L'officina del diavolo
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Il Jurassic Park dell'orrore
Il tema dell’oppressione del regime comunista la fa da padrone in gran parte della produzione letteraria ceca, ma qui è trattato in modo innovativo e magistrale.
Un gruppo di ragazzi, per i motivi più disparati, decide di reagire a modo proprio alla cicatrice lasciata dagli orrori del regime, così anziché nasconderli decide di metterli in mostra, di creare “il Jurassic Park dell’orrore, il museo all’aperto dei totalitarismi”.
Uno spirito leggermente hippie e molto naif li pervade mentre il successo della loro impresa guadagna prime pagine e interviste televisive.
In tutto ciò si vede la contrapposizione tra un oriente più mistico e ingenuo e un occidente spregiudicato e capitalista, che non teme di mostrare le proprie scabrose cicatrice pur di ottenere un guadagno economico.
Queste due filosofie così estremizzate sono anche la metafora della concezione della vita dei Paesi dell’est Europa, perennemente in bilico tra il blocco sovietico e l’occidente americanizzato.
In un susseguirsi di dialoghi asciutti, spesso brutali, e descrizioni ad onor del vero non sempre avvincenti, Topol ci porta ad un climax di orrore nel finale, quando finalmente quello che può essere considerato il protagonista capisce dove la loro concezione di museo della memoria si sia spinta.
Cadono così le sue ingenuità adolescenziali, brutalizzate da una verità nuda e cruda in cui nessuno è fedele fino in fondo ai suoi principi veri od enunciati, e ciò che può sembrare idealmente bello e giusto può trasformarsi immediatamente in qualcosa di terribile e raccapricciante.
Il libro svergogna anche l’esibizionismo, e la macabra curiosità che lo alimenta, che spesso aleggiano attorno a vicende di questo tipo, sbattendo in faccia al lettore le conseguenze estreme del considerare ogni ferita come un qualcosa da ostentare, una piaga in cui rigirare il coltello per dimostrarne la dolorosità.