La ballata di Iza
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Nessuno è perfetto
Iza è una figlia brillante, l’orgoglio dei suoi genitori, è diventata medico e ha riabilitato la sua famiglia, occupando nella società ungherese degli anni sessanta un posto di rilievo dopo lo stalinismo che aveva condannato il padre, un giudice giusto, poi riabilitato.
Vince ed Etelka sono i suoi genitori anziani, lei è amorevole nei loro confronti, i due sono riusciti finalmente ad avere una casa di proprietà, a farla studiare e l’hanno tenuta vicino a loro, condividendo l’abitazione con lei, anche in seguito al matrimonio con Antal, giovane provinciale con un passato di miseria, divenuto anch’egli medico.
La nuova coppia sembra ripercorrere i binari di una vita coniugale felice, pari a quella dei genitori di lei fino a quando Antal, così stimato e amato da tutti, lascia inspiegabilmente Iza.
La giovane non riesce più a vivere nella casa dei suoi genitori in provincia perché è ancora profondamente innamorata del marito e decide di spostarsi a Budapest, da lontano continua comunque a occuparsi di loro.
Vince si ammala e in pochi mesi muore, Iza si occupa della mamma e la sradica brutalmente dal suo universo e pensando di fare il suo bene, la porta con sé in città.
Gran parte del romanzo si incentra su questo sradicamento e ci permette di vivere il disagio di Etelka, abilmente sposta tutta la nostra attenzione sull’anziana e sulla sua sofferenza e solo lentamente converge su Iza, onnipresente, brillante, efficace, premurosa, abbandonata e totalmente dedita al benessere degli altri, i suoi pazienti, i suoi cari. Mai una sbavatura nella sua condotta.
Nel corso della narrazione vengono disseminati tanti indizi utili a inquadrare i personaggi fino a quando lo sviluppo narrativo assume un andamento doloroso e inaspettato di grande impatto emotivo. La lettura si tramuta allora in un’esperienza dolorosa, i pregi e i limiti dei personaggi incastrati nelle relazioni familiari assumono i contorni dell’esperienza personale, ognuno ci si ritrova, penso, pur non avendo vissuto quei fatti. Ed è bruciante la sensazione di impotenza che assale, leggendo, e che può essere la stessa che si avverte quando si apre una distanza con i propri cari, quando pur volendo bene non si riesce a volersi bene reciprocamente, quando gli egoismi hanno il sopravvento, quando amare non significa più comunicare, dare e ricevere insieme.
Bellissimo romanzo, da condividere in famiglia.
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Etelka
«Possibile che fosse morta anche lei e semplicemente non se ne fosse accorta? Possibile che una persona morisse prima di rendersene conto?»
Con “La ballata di Iza”, Magda Zsabò, dà vita ad un romanzo di grande intensità che si concentra su quelli che sono i rapporti umani e sulla sovente incapacità di essi. Alla base delle vicende narrate vi sono Etelka, un’anziana donna nata e cresciuta in un paesino di provincia, madre di Iza Szòcs, medico reumatologo residente in Pest, Vince, giudice riabilitato marito della vecchia e padre della giovane, Antal, ex marito della figlia e a sua volta dottore e Lidia, infermiera che ha vegliato sugli ultimi giorni di vita del magistrato.
Da una prima analisi l’opera chiaramente tende ad incentrarsi su quel che è il rapporto tra questa madre e questa figlia a seguito della morte del coniuge a causa di un cancro irreversibile. Di fatto, successivamente si stacca da questa visione per abbracciarne una più ampia e su larga scala.
