La coscienza di Andrew
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La memoria è ingannevole
Ultimamente mi sto cimentando più del solito in quelle letture che in fondo non hanno una trama, ma che sviluppano la psicologia di personaggi che hanno vissuto determinati traumi e che si sono ritrovati in determinati contesti. “La coscienza di Andrew” di E.L. Doctorow è proprio un libro di questo genere, in cui il protagonista Andrew (scienziato cognitivo) si trova a portare avanti dei discorsi con un interlocutore sconosciuto (uno psichiatra? Una parte di sé stesso? Un aguzzino?). A quest’uomo racconterà di vari traumi che hanno segnato la sua esistenza: il divorzio dalla sua prima moglie, in gran parte causato dalla morte accidentale della sua prima figlia; la morte della sua seconda moglie durante l’attacco delle torri gemelle e l’affidamento della figlia avuta con quest’ultima proprio alla prima moglie e al suo nuovo marito.
Lo stile di Doctorow è uno stile che mi ha colpito tantissimo, comprensibile, per nulla pesante ma allo stesso tempo potente; uno di quegli stili che è piacevole leggere anche ad alta voce. Quello che mi ha stupito è il fatto che sia un’opera relativamente recente; devo ammettere infatti che non avevo idea dell’anno in cui era stata scritta, quando ho cominciato a leggere. Se avessi dovuto dare una mia opinione considerando soltanto lo stile di scrittura e il tipo di racconto che mi sono trovato davanti, avrei detto di stare leggendo un’opera scritta nella metà del Novecento. Quando alcuni elementi mi hanno suggerito che l’opera era stata concepita negli anni Duemila, ne sono rimasto piacevolmente colpito; dunque non tutti gli autori capaci di scrivere in questo modo si sono estinti con l’arrivo del nuovo secolo.
È un libro che si legge in poco tempo e che in certi tratti dà più di uno spunto per riflettere. Forse l’empatia che si crea con il personaggio di Andrew non è forte come in altre opere che mi è capitato di leggere ultimamente (ad esempio, l’Hans protagonista di “Opinioni di un clown” di Heinrich Böll), ma è comunque una personalità interessante e che partorisce pensieri interessanti. È un libro che non risparmia velate critiche alla politica americana, che insinua qualche dubbio sulla tragedia dell’11 settembre, ma che si sofferma più su quanto la memoria dell’uomo sia ingannevole.
In conclusione devo dire che E.L. Doctorow è un autore che ho intenzione di approfondire assolutamente.
“L’amore è il sordo trauma cranico che ci rende insensibili alla disperazione.”
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La complessità della mente...
Chi è realmente Andrew, che cosa nasconde il suo volto, solo espressioni e parole, un passato nebuloso ed affranto, o più vite intrecciate per descriverne una soltanto, tra tragedie, tormenti, rimpianti, illusioni, speranze?
È uno scienziato, uno sbruffone, un incantatore di serpenti, un uomo combattuto ed affranto, un pensatore sublime, un semplice bugiardo? E chi dà voce ai suoi pensieri, a chi realmente di rivolge, a Doc, suo psicanalista, ad un pubblico qualunque, a se stesso, in una parabola che è ricerca dell' ignoto, espiazione di una colpa, o semplice sfogo esasperato?
Di certo Doctorow riesce mirabilmente a confondere e nascondere l' evidente, in un percorso labirintico sospeso nel tempo ed una voce narrante che spezza la trama in piani reali e immaginifici, con descrizioni e dialoghi in prima e terza persona, mostrando verità contrapposte e tracce virtuali, sospese tra l' accaduto, il possibile e l' improbabile.
È un viaggio psichedelico intra cerebrale, quindi indefinito, che alterna visioni, illusioni, congetture, fantasie, sogni, incubi, senza una traccia univoca. Ma, proprio per questa destrutturazione, diviene un percorso altamente godibile in una mente geniale e criminale, pezzi ed ingranaggi di un puzzle scomposto, complesso, machiavellico.
E soprattutto è la rappresentazione di una vita, la propria, di un' esperienza incrociata con i sentimenti e le vite altrui, disossata ed esposta in una forma artefatta ed indecifrabile, quindi indirizzabile dalla soggettività.
Sta al lettore ricostruire la storia, laddove sappiamo che Andrew, un neuroscienziato ( e molto altro ) con una tragica vita privata ed un passato controverso, anni prima, per un errore di somministrazione di un farmaco, ha ucciso il figlio, ha perso l' adorata moglie Briony nell' inferno dell' 11 settembre, si è separato dalla prima moglie Martha a cui affida la seconda figlia ( sua e di Briony ), ma è la storia stessa a nutrirsi di precarietà ed oggettiva destrutturazione.
La chiave della narrazione sta in questo procedere a sbalzi, dopo una esplosione deflagrante, nella frammentazione dell' io che stronca qualsiasi possibilità ricostruttiva ed un passato che non può ritornare, dopo quel maledetto 11 settembre, rimangono solo schegge di una memoria dilaniata dalla sofferenza e da una glaciale indifferenza, in un confine piuttosto labile tra dolore lancinante e furia omicida che lo stesso Andrew fatica a credere e mostrare, persino a se stesso.
Di certo la scrittura di Doctorow non lascia indifferenti. È' un flusso di pensieri ininterrotto, con piccole sospensioni, per rituffarci in quell' oceano di supposizioni che tengono il lettore in sospeso ma coinvolto in un processo di elaborazione cerebrale continua, ondivago, in una ricostruzione che si veste di mistero ma che alterna scarna freddezza oggettiva a momenti di pura poesia.
