L'inverno del nostro scontento
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Minore
La vetta narrativa di Stainbeck è Furore. Poi un gradino sotto cè La Valle dell'Eden.
A questi due capolavori l'autore crea una serie di romanzi "minori", anche in lunghezza che a mio parere non riescono a replicare la grandezza delle due opere sopracitate.
Questo libro, l'ultimo del premio Nobel, parte in maniera molto incisiva, ma piano piano si spegne e diventa un mattone non facile da portare avanti.
La storia è quella di un commesso di norcineria, che frustrato da un occupazione che odia e da una famiglia che pretende sempre di più decide di farsi carnefice ed adeguarsi alla logica malata della società capitalista e borghese che ha nel successo e nell'accumulo di oggetti e ricchezze il fine ultimo per dare un senso all'esistenza.
Purtroppo la narrazione è molto incerta, procede a tentoni, salti temporali, personaggi che arrivano e in un attimo spariscono, situazioni che si alternano, spesso senza un filo logico, fra di loro.
La figura della moglie, dipinta come una bellissima e sensuale compagna, che sembra adorare il protagonista ma che in verità, aspira al meglio, a comprare vestiti migliori per i propri figli a volere andare in vacanza a non volersi preoccupare per il futuro economico.
Manca l'introspezione psicologia dei personaggi, come invece avveniva in maniera grandiosa in Furore.
Le vicende sono piatte, sembra che le cose accadano così come trasportate dalle acque del fiume su percorsi tracciati.
C'è il gretto capoccia italiano, ignorante e rozzo, che vuol far ritorno in Europa.
C'è il disgraziato alcolizzato che affoga il proprio odio e rancore in bottiglie da quattro soldi.
C'è un affarista, idiota, che pensa di avere l'idea che gli farà fare soldi a coprirci la distanza da qui a Giove e con la quale spilla denaro a malcapitati e ignoranti investitori.
E poi c'è lui, la vittima del sistema, il borghese decaduto, che da padrone è diventato schiavo, che non riesce a vedere la miseria umana che ha intorno, si fa travolgere dalla grettezza e dalla ignavia di questo microcosmo di una squallida e dimentica cittadina statunitense sperduta chissà dove, una periferia del mondo dove si cova rancore, sopraffazione e miseria sociale.
Il malcontento cresce nell'anima, prolifera, mette radici e piano piano si fa tangibile, reale, supera le reticenze morali, abbatte le certezze che si sono create in una vita e quando dilaga diviene disperazione e poi azione.
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Splendidi giorni a venire
Ethan appare sulla scena di questo struggente romanzo in un “mattino biondo oro di aprile”; è a letto con la moglie che lo chiama “scemo” perchè “con i mignoli in bocca le faceva le smorfie". Venerdì santo, giornata impegnativa al lavoro, commesso nella bottega di alimentari del terrone Marullo, lui discendente degli Hawley, stirpe di Padri Pellegrini e di facoltosi balenieri caduti in disgrazia. Poche battute, al risveglio, e il personaggio è abilmente delineato: scanzonato, malinconico, acuto osservatore, relitto della società in fermento, estroso oratore ( comunica la sua visione della società alla banda di lattine che popola gli scaffali del negozio), ottimo commerciante, vivo spessore culturale, ottimo ascoltatore. Un tentativo di rialzarsi, andato male…
“Se avessi voglia di svaligiare una banca, lo farei prima di una festa lunga. La grana è tutta là dentro che aspetta.”
