L'età adulta
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Recensione della Redazione QLibri
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È la cattiveria che viene fuori
È la cattiveria che viene fuori.
Così dice Dolly alla figlia Mary Rose, quando questa si lamenta di dolori vari.
Un mese.
Il tempo che ho impiegato a leggere questo libro. Disperando, in più punti, di farcela e, in uno, maledicendo di aver imparato a leggere. Invece oggi, 29 settembre, l’ho finito. Complice la prima neve sui monti e la definitiva chiusura di questo tomo che mi guardava malevolo dal comodino da tanti giorni, mi sembra di rinascere.
Che c’è di così orribile nella storia di Mary Rose MacKinnon?
Niente, se non, appunto, Mary Rose MacKinnon.
Una quarantottenne canadese, scrittrice di successo, sposata con la donna che ama, madre di due bambini, che da oltre un decennio ha ricucito anche i rapporti con la sua famiglia d’origine (militare & cattolica), incrinatisi dopo il suo coming out. Per dare una piccola idea del personaggio: la compagna di Mary Rose è una registra teatrale e si trova fuori città. Per sua libera elezione, Mary Rose non vuole aiuti esterni, ma vuole occuparsi da sola di bambini, casa e cane (ovviamente mica un cane qualsiasi, una pitbull che Mary Rose ha eroicamente salvato dal mondo dei combattimenti clandestini). Non trova le forbici e questo è come viene descritto:
«Le forbici migliori che abbia mai avuto. Le forbici delle televendite (…) forbici così ben fatte che un giorno potrebbe portarsele nella tomba, le lame scintillanti ancora letali. Dove finiscono le cose? Chi le prende? Hilary le avrà messe nel cassetto degli utensili? In più di un’occasione, e con tutta la ragionevolezza possibile, Mary Rose ha implorato Hilary di mettere le forbici al loro posto nel ceppo dei coltelli – capisce che può sembrare una bazzecola a una che va a fare le prove in teatro ogni giorno con un vestito diverso, spesso in un’altra città, e ancora non si è trovata a casa durante un attacco prescolare di pidocchi, ma per Mary Rose è importante. È lei che cucina, fa la spesa e prende sul serio quell’impresa tutt’altro che facile che è il governo della casa. Per dirla in termini militari, Mary Rose è nella prima linea domestica. Come può Hilary definirsi femminista, e ancor più lesbica, se non rispetta Mary Rose nemmeno quel tanto da rimettere le forbici al loro posto? Ma no, certo, Hilary non si definisce lesbica, rifiuta di “definirsi” in qualsiasi modo, com’è tipico dei bisessuali.»
E stiamo parlando della momentanea sparizione di un paio di forbici (per la cronaca: le aveva lasciate in giro MR). Tutte le (ahimè) 340 pagine del libro sono così.
Un grumo di insoddisfazione, risentimento, smania di approvazione e politically correct in un match all’ultimo sangue Mary Rose MacKinnon VS il resto dell’universo.
Mary Rose invidia alla compagna la maternità e il suo lavoro, alla madre (che si sta avviando alla demenza senile, è figlia di una “sposa bambina” e ha avuto tre figli e molti strazianti aborti) il padre, alle amiche single la loro libertà, alle amiche con prole, la prole, etc.
Non basta.
Nel mentre che gestisce il regno del salutismo, igienico, alimentare, ergonomico e politically correct ha il terrore che qualcuno la giudichi inadeguata. Continua, ad ogni riga, a ribadire cose del tipo:
«Che male c’è se si concede un sonnellino anche lei? Non significa mica trascurare la famiglia.»
Oppure
«Non le va di presentarsi a scuola carica di borse delle spesa, non vuole sembrare quel tipo di donna.»
È profondamente infelice, insoddisfatta e piena di rancore, ma deve mostrarsi felice, soddisfatta e vincente. Perché? Perché deve aderire al suo ruolo di diva, cioè “una martire estroversa”.
Perché è quello che viene chiesto normalmente alle donne. Invece di ribellarsi, la nostra asseconda questa richiesta e per giustificare l’inevitabile fallimento, che fa?
Cerca di rievocare traumi del passato a cui dare le colpe.
Quando Mary Rose aveva due anni, a seguito della morte, dopo pochi giorni di vita, di un bambino e l’aborto – quasi a fine gravidanza di una bambina – la madre ha avuto un periodo di depressione. Forse l’ha strattonata rompendole un braccio… o forse è successo perché l’ha salvata da una caduta? O forse ha trascurato il fatto che le facesse male il braccio o non se ne è accorta? Del resto LEI non piangeva mai e si faceva un vanto del non mostrare mai dolore. Non lo ricorda.
E poi c’è il racconto del “coming out”: Mary Rose ha ventitré anni e va a vivere con la sua fidanzata, René; la madre dice a Mary Rose cose orrende, il padre tace. La madre dice che la preferirebbe morta. Malata di cancro. Che preferirebbe che fosse morta al posto delle altre sorelline e fratellini.
Mary Rose è traumatizzata, MA continua ad andare a trovare i genitori, che però rifiutano (anche l’amato padre) di andare a casa sua. Poi piano piano la cosa si appiana.
E quindi?
Intanto, a causa