La casa di Puskin
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La Stagnazione in chiave postmoderna
La casa di Puskin è il primo vero romanzo postmoderno della storia della letteratura russa. Il protagonista dell’opera di Andrej Bitov, Ljova Odoevzev (cognome aristocratico), è il simbolo della Stagnazione. A capo del Partito Comunista sovietico dal 1964 al 1982 c’è Leonid Brežnev. Stagnazione, termine coniato da Michail Gorbaciov successivamente, sta ad indicare una sostanziale immobilità e un totale incartamento, anche politico, dell’Unione Sovietica, dopo invece un decennio ricco di speranze come quello del Disgelo. Bitov è un autore di Leningrado ed è profondamente legato ai valori della cultura prerivoluzionaria. Tali aspetti autobiografici si riflettono su Ljova, un antieroe che volontariamente viene de-eroicizzato dall’autore. Ljova si rifugia costantemente nel sogno e soprattutto nella letteratura, perdendo il contatto con la realtà. Ljova, come Bitov, ama la tradizione antecedente la rivoluzione bolscevica e il suo rapporto con essa appare irrisolto. Sembra aver perso il suo posto nel mondo dopo il 1917, dopo l’avvento del comunismo. Non può più essere, in altre parole, un uomo superfluo, quindi non può più assomigliare a quella tipica figura della letteratura russa ottocentesca, ben rappresentata da Turgenev. Ljova è pieno di ideali ma non riesce a realizzarsi. Egli si conforma, non si impone mai e non lotta mai contro il sistema comunista che odia profondamente. A rendere incantevole quanto complicato il romanzo di Bitov, è la volontà autoriale di mettere dentro le sue pagine tutta la letteratura russa. Le citazioni si susseguono senza soluzione di continuità. Le si trovano nell’indice, negli eserghi, negli episodi della narrazione e nei dialoghi. D’altronde, è lo stesso titolo del libro a suggerirci questa esasperata volontà di inglobare nel romanzo tutta la grande letteratura prerivoluzionaria. La casa di Puskin, infatti, è la sede dell’Istituto della letteratura russa nell’Accademia delle scienze di San Pietroburgo. È un palazzo neoclassico sito lungo il fiume Neva, dove sono conservati manoscritti, cimeli, oggetti di Puskin e di molti altri scrittori russi. È per il mondo pietroburghese un luogo sacro. Dentro alla Casa di Puskin si svolgeranno gran parte delle avventure del romanzo di Bitov. Ljova, filologo che ha seguito le orme familiari, lavora proprio presso l’Istituto della letteratura russa. La Casa di Puskin viene descritta come un luogo di amori e di intrighi dettati dal motivo letterario. Proprio dentro all’Istituto andrà in scena il duello finale tra Ljova e il suo amico d’infanzia Mitisat’ev, il rappresentante del mondo altro, l’antagonista per eccellenza dell’antieroe Ljova (Mitisat’ev è subdolo, proprio come il regime, è forte ed è la personificazione del potere. Gioca al gatto col topo con il protagonista e sembra rubargli anche la ragazza, ovvero Faina). In realtà, sono tre le donne di Ljova. Sono tre possibilità femminili: la capricciosa e sfuggevole Faina, quella probabilmente prediletta da Ljova; Albina, l’intellettuale e devota al protagonista; la carnale e istintiva Ljubasa. Cosa significa che sono tre possibilità? La struttura del romanzo di Bitov è fortemente postmoderna, così come l’accentuata presenza della componente metanarrativa. L’autore vuole mettere in scena tutte le possibilità dell’esistenza. La casa di Puskin è, difatti, il romanzo delle varianti: Bitov crea bivi e vie alternative che Ljova può imboccare. E allora ecco le tre possibili donne e anche i tre possibili finali che l’autore pone sul tavolo, perché nemmeno Ljova è in grado di determinare con certezza quelle che sono le tappe della sua esistenza. Il termine “forse” diventa dominante nel romanzo. Avviene un’apertura esistenziale di fronte alla vita di un uomo che non appare assolutamente unitaria, anzi. Bitov svela uno spettro di possibilità in contrasto con la rigidità delle norme della vita sovietica. Il regime sovietico è, inoltre, criticato per la sua scarsa memoria del passato, ovvero per la sua volontà di cancellare la grande letteratura ottocentesca tanto cara a Ljova. Nello stesso tempo, però, Bitov dissacra la letteratura, perché chi vive solamente immerso nelle pagine dei libri finisce per essere straniero e si autodistrugge, come accade al protagonista. La casa di Puskin, tuttavia, non si identifica solamente per la sua struttura, per le sue componenti metanarrative, per il suo citazionismo e per il suo protagonista, ma anche per la sua pregnanza storica. Moltissimi, infatti, sono i temi tipici della Stagnazione che si ritrovano nel romanzo di Bitov: dalla questione antisemita (vero e proprio fardello dell’Unione Sovietica negli anni successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale) al problema anti-aristocratico, ben incarnato dallo scontro tra Ljova e Mitisat’ev; dalle deportazioni patite da milioni di persone durante gli anni staliniani al reinserimento nella società di alcuni prigionieri. Emblematiche in tal senso sono le figure di Zio Dickens e soprattutto del nonno di Ljova, che vive letteralmente come un’umiliazione il rilascio dal gulag. Uno dei punti più alti del romanzo di Bitov è proprio il monologo del nonno, in cui si percepisce quanto possano essere violenti su un’intera popolazione e in un intero paese gli strascichi di fatti epocali come le purghe staliniane e gli anni del Grande Terrore (1937-1938). Per il nonno la liberazione è un’uccisione: si era abituato alla vita del gulag, era pronto a prendersi il ruolo di sacrificato e di vittima e invece è stato ricondotto nella società. È stato costretto, insomma, a ripartire per la terza volta da zero nella sua vita, quando ormai era anziano e dopo una lunga prigionia. Nel romanzo di Bitov, pertanto, si incontra l’Unione Sovietica, si respira il vento di Leningrado e ci si perde lungo il cammino della grande letteratura russa.