In fondo il confine tra reale e immaginario, normalità e follia è lo stesso che distingue azione e pensiero, e non sapremo mai esattamente quale direzione e' stata intrapresa, non resta che una moltitudine di raffigurazioni racchiuse nella complessità della mente, il resto può cambiare ogni volta.
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Da cervello a mente
Doctorow ci regala un libro bellissimo che non mi aspettavo da lui, nel senso che ormai dopo Homer & Langley lo consideravo uno scrittore bravo ma freddino e forse anche un po’ noioso. Invece questo libro è veramente geniale. Era da un po’ che sentivo il bisogno di una lettura così: intelligente, stimolante, affascinante ma non gelida emotivamente. Un libro bellissimo, spero tanto che vinca qualche premio. Una lettura difficile, nel senso che il libro è di quelli da rileggere perché alcune sfumature anche importanti possono sfuggire a una prima rapida lettura. Il romanzo ha tante chiavi: filosofiche, politiche, esistenziali, umane. Parla di torri gemelle ma non nel modo in cui siamo abituati. Parla di nostalgia, di dolore, di incapacità di vivere. Parla di politica in modo esplicito facendo riferimento al presidente Bush Junior, ai suoi errori (ha invaso il paese sbagliato, doveva convivere con la sua incapacità ecc…). Parla dei retroscena della politica e infine dell’amore e dell’amore per i figli. Di figli ne parla nell’ultima pagina in modo commovente, quella su Twain.
E’ un libro sincero, intelligente, spiazzante, geniale che non lascia mai indifferenti e che in ogni sua riga arriva al cuore o al cervello del lettore o anche da tutte e due le parti. Un libro intelligentissimo che si interroga su come un blocco di carne (il cervello) possa diventare mente rendendo umano l’uomo. Come sostiene Wittgetstein , colui che comprese meglio di tutti gli inganni del cervello pensante, scrutare dentro se stessi è pericoloso. Si passa attraverso infiniti specchi di autoalienazione che servono a non conoscere se stessi, una specie di percorso a ostacoli. In un certo senso il romanzo si può considerare esso stesso un percorso a ostacoli di evoluzione dell’io narrante (Andrew) e del relativo cervello: da Impostore a cervello collettivo a Pazzo santo (ovvero Andrew, finalmente).
Per tutto il romanzo, Andrew parla di sé con un interlocutore Doc, che non si sa chi è: uno psicologo, Doctorow, la coscienza come suggerisce il titolo?
Andrew , scienziato cognitivo,è un disastro, un catalizzatore di guai: si sente una minaccia per le persone che ama. Causa la morte di un uomo in un incidente, del suo cane, della figlia, della moglie. Non che sia colpa sua, ma chi può dire che non è colpa sua? Lo troviamo all’inizio del romanzo che porta sua figlia avuta dalla seconda moglie alla prima moglie chiedendole di badare a lei. Forse ha paura che solo per la sua vicinanza possa accadere qualcosa alla piccola e vuole tenerla al sicuro. Viene apostrofato come Impostore. Impostore è uno non pienamente cosciente di se stesso e dei guai che causa agli altri.
Il romanzo traccia il percorso che va da Impostore a Uomo, ovvero da cervello a mente e quindi a coscienza senza scomodare l’anima, Dio, e la religione. E questo è molto interessante. Non ci sono scuse, ostacoli: la coscienza è la meta di ogni individuo credente o meno. L’uomo è il Pazzo santo, tappa finale del percorso. Questa definizione o qualcosa di simile la troviamo in vari testi riferita al cristiano autentico e sicuramente a Gesù. Ma E. L. rifiuta categoricamente di lasciare ai credenti la proprietà privata di un simile percorso. Sottolinea in veri punti del romanzo che Mente non è anima e che il discorso sulla Mente deve essere indipendente da Dio cui lui non crede. Anche il non credente deve fare quella strada, dunque, se vuole diventare Uomo.
Bellissimo quando Andrew racconta della sua esperienza alla casa bianca. Della sua verticale ginnica davanti al presidente e ai suoi uomini. Di come solo diventando un pazzo, un pazzo santo, si è sentito per la prima volta uomo, Andrew.
Cos’altro potevo essere se il mio vecchio compagno di stanza (Bush) era l’Impostore? Perché questo indubitabilmente era. E mai più io sarei stato un’altra persona a seconda delle circostanze. Sentivo il mio cervello che diventava me, eravamo compiuti, risolti in una sola cosa. Mentre venivo accompagnato alla porta, mi girai e dissi quello che avrebbe detto un Pazzo santo: Tu sei solo il peggio fino a ora, c’è ben di peggio a venire. Forse non domani. Forse non l’anno venturo, ma tu ci hai mostrato il sentiero per la Selva Oscura. Immagino che stessi interpretando Dante in quel momento. Al mio compagno di stanza non piacque sentire quelle parole. Eddai Androide, disse ad alta voce, rilassati. Mi stava chiedendo di ritrattare? Si aspettava la mia benedizione? Ma come avrei potuto? Ciò che rende santo un Pazzo è che piange per la sorte del proprio paese. Tenni la schiena dritta, rivolsi un cenno del capo alle guardie e loro mi portarono via.
Sembra che la condizione di Pazzo Santo non sia particolarmente felice: porta all'isolamento, alla reclusione, alla riflessione, allo specchiarsi impietoso di chi ha esaurito gli specchi di auto alienazione di Wittgetstein, al deludere gli amici per dire una verità che si sente vera, al trovarsi soli a tu per tu con quello psicologo esigente e intelligente cui non si può mai sfuggire che è la proprio coscienza.
Però non pensate a un libro dogmatico o peggio didascalico. E’ un libro semplicemente geniale.