L'ombelico di Giovanna
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Ernest van der Kwast (Bombay, 1981) è uno scrittore. Ha vissuto a San Genesio, vicino a Bolzano fino a febbraio 2012. Adesso vive in Olanda. Nel 2004 ha rinunciato a una promettente carriera da lanciatore del disco per pubblicare la sua prima opera narrativa, sotto pseudonimo. Il suo romanzo autobiografico Mama Tandoori(Isbn, 2010) è stato un bestseller. L’ombelico di Giovanna è il suo ultimo libro, già bestseller in Olanda.
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Fischia il treno fischia
Leggendo penso all'aria , cosi' spesso sottovalutata eppure di grande valore, soltanto talmente elementare da passare inosservata.
Poi l'aria sfiora un fiore, e ben sigillato in una bustina di porosa carta ecru' invia un addio alla sua consistenza incorporea.
Lei sfiora i petali e a noi dilata i sensi in fiori d'arancio, iris, mughetti. Sole e frutta.
Salsedine sui capelli, mele gialle rosse e verdi che sorridono all'abbraccio paterno del loro ramo, tra carezze verdi di foglie.
Ecco respiro l'aria di questo piccolo libro dallo stile estremamente semplice, brezza tiepida e leggera del primo mattino che trasporta su un tappeto di vento sabbia e foglie una storia cosi' dolce e cosi' pulita.
Come un leggero bacio che sfiora l'ombelico, come un treno che fischia per portare lontano, oppure vicino.
Ezio e Giovanna, un bacio a vent'anni sulle labbra profumate di mare e una dichiarazione d'amore, una domanda incisa nel bilico frusciante della sabbia. Il silenzio e l'onda e poi la vita scorre, tra lacrime e mele, pasta e rimpianti.
Piccino, breve, una storia che spicca in questo mondo cosi' artificoso e sofisticato in una bellissima edizione ISBN, buona lettura.
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Poche parole per un grande amore
Questo è uno dei classici ma rari libri in cui bastano pochissime parole per creare qualcosa di grandioso.
La semplicità che nutre fino a ingozzare l’immaginazione e che non rende schiavo di idee precise e definite date da dettagli troppo espliciti.
Perché è proprio tale l’amore che nasce fra Ezio e Giovanna: un sentimento nato da un ombelico scoperto da un costume strappato. Sia la fiera, gioiosa e indomita Giovanna, sia il suo ombelico sono simbolo di trasgressione, libertà, ribellione e indipendenza se analizzato nel contesto in cui la storia è ambientata (ovvero nel 1945). E sono questi due elementi combinati insieme a far perdere la testa al timido e impacciato Ezio.
Comincia così una lunghissima, lenta, travagliata e appassionata storia d’amore, condita da insicurezze, dubbi, paure e un innegabile desiderio di libertà: ma tutto ciò viene solo accennato. Si intuisce, si capisce, si indovina e questo basta.
Ezio e Giovanna si amano passeggiando, nuotando in mare, tenendosi per mano, sedendosi a guardare l’orizzonte in silenzio.
Fanno l’amore e le parole che lo descrivono sono impalpabili come l’aria, leggere come il vento: l’azione si comprende tramite sottintesi e allusioni in tutta la sua dolcezza.
I due amanti si separano loro malgrado, intraprendono strade molto diverse.
Si può percepire con chiarezza l’aura bucolica, floreale, fruttifera e pastorale che caratterizza quella di Ezio, fra le montagne di Bolzano, e l’odore mutevole del lungo viaggio – fuga per l’Italia e l’Europa di Giovanna.
Entrambi i fuggitivi soffrono in silenzio o senza accorgersene, il tempo passa, i due protagonisti invecchiano, tutto muta, qualcosa di importante invece non cambia.
E sarà proprio quel qualcosa a richiamare il passato tentando di riviverlo da parte dei due amanti…
Che altro posso dire? Alla fine del libro avevo le lacrime agli occhi, per colpa dell’immensa malinconia e dolcezza sprigionatesi da quelle poche pagine e da questo romanticismo implicito che mi hanno avvolto da capo a piedi, dentro e fuori.
Assolutamente consigliato.
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Quando l’amore è l’ombelico del mondo.
Ernest van der Kwast dopo avermi fatto divertire con “Mama Tandoori” inebriandomi dei profumi speziati delle pietanze indiane è uscito da poco nelle librerie con questo piccolo scrigno contenente odori di casa nostra:il profumo di fiori, del bucato steso all’aperto, dei limoni, della salsedine delle spiagge pugliesi e contemporaneamente ci apre gli occhi agli squarci di panorami mozzafiato del sudtirolo, del verde sconfinato delle valli, del ronzio delle api e il profumo delle mele mature e inebrianti.
Con delicato stupore e con spiazzante semplicità ha raccontato una candida storia d’amore che sboccia nell’estate assolata del 1945 in una spiaggia pugliese e che vede protagonisti il giovane romantico Ezio e la giovane ribelle Giovanna che per puro caso sfoggia il suo ombelico quando ancora il bikini non aveva fatto il suo ingresso nella moda. Ezio, un po’ come l’eclettico Florentino Ariza di Marquez, ama quella giovane in maniera definitiva e vive fino alla vecchiaia nel ricordo di quell’estate nella spiaggia di San Cataldo, non dimenticando che partendo da quell’ombelico, i loro corpi si sono sfiorati, accarezzati, odorati, esplorati, poi abbandonati e allontanati per circa sessant’anni.
Nostalgico, romantico e sensuale. Ernst stupisce con il linguaggio comune e con il suo tocco originale di fare danzare le parole rendendole sognanti e dolci.
E’ un inno all’amore, quello inesauribile, che tiene legato gli uomini e che li culla giorno dopo giorno aiutandoli a vivere senza spiragli e quando tutto sembra statico e immobile si ritorna a riprendere le redini dell’esistenza dove tutto era finito, con una piccola valigia in una stazione ferroviaria.
Anche se ormai non è più opportuno parlare di ombelichi e bikini al sole!
«Ci sono giovani che diventano uomini quando vanno a letto con una donna, altri quando abbattono un cervo o distruggono una macchina a furia di spingere sull’acceleratore. Ma ci sono anche giovani che diventano uomini su un treno, piegati in due, con la mano di un uomo sulla spalla.»