L'orsacchiotto
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Quale colpa?
Uno stato di inquietudine percuote le pagine del romanzo di Simenon, un breve viaggio nella mente stratificata e controversa del dottor Jean Chabot, cinquantenne ginecologo di fama. È un cortocircuito senza una spiegazione apparente, se non il proprio senso di stanchezza e di inadeguatezza ingravescente.
Chabot è uno stimato professionista che si è costruito da se’, fama, denaro, reputazione, una moglie, tre figli, una bella casa di dodici stanze nel quartiere del Bois de Boulogne, la direzione della clinica ginecologica e ostetrica più importante di Parigi.
Calma, sicurezza, professionalità, una vita piacevole e serena, in realtà una maschera che nasconde altro, un’ inquietudine senza volto sempre più manifesta.
C’è una giovane alsaziana che il protagonista aveva definito l’ orsacchiotto morta annegata ( suicida?) e incinta con la quale aveva trascorso piacevoli momenti fugaci, una segretaria ( Viviane ) fidata e compiacente a proteggerlo e a scandirne il quotidiano, un lavoro impegnativo e senza orari, una moglie di lungo corso ( Christine ) silenziosamente consapevole dei suoi tradimenti, una madre sopravvissuta in povertà agli esiti di una vita trascinata nella depressione del marito, dei figli indifferenti impegnati nella costruzione di un futuro, uno sconosciuto che gli lascia dei biglietti minacciosi ( ti uccidero’ ).
Chabot sprofonda in un limbo di solitudine e di rassegnazione, specchiandosi in un
non senso che possiede maschere che neppure lui conosce. Persino la sua impeccabile professionalità comincia a scricchiolare e allora il suo piccolo mondo pare crollargli addosso.
Infelicita’, stress, depressione, malattia, difficile fare una diagnosi anche per un medico di fama come lui, e allora non resta che trascinarsi in una strada senza ritorno con un pensiero sempre più presente e un oggetto da tenere con se’ che potrebbe significare una fine improvvisa ( propria o altrui ).
Un cammino interiore sempre più solitario, un rimuginio che non gli da’ tregua, tra sensi di colpa e constatazione di un mondo che non lo apprezza dovutamente, oppure la semplice accettazione di uno stato di fatto, che Chabot non si è mai preoccupato se non di se stesso e della propria apparenza.
Professione, famiglia, amanti, uno studio dove affogarsi nell’ alcool, cosa è vero e cosa presunto, come nascondere una vita siffatta, sfuggire il reale quando non si può fare altrimenti, quale maschera indossare e mostrare a un pubblico distratto e consenziente?
Tutto si fa impalpabile, malinconico, evanescente, già scritto, la preoccupazione si fa accettazione, una rassegnazione che non è nostalgica assenza, il proprio mondo crollato, fatiscente, crollato, inguardabile, ma così è sempre stato.
Quando viene meno l’ unica certezza, quella integrità professionale che ha nascosto le storture del passato e del presente, tutto si sgretola improvvisamente, sprofondando in un buio senza fine, quando ci si sente ingannati, denudati, sottostimati, traditi, ogni certezza svanisce e si crolla definitivamente.
“ L’ orsacchiotto “ inscena un dramma annunciato nelle intenzioni e sorprendente nello svolgimento, avvolto in un’ immobilità apparente, corredato da una trama piuttosto scarna, essenziale, un dettagliato profilo umano e psicologico di un uomo denudato e spoglio, un crescendo che ricostruisce una vita fatta di apparenza che restituisce uno psicodramma.
Chabot colpevole o innocente, non è dato saperlo, quale la sua colpa in una vita di colpe vestita, di certo non ha paura di morire, svuotato completamente, e la propria insensatezza conosce il non senso che gli appartiene e come liberarsene definitivamente, un gesto estremo ma necessario per soddisfare un vago sentimento di odio che ritorna e lo prende alla gola prima di una fine imminente.