L'ospite notturno
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Ombre
Tutte abbiamo una tigre che di notte tormenta il nostro udito interrompendo il sonno. La percezione della tigre è espressione della minaccia di perdere che è paura legittima, della solitudine vuota che è libertà desiderata, del ricordo doloroso che è protezione di sé.
In ogni vita, di bambino/a, di adulto/a e di anziano/a, c’è una tigre in agguato, silente. Se le si offre la possibilità di combaciare con noi, la tigre - l’ombra - diviene il lato felino e autonomo di ciascuno/a.
In un’intervista al The Guardian, Fiona McFarlen, al suo romanzo d’esordio, dichiara l’origine dell’ispirazione: “Una delle cose più difficili nell’avere due nonne che soffrono di demenza è vedere che in realtà può colpire le persone in maniera molto diversa e che gli assistenti possono spesso essere lontani dalla cura”.
Per fortuna mia di lettrice, il risultato della storia raccontata è migliore dell’intenzione. Infatti, il romanzo esprime non tanto la quotidianità di una malattia che incalza, quanto l’esperienza di una vita che, allungandosi, si amplia di significati e di vissuti.
Ruth, insegnante di elocuzione, a 75 anni, vive da sola, presso di sé, in una suggestiva abitazione fra mare e sabbia. Offre a se stessa tutto il tempo per ricordare, per raccontare ai figli lontani e occupatissimi, per recuperare amori possibili, per fidarsi di nuove compagnie. Si celebra, nel romanzo, l’ampliamento dell’esperienza vitale, attraverso le paure e le gioie, più che la condanna della vecchiaia come età decadente e pericolosa.
“Ruth aveva un po’ paura dei figli. Temeva di essere smascherata dalla loro giovanile autorità. Le belle famigliole in cui tutti erano vivaci, attraenti e socialmente competenti l’avevano messa in ansia da giovane, e adesso i suoi figli erano proprio così. Le loro voci avevano un certo peso.”p.15
Ogni stato alterato di coscienza riconduce, in fondo, ad una comprensione più profonda, più essenziale della vita stessa. Non è demenza, è consapevolezza lieve. E' riduzione di sé, non ingenuità. La vecchiaia di Ruth insegna, tigre compresa, l’esperienza di libertà attesa e accettata, di solitudine gravida e generativa. Mi preparo così: la fine di qualcosa, quando arriva, è solo continuare in modo diverso.
“…nessuno poteva essere morto per davvero, completamente; nessuno poteva sopportare una cosa simile. Un conto era morire…ma continuare a essere morto era tutt’altra cosa. Era ostinato, ingeneroso.”p.205
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La tigre, minaccia e libertà
È sorprendente come una scrittrice giovane quale Fiona McFarlane, australiana, sappia immedesimarsi nella condizione fisica e psicologica dell’anziana protagonista del suo romanzo, Ruth, e ne sappia interpretare le ansie, i malesseri e le ossessioni tipiche della terza età.
Questa è un’opera sulla fragilità e la vulnerabilità di quanti, rimasti soli, si ostinano a coltivare l’illusione che tutto possa continuare come prima, nonostante il vuoto, il silenzio, l’immobilità che li circonda.
Riesce molto bene la McFarlane a descrivere il rapido decadimento dell’anziana Ruth, dal momento in cui, rimasta vedova e con i figli lontani, resta a vivere nella casa sulla spiaggia, che era stata scelta in un primo tempo come una casa di vacanze per riunire la famiglia. È schiacciante la solitudine di questo luogo lontano dal movimento cittadino, dove gli unici rumori sono la risacca del mare e il volo degli uccelli. È una solitudine che allunga il tempo, moltiplica i minuti e le ore, rende interminabili le notti e popola la casa di spettri. Unica compagnia per Ruth sono i suoi gatti, che la seguono dovunque. In queste notti interminabili, nei momenti sempre più frequenti di insonnia, l’anziana signora si convince che una tigre venga a passeggiare nel suo salotto, ne sente il respiro ansimante, ne annusa l’odore aspro e poco alla volta si lascia pervadere da un forte senso di disagio. Ancora presente a se stessa, ma con qualche cedimento psicologico, Ruth accetta di buon grado la compagnia di Frida, che giunge inaspettata, dichiarando di essere stata inviata dal governo per assisterla. Da questo momento in poi, Ruth comincerà a perdere la sua autonomia, i suoi mali si accentueranno, gli unici momenti piacevoli delle sue giornate saranno quelli spesi nel ricordare il passato, nel rivivere quell’amore giovanile che l’aveva lasciata delusa e addolorata. Sarà il momento in cui, sostenuta dall’apparente sollecitudine di Frida, accoglierà per un fine settimana il suo ex amore e, ormai così avanti negli anni entrambi, si uniranno in un rapporto delicato e appassionato.
Rimasta nuovamente sola, la mente di Ruth si offusca ancora più rapidamente, perde sempre più frequentemente quella lucidità che sarebbe la sua unica difesa e ritorna la tigre, metafora della minaccia che incombe su quella fascia d’età che si chiude in una solitudine nociva, lontano da ogni relazione affettiva. Sarà, tuttavia, proprio la tigre a restituire a Ruth la libertà.
I personaggi del romanzo sono ben delineati, le situazioni a volte un po’ eccessive. La condizione degli anziani qui descritta non può né deve essere intesa come una realtà che ineluttabilmente riguardi tutta questa fascia d’età, ma è indubbiamente una presa di coscienza di ciò che spesso può accadere.
Dal punto di vista stilistico si nota qualche asperità narrativa, ma certamente si tratta di un’opera scritta con passione.