Per non lasciare la mamma da sola, Iza decide di portarla con sé in quel di Pest, luogo dove la collocherà e dove pretenderà, senza rendersene conto, l’impossibile. La giovane assume immediatamente un atteggiamento di controllo verso colei che l’ha cresciuta, la studia come se fosse un caso clinico, si affida ai parametri ottenuti dai vari esami cui costantemente la sottopone, ma mai si interroga sull’agire dell’altra, mai si domanda il perché di certi suoi comportamenti e/o silenzi. Rifugge a essi, rifugge a tutto quel che richiede una valutazione approfondita. Non tollera le sue iniziative, non ha pazienza e silenziosamente la condanna. Perfino il nuovo compagno, Domokos, scrittore, che rappresenta nell’opera colui che è chiamato con le parole a rendere e descrivere emozioni e sentimenti, percepirà sempre, sino al momento conclusivo del volume, la figura della professionista in modo non chiaro quando al contrario, vivo sarà il dolore percepito al pensiero di questa attempata vedova. Tutto quel che viene fatto dall’anziana per cercare di dimostrare il suo affetto, per cercare di rendersi utile in questa realtà in cui dalla mattina alla sera si ritrova, è mal visto dalla dottoressa e, per riflesso, da chi la circonda tanto che, a furia di essere ammonita o brontolata, finisce col perdersi, con il dimenticare chi è. Non sa più pensare, non sa più fare alcunché. Perché i giovani hanno sicuramente ragione, perché Iza certamente sa quel che è giusto e quel che è sbagliato, quel che è corretto fare e quel che non lo è. Capisce di suscitare pena in chi le è accanto, ritiene di rappresentare un peso, vive come se lo fosse e nessuno – tranne forse lo scrittore e Antal che purtroppo risiede in una città lontana – si prefigge di dissuaderla da questa convinzione. Da questo momento le sue giornate sono scandite da solitari viaggi in tram o da lunghe soste nella propria stanza a fissare il vuoto e ad interloquire silenziosamente con il defunto marito.
Nel mentre, Antal, figlio di un acquaiolo, nato dal nulla e cresciuto in collegio grazie alle sovvenzioni di un avvocato che per anni doveva nascondere la propria colpa nella catastrofe che ha determinato il decesso del padre di questo, ristruttura l’abitazione della famiglia Szòcs, luogo che ha acquistato e in cui è tornato a vivere insieme a Capitano, leprotto che ha da sempre accompagnato le vicende dei protagonisti. Alcuno riesce a spiegarsi perché dopo quattro anni di matrimonio abbia deciso di interrompere la sua relazione con la collega. Nessuno è in grado di darsene una spiegazione. Il lettore, pagina dopo pagina arriverà a comprendere quelle che sono le motivazioni, quel filo a cui lo stesso ha dovuto aggrapparsi pur di non affondare, pur di non lasciarsi annientare da questa donna così fredda, maniaca del controllo, autistica alle emozioni, anaempatica, egoista. Perché Iza è una donna altruista solo in apparenza. I suoi gesti di cura, aiuto e apprensione verso il prossimo non sono mai mossi da uno spirito di autenticità, i suoi comportamenti, le sue imprese, parole e azioni sono sempre ponderate, calibrate al dettaglio, esposte in funzione di quel che l’interlocutore materialmente è dovuto a sapere. Cercherà anche, l’uomo, di salvare la cara mamma a cui si è affezionato nel tempo e da cui ha odiato distaccarsi col divorzio, ma sarà ormai troppo tardi. Perché quella sete di Etelka non può in alcun modo essere placata. La sua è una sete, inarrestabile, descritta con grande forza nel capitolo intitolato, appunto, “Acqua”. Ancora, a niente è servito il richiamo di Iza, ormai è troppo tardi, la sua è una ballata che non può che essere condotta che in solitudine.
Suddiviso in quattro grandi capitoli intitolati “Terra”, “Fuoco”, “Acqua”, “Aria” e caratterizzato da uno stile limpido, forte, duro, che trafigge chi legge trasmutandolo nella dimensione descritta, Magda Szabo dona al conoscitore un testo di grande empatia e contenuto, un volume che si percepisce con mano e che seppur in modo diverso rispetto a “La porta” resta indelebile nel cuore e nell’animo di chi legge. Potrei dire ancora molto, su questo elaborato, ma decido volontariamente di fermarmi per non rovinarvi il gusto di una lettura che sinceramente consiglio.
«Aveva ragione, aveva di nuovo perfettamente ragione, ma le persone anziane hanno passato la vita insieme ai loro oggetti, per loro ogni cosa possiede un valore molto più profondo che per i giovani»
«Ogni giorno si raccontava che Iza non l’aveva lasciata sola nella sua vecchia casa, aveva sistemato ogni cosa al suo posto, le aveva impedito di lavorare, si prendeva cura di lei, la ricopriva di doni. Dopo piangeva, a lungo, piena di vergogna, perplessa.»
