L'orizzonte
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I TRENI NOTTURNI
Leggi questo piccolo libro e ti senti avvolto, da una nebbia, da un velo, non sai bene da cosa. Hai la sensazione di fluttuare in una specie di torpore. La storia inizia con frammenti di memoria, è costellata da personaggi misteriosi, che, con la fragilità umana che li caratterizza, spuntano, come ombre, poi ritornano, più forti, poi riscompaiono, più nebbiosi. Perché ogni primo incontro tra due persone è come una leggera ferita, che ognuno prova e che risveglia dalla propria solitudine e dal proprio torpore. Tu, lettore, partecipi a questi incontri, da spettatore, ma comunque ti senti coinvolto in prima persona. Spesso sono incontri fugaci e l’idea è resa bene dall’abito rosso in copertina, che svolazza, come se la donna fosse in fuga. Centrale in tutta la narrazione, ed anche e soprattutto nel finale, è il dubbio, perché, con esso, rimane ancora qualche forma di speranza, che è una linea di fuga verso l’orizzonte. Bellissimo stile, emozionante, vibrante, come una musica.
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Jean e Margaret
Modiano è uno scrittore-fotografo che riesce ad inserire ricordi, memorie e vecchie emozioni all'interno di vivissime istantanee cariche di vita. Modiano è uno scrittore che non si diverte a prendere in giro il lettore, il suo stile è come sempre pulito e trasparente, l’enorme talento di questo scrittore è quello di dire tutto con le parole che servono, è quello di creare una vita con poche scene, in una parola è essenziale.
I personaggi di questo romanzo sono intensi, ma al contempo sfuggenti, sfumati, danno sempre l’idea di un ricordo, di un pensiero. Il contesto è sempre, immancabilmente una Parigi vista dagli occhi di chi l’ha vissuta, una Parigi parallela a quella delle agenzie di viaggio o delle guide turistiche. In Modiano l’ambientazione non è solo la scenografia: gli immancabili caffè, le strade solitarie, i nomi dei quartieri, delle vie, sono parte integrante della storia, senza di essi tutto perderebbe molto fascino.
Margaret, Jean e tutti gli altri personaggi sono di volta in volta nitidi e vivi, e poi sfuggenti e appena accennati, questa tecnica, o la mia percezione di essa, rendono con piacere il senso del ricordo, della memoria, quella sequenza di flashback nati da appunti presi su un quaderno quarant'anni prima.
Un amore di tanti anni fa, breve ma molto intenso, un amore che rimane negli anni.
Una continua fuga da un passato scomodo, un passato difficile e forse pericoloso, un tempo che si confonde, che non è più cronologico, quel passato che non ci viene svelato, ma che è talmente presente da caratterizzare il tutto. Un passato nella quale si è rimasti intrappolati e un futuro appena accennato che premette di svelare il mistero, ma non a noi “comuni lettori”.
Anche in questo romanzo trovo i concetti e le sensazioni della Nouvelle Vague, stile cinematografico francese che si prefiggeva come scopo quello di inquadrare “lo splendore del vero” eliminando tutti gli orpelli e gli stratagemmi che avrebbero compromesso la realtà.
Un bel romanzo sui ricordi in età avanzata, ricordi che forse non si limitano ad essere tali, talmente vivi da riportare vecchie sensazioni, un lampo su un periodo di un’intera esistenza, una piccola porzione di due vite che si incrociano e forse troppo presto si separano. In questa breve finestra è comunque racchiusa un’intera vita o quello che l’autore ha voluto farci conoscere di essa.
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Quarant'anni dopo
Com'è triste la Parigi di Modiano! Lunghi tragitti in metrò all'ora di punta tra la folla anonima, incontri fugaci (“senza futuro, come in un treno notturno”), momenti sospesi nel tempo e nel ricordo...
“Impossibile mettere ordine lì dentro, quarant'anni dopo”.
Il romanzo è un susseguirsi di flashback che l'autore modula sapientemente, senza che il filo della narrazione ne risenta.
Si tratta, del resto, di un filo impalpabile, quasi onirico: quello dei pensieri di Jean Bosnams, il protagonista maschile. Ricostruire il passato è per lui un'esigenza, perché un cerchio deve chiudersi, una ferita (molte ferite) risanarsi.
Lo riviviamo insieme a lui, il suo passato, e precisamente un breve periodo della sua giovinezza, tormentato da un senso di colpa indefinito e da una coppia di sinistri personaggi (uno dei quali, forse, sua madre).
Poi c'è l'incontro con Margaret, che è un incontro di solitudini (“Indubbiamente nessuno dei due aveva un punto di riferimento nella vita”), perché anche Margaret è vulnerabile e perseguitata, con un passato nebuloso e un presente carico di inquietudine: abbastanza da indurre i due giovani a proseguire insieme un tratto del loro cammino.
Tutto sembra muoversi in una dimensione di sogno ad occhi aperti, con stagioni indefinite e paradossalmente mai troppo fredde, mentre si parla di due cuori d'inverno.
L'uso della terza persona ogni tanto si interrompe per dare spazio alla voce di Jean che si rivolge direttamente a Margaret - “Io e te...” - e subito emerge una sfumatura nostalgica, il desiderio di ritrovare la donna persa nelle pieghe segrete di un passato dove lei sembra ancora vivere una vita parallela.
Una parete invisibile li separa, ma forse basterebbe allungare una mano per squarciare il velo del tempo, chiudere finalmente quel cerchio e trovare pace:
“E se tutte quelle parole restassero sospese nell'aria fino alla fine dei tempi e bastasse un po' di silenzio e di attenzione per captarne l'eco?”.
C'è poesia tra le righe di questo romanzo, e un bisogno struggente di appartenenza.