, anticipa l’autobiografia di Zweig; è l’addio romanzato che il suo amico relegò ad un altro genere letterario.
L’ho trovata bellissima e ancor più umana.
Si avverte un sentimento struggente e nella storia di un singolo il destino di una generazione.
La guerra incalza, lui si precipita e sceglie per chi e per cosa combattere.
La guerra modifica il tempo e la sua percezione: i matrimoni pullulano, la morte avanza.
La guerra capovolge le volontà ma non modifica l’essenza di quella generazione, rappresentata, che vi partecipa. “ Erano venuti su troppo viziati nella Vienna nutrita dai paesi della Corona”. Vienna parassita, Vienna matrigna dei suoi figli compianti, Vienna culla dell’impero che si avvia allo sfacelo. Belle queste pagine.
La guerra diventa subitanea e ingloriosa prigionia, al rientro, la sopravvivenza una vita svalutata come la nuova moneta, la vita la costruzione di una nuova identità e il rifiuto di una contemporaneità che non potrà reggere il confronto con un mondo che non c’è più. Un mondo che ora esige il passaporto per avviarsi verso lo sfacelo che però, ora , il nostro protagonista saprà, a differenza di altri, presagire.
Uno sguardo lungo all’ombra della più rassicurante cripta dei Cappuccini che, conservando le spoglie mortali degli imperatori, unica gli dà conforto.
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e altre opere di Roth
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SERVUS
Stupita dal fatto che un grande narratore come Joseph Roth sia così poco recensito su qlibri.
Del sopracitato autore ho letto molto tempo fa’ la leggenda del santo bevitore’ secondo me molto bello,
pochi giorni fa ‘la tela del ragno’ ed ora , il libro che vado a recensire.
E’ il suo ultimo romanzo, prima della morte e, credo, la sua opera più bella.
Narra di Francesco Ferdinando Trotta, ufficiale dell’esercito asburgico, monarchico, nipote del sottotenente che salvò la vita all’imperatore, diventando l’eroe di Solferino, parente del ramo nobile dei Trotta.
La narrazione avviene agli inizi del novecento , periodo abbastanza frivolo per il nostro protagonista, attraversa la prima guerra mondiale, che lo vede come ufficiale combattente e poi come prigioniero dei russi.
Infine il dopoguerra , con tutte le problematiche della divisione dei territori dell’impero, e i problemi di sopravvivenza di chi aveva investito tutto o quasi sovvenzionando la nazione per fronteggiare le spese di guerra.
Vediamo dapprima la spensieratezza, poi la consapevolezza e infine la delusione per un mondo che non si addice più a chi ha nel patrimonio genetico la monarchia.
La cripta dei cappuccini altro non è che l’ultima dimora degli imperatori d’Austria, e nel corso della narrazione il protagonista volge lo sguardo a questo luogo, quasi a ricordargli la sua fede , finchè dopo le delusioni della sua vita diventa la mèta preferita, il suo punto fermo, al quale volgere il pensiero per rassicurarsi.
Francesco Ferdinando Trotta, non è ovviamente l’unico personaggio del libro, faremo la conoscenza di sua madre; dei cugini ebrei , suoi compagni commilitoni; della moglie Elisabeth, sposata poche ore prima di partire per la grande guerra; i suoi amici fannulloni e altri.
Un vero narratore, ‘’un raccontatore’’, che si potrebbe stare ad ascoltare per ore senza annoiarsi.
Il suo stile secondo me è assolutamente moderno, tenendo conto che è morto nel1939 se non erro.
Lo consiglio. Credo che presto leggerò altre sue opere.