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Bastava solo un po' di amore
Il testo contiene spoiler
“La ballata di Iza” è soprattutto il racconto del rapporto tra una figlia, Iza, e i suoi genitori e , in particolar modo, con la madre, chiamata nel libro sempre col termine “la vecchia”.
I genitori crescono Iza in una piccola cittadina e, pur nelle ristrettezze economiche che a un certo punto colpiscono la famiglia, a Iza non viene fatto mancare nulla e può studiare fino a laurearsi in medicina. Iza dimostra fin da piccola una grande determinazione e serietà e, pur amando i genitori, non esprime nei loro confronti sentimenti di amorevolezza o di gratitudine anche se si preoccupa del loro benessere e della loro salute. Ma con distacco. Non conosce cosa sia il coinvolgimento emotivo.
I genitori al contrario la amano di un amore assoluto, senza limiti.
Vince, il padre, dopo essere stato riabilitato come giudice, vive della sua pensione. E’ una persona semplice ma intelligente, capace di grande amore ed è molto stimato da tutti, soprattutto per la sua generosità. Generosità che si rivela anche nel semplice gesto del dono di una piccola somma di denaro che egli fa ogni anno all’università, perché sia destinata al più meritevole degli allievi, anche quando, destituito dal suo incarico di giudice, vive in grande povertà. Di lui si può dire che sia un uomo coerente e di grande integrità morale, caratteristiche che lo accompagnano anche nei giorni difficili della malattia, sempre assistito dalla moglie e da Iza che si comporta come un medico eccellente e come una figlia devota.
Alla morte del padre Iza, senza consultare la madre ma ritenendo di fare la cosa giusta, mette in vendita la casa di famiglia, acquistata da Antal, l’ex marito, medico anche lui, e porta la madre a vivere con sé a Pest, in città, dove ha un bell’appartamento nuovo e dove lavora. La vecchia è frastornata ma è abituata ad affidarsi alle scelte della figlia e se la sua Iza la porta a vivere con sè quale soluzione migliore vi può essere?
Nella convivenza tra madre e figlia si manifestano i caratteri di entrambe perché Iza ha pianificato non solo la sua vita, che non può subire cambiamenti, ma anche quella della madre.
Antal, quando aveva conosciuto Iza, l’aveva definita tra sé “un piccolo soldato” e mai impressione fu più calzante: Iza era perfetta in tutto, un meccanismo ben oliato, pragmatico, a cui nulla sfuggiva. La tenuta della casa è affidata a Terez, Iza non ha che da pensare al suo lavoro e a riposarsi.
La vecchia, dapprima entusiasta di andare a vivere con la figlia immaginando di potersi occupare di lei, si trova relegata a non poter fare niente, lei che in tutta la sua vita è sempre stata attiva e ha sempre lavorato. Si assiste così a un lento deperimento fisico e morale della vecchia, simile, per molti versi, a quello che succede a tanti anziani rimasti senza il coniuge. La vecchia non sa come impiegare il tempo, si sente inutile e vaga per la città, tanto per fare qualcosa, ma Pest è una grande città, le manca la possibilità di intrecciare rapporti di confidenza con i vicini come invece aveva al villaggio.
Iza si accorge del malessere della madre e, da figlia devota, dispone un po’ del suo tempo libero per stare assieme alla vecchia conversando con lei, ma non appena la vecchia si rende conto di quanto questo pesi alla figlia, non si rende più disponibile facendo finta di dormire.
Anche Domokos, il nuovo compagno di Iza , si accorge che la vecchia sta male e le regala un uccello in gabbia perché le faccia compagnia ma la vecchia apre la gabbia e lo fa volare via.
E’ un quadro abbastanza paradigmatico di tante situazioni simili: i figli non hanno tempo, lavorano, hanno la loro vita, i loro interessi; il genitore sopravvissuto passa tutta la giornata da solo, ora davanti al televisore, che diventa il surrogato della mancata attenzione dei figli, nel caso del racconto la vecchia passa il tempo girovagando in tram.
Solo quando avrà l’opportunità di tornare al paese, in occasione della posa della lapide sulla tomba del marito, la vecchia si riprende. Ritrova l’atmosfera del villaggio, rivede la sua casa, sa che solo là potrà sentire il suo Vince da vicino. Nel suo vagabondare notturno alla ricerca dello spirito di Vince troverà fatalmente la sua fine.
La morte della vecchia apre uno squarcio sui sentimenti dei protagonisti della storia e solo allora Iza cede, ormai troppo tardi, al richiamo dell’amore.
In fondo bastava solo un po’ di amore.
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"Mamma! papà!" ma i morti non risposero
«Mi ha abbandonato - pensò la vecchia. - Non mi ha atteso. Per quarantotto anni ho conosciuto ogni suo pensiero. E ora non so che cosa si porterà dietro”. Etelka ha settantasei anni quando Vince, il compagno di una vita, muore di cancro lasciandola sola con Iza, una figlia ormai adulta e medico affermato che, dopo la separazione dal marito, ha deciso di vivere a Budapest. Iza, oberata di lavoro, porta via dal paesino la mamma rimasta sola e la isola nella nuova casa della capitale provvedendo a tutti i suoi bisogni come una figlia modello. Ma è questa la soluzione giusta? Pretendere che l'anziana donna “si riposi”, cioè non cucini, non faccia la spesa, non si relazioni con persone estranee, non prepari nemmeno il caffè, praticamente non si muova dalla sua camera per non compromettere la perfetta esistenza della figlia? Etelka, provata dal lutto e sradicata dal suo ambiente, dai suoi oggetti e dalle sue abitudini, si chiude sempre più in se stessa e in ciò che della vita le è rimasto: “Non avrebbe mai creduto che il ricordo potesse trasformarsi in una attività così intensa. La vecchia si raccontò la propria vita, frammento dopo frammento”. La svolta, tragica ed ineluttabile, si ha nel momento in cui Etelka decide di tornare, da sola, al paese in cui è sepolto Vince per la posa della lapide sulla tomba del marito; l'evento è per la donna un'inesorabile presa di coscienza: “Ora a settantasei anni, davanti a quella lapide, sapeva che i morti muoiono completamente e che non si può donar loro qualcosa, né con i rimorsi, né con il dolore, né con l'amore.” Ormai indifferente a tutto, all'amore, al dolore e anche alla paura, dopo aver subito e sopportato per mesi le volontà altrui, Etelka prende finalmente la sua decisione, quella che la porterà su una strada senza ritorno.
Libro intenso, struggente, drammatico, bellissimo. L'autrice scava nel cuore e nella testa dei personaggi facendone emergere ogni segreta vibrazione, ogni sfumatura: la penna della Szabò dipinge il romanzo come un quadro, pennellata dopo pennellata, toccando e ritoccando protagonisti e comparse tra luci e ombre fino alla perfezione. Il testo, in terza persona, assume i punti di vista dei personaggi facendoci percepire la realtà ora con gli occhi di Etelka, ora con quelli della figlia Iza, figura controversa e complessa. Brava bambina, impeccabile studentessa, moglie irreprensibile, figlia ammirevole, Iza anela ad una perfezione che attrae e respinge: chi si avvicina a lei ne rimane conquistato ed annientato. Cosa rimproverarle? L'incapacità di comunicare, l'impossibilità di amare. Iza agisce infatti più per un ferreo senso del dovere che per genuini slanci d'affetto; con il suo comportamento condanna gli altri, ma soprattutto se stessa, ad una inconsolabile solitudine. Etelka, fragile e insicura in una terra che non riconosce più come sua, in un mondo che cambia troppo velocemente, legata a vecchie abitudini e ad oggetti logori, ma carichi di ricordi vive con la figlia in un rapporto di estraneità che la condurrà all'isolamento e alla depressione.
A chi ha letto “La porta” (1987), noto capolavoro della Szabò, non potranno sfuggire le analogie tra Magda e Iza, Emerenc ed Etelka; “La ballata di Iza” (Pilatus, in ungherese, 1963) anticipa infatti di oltre vent'anni le tematiche care all'autrice: l'incomunicabilità, la solitudine, l'ineluttabilità dello scorrere del tempo, la conflittualità tra ciò che si deve e ciò che è giusto fare, tra le voci della ragione e quelle del cuore.
Ho letto questo libro con calma, sentendo sulla mia pelle il dolore di Etelka, rivivendo nei miei pensieri le contraddizioni di Iza: ho sofferto con loro, pagina dopo pagina; come madre e come figlia ho interiorizzato e rielaborato l'importanza di saper ascoltare davvero chi ci sta accanto e l'urgenza di dire alle persone a noi care quanto le amiamo prima che sia troppo tardi.