Indizi, buttati lì con una noncuranza che è magistrale perché permette di recuperarli, avendoli finalmente collocati nel giusto ruolo di dettagli da non trascurare, solo quando la storia è così ben avviata nel suo lento procedere che ci si rende conto che qualcosa è sfuggito. Una trama invisibile, tanti piccoli indizi. A chi ha la fortuna di leggere per la prima volta questo romanzo, mi sentirei di dire proprio questo : nulla è casuale, tutto è affidato alla parola, compito del lettore è quindi dipanare la trama. Compito non facile perché molto è affidato ai dialoghi con il piccolo universo del microcosmo che ruota intorno a Ethan: la moglie, Joey Morphy, cassiere alla banca First National, l’ amante di Joey, Margie Youg-Hunt, il signor Marullo, il signor Baker, presidente della banca, l’amico d’infanzia; Danny Taylor, perso nell’alcool, i due figli di Ethan. La narrazione inoltre, dopo i primi due capitoli, passa dalla terza persona alla prima persona e l’ottica per tutta la prima parte è quella di Ethan: funzionale a farci trascorrere i giorni fino alla Pasqua e oltre mentre vengono ripercorse le principali tappe della sua vita. In maniera speculare la seconda parte, che si sofferma maggiormente sulla realtà della cittadina di New Baytown, segue la stessa disposizione delle voci narranti, il tempo scorre fino alla festività nazionale del Quattro luglio, ma sono sicuramente i periodi precedenti le “feste lunghe” a essere i più interessanti quando tutto pare possibile e succede ciò che non si era previsto. Una seconda parte ricca di avvenimenti, di salite vertiginose e di cadute morali che sveleranno la vera essenza di ogni singolo personaggio in una sintesi mirabile di corruzione e corruttibilità che lascia aleggiare su tutto il vago e profondo senso del nostro scontento. Sempre attuale.
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Quando una luce si spegne
Romanzo introspettivo, narrato in prima e in terza persona in un crescendo drammatico che somiglia a un urlo silenzioso. Evidente la satira contro l’ipocrita società statunitense alle soglie degli anni Sessanta, caratterizzati dalla scalata senza scrupoli al potere e dalla venerazione del dio denaro.
Ma ciò che spicca è la solitudine di Ethan Hawley, uomo dall’intelligenza acuta e stravagante, dall’indole malinconica, marito e padre esemplare.
Commesso nel negozio che un tempo apparteneva alla sua famiglia, stritolato socialmente ed economicamente da un sistema corrotto, finirà per rivalersi diventandone il carnefice.
Dolcissimi i dialoghi vagamente demenziali con la moglie, nei confronti della quale nutre un amore profondo, benché venato di condiscendenza.
Questo sentimento puro e la stessa figura idealizzata della consorte, insieme all’intero nucleo familiare che pressa per la sua scalata sociale, verranno messi in discussione dallo sviluppo degli eventi:
"... ascoltavo la mia casa. Pulsava come un cuore, e forse era il mio cuore e una vecchia casa frusciante".
Definire questo libro solo una satira sociale sarebbe riduttivo, perché è molto di più: è, innanzitutto, il racconto di un dramma umano.
Dietro il sorriso sempre più amaro del protagonista, mentre si fanno strada in lui slealtà e cinismo, c'è la perdita dell'innocenza, un velo di illusioni squarciato e un pianto sommesso:
"È tanto più buio quando una luce si spegne, più buio che se non fosse mai stata accesa".
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La modernità dell'ultimo Steinbeck
Rileggo questo romanzo trent’anni dopo ed avverto la stessa immutata empatia per il protagonista.
Nel frattempo ho lavorato per un’azienda americana, toccando con mano lo spietato calvinismo di una società per cui l’affermazione sociale è imprescindibile dal successo economico. Non importa quale sia il prezzo da pagare. Citando Steinbeck: “Negli affari e nella politica un uomo deve aprirsi, scavarsi la strada attraverso gli uomini, per arrivare a essere Re della Montagna. Una volta là, può essere grande e buono, ma prima ci deve arrivare.”
Ethan Hawley è ultimo discendente di una antica famiglia, un tempo importante, che prospero’ grazie alla caccia alla balena. Tra i suoi antenati pirati e padri pellegrini giunti a bordo del Mayflower. Quando il più economico carbone sostituì l’olio di balena, gli Hawley cominciarono il loro inesorabile declino non essendosi adattati al cambiamento in atto. Più tardi Ethan stesso cercò fortuna nel commercio, fallì e si trovò costretto a vendere il suo negozio ad un italo-americano che lo assunse come commesso.
Siamo all’inizio degli anni 60 a Long Island, Ethan ha un cognome ingombrante, un lavoro modesto e la commiserazione appiccicosa dei suoi concittadini.
Egli è lucido e consapevole testimone di una società malata, ha il sarcasmo necessario per guardare con caustico distacco alle meschinità che lo circondano ed avverte l’assurda iniquità dell’equiparazione tra conto in banca e dignità della persona.
