L'onore della casa
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FASCINO INSULARE
Due sorelle, una buona e una irrequieta, figlie del prevosto di Eyvik, sono destinate a completare la loro formazione all’estero, se la maggiore, Thurithur, parte molto volentieri e ritorna arricchita nonostante le paure dei genitori, diverso destino attende la giovane Rannnveig la quale si decide a lasciare l’Islanda dopo mille ripensamenti. Lei è affidabile, docile, latrice di gioia, bella quanto o forse più della sorella ma non corteggiata. Tutta una società, quella ricca e borghese, si preoccupa per lei e condivide con la famiglia l’urgenza di trovarle un pretendente, senza successo. Parte insomma senza destare ansia alcuna ma giunta in Danimarca, dopo un periodo di fitta corrispondenza, lascia sgomenti tutti con il suo silenzio fino a quando non tornerà nell’isola e niente sarà come prima... Pianti, riunioni, sconquasso fanno tremare le pareti della casa paterna: l’onore è perduto, occorre riparare in ogni modo, salvare le apparenze, mantenere lo status quo. Ogni tentativo però pare vano e l’ironia dell’autore fa godere piacevolmente per ogni disfatta, fa parteggiare per la giovane che rompe gli equilibri e non è aiutata dal destino, propendendo inoltre per una sentita avversità nei confronti della sorella maggiore, interessante figura, la quale incarna tutte le virtù del buon ceto al quale appartiene: un marito importante, una famiglia numerosa, una viva vita sociale, onore e rispettabilità ma il cuore involuto nel perbenismo che le fa voltare le spalle alla sorella e le fa innalzare inutili alti muri. Godibilissima la parte nel quale se ne tratteggia una momentanea debacle. Altrettanto bello il finale siglato dalla parola amicizia che risuona però inquietante.
Piacevole incursione in un mondo letterario per me lontano, scoperta del Premio Nobel 1955, primo approccio con il maggiore autore islandese del Novecento , attento a tematiche sociali e storiche, capace di donare nel 1933 anche una storia semplice dallo stile sobrio e lineare a ribadire alcuni dei temi che interessarono la sua produzione: la dicotomia rappresentata da ciò che è islandese e ciò che è straniero, la chiusura della società isolana rigidamente divisa in ceti sociali deboli e forti, l’ipocrisia del perbenismo.
Mi ha pure ricordato la giovane Klara Gulla rappresentata da Selma Langerlof ma siamo lontanissimi dalla sua scrittura: mancano la rappresentazione del paesaggio, il simbolismo, l’atmosfera magica densa di significati, forse il comune denominatore si può ricercare nell’elemento di rottura rappresentato dall’emancipazione venuta da luoghi altri e lontani.