Nei memorabili sermoni tenuti di fronte a una silente assemblea di lattine, sottaceti, acciughe e scatole di biscotti, emerge lo spessore dell’uomo refrattario alle ipocrisie del suo tempo.
Eppure anche lui cederà alle pressioni del piccolo mondo che gli sta attorno, ai lamenti dei figli insoddisfatti per il loro status sociale, ai consigli più o meno interessati dell’ affarista locale e dell'amico bancario. Finirà per sacrificare onestà e dignità morale di generazioni di Hawley purché la moglie possa finalmente “camminare a testa alta“.
Per raggiungere il successo economico, non esiterà ad architettare una rapina in banca, a tramare subdolamente a danno del datore di lavoro e, ancor peggio, a provocare indirettamente la morte dell’amico di infanzia pur di raggiungere lo scopo.
Il prezzo da pagare sarà però troppo alto. Ethan non si riconosce nell’uomo senza scrupoli in cui si è trasformato ed è tormentato dal rimorso per la morte dell’amico.
L’episodio del figlio che, pur di ottenere un effimero successo, falsifica il tema del concorso nazionale, gli rivela come abbrutimento morale e perdita dei valori abbiano penetrato le stesse mure domestiche un tempo immuni da tanto squallore.
Il disgusto sarà troppo forte e lo condurrà ad un passo dall’auto-annientamento. A salvarlo, l’amore di una figlia, ed un talismano simbolo dei valori che i suoi antenati gli hanno consegnato.
Romanzo quantomai moderno da annoverare tra i capolavori di Steinbeck. La caduta morale di Ethan Hawley è quella che osserviamo quotidianamente attorno a noi. In pochi, oggi come allora, restano immuni dall''Inverno del nostro scontento" che rode loro dentro.
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Un inverno piacevolissimo
È la storia di un uomo, ultimo rappresentante di una antica famiglia che ha perso la propria fortuna a causa di eventi avversi, che, grazie alla sua capacità di gioire di ciò che ha - una bella vecchia casa, una moglie che ama, due ragazzi normalmente ribelli ma sereni, un modesto lavoro di commesso in un piccolo negozio – è felice di una vita che gli altri giudicano mediocre ma che lo appaga e gli consente di svegliarsi ogni mattina col sorriso, allegro e sereno.
Dovrà però fare i conti con le esigenze di due figli adolescenti e della moglie che vorrebbe dar loro di più, che lo spingono a sviluppare ambizioni economiche e sociali che fatica a far sue.
Ma l'uomo non è uno sprovveduto, si guarda intorno e vede che le scorciatoie verso il benessere si possono presentare anche per uno come lui anche se potere e denaro si accompagnano a vizio e corruzione: vorrebbe poter far suoi i primi, evitando i secondi.
Starà a lui cogliere le occasioni e scegliere il suo futuro, sapendo bene che ogni tessera mossa modificherà il mosaico della sua vita.
Steinbeck, senza alcun motivo logico, mi dava l'idea di un autore professorale e indigesto, dalla prosa lenta e faticosa e invece mi sono immersa in una storia condotta magistralmente, in una prosa brillante e fluida e ho incontrato immagini e personaggi indimenticabili che affollano un libro bellissimo e vitale. Attualissimo nonostante gli anni.
Il titolo richiama il celebre monologo dell'Enrico III di Shakespeare:
...
ora l'inverno del nostro scontento
è reso estate gloriosa da questo sole di York,
e tutte le nuvole che incombevano minacciose
sulla nostra casa sono sepolte nel petto profondo
dell'oceano
...
e giunti alla fine del libro se ne comprende a pieno il significato.
[…]
Quando il mattino biondo oro di aprile destò Mary Hawley, ella si volse al marito e lo vide, coi mignoli in bocca le faceva le smorfie.
“Scemo” disse. “Ethan, hai trovato l’estro comico.”
“Senta, Topolina, mi vuol sposare?”
“Ti sei svegliato scemo?”
“Il buon dì si vede al mattino.”
“Mi par proprio di sì. Ricordi che è venerdì santo?”
Con voce cupa egli disse: “Gli sporchi romani passano in rango per il Calvario”.
“Non essere sacrilego.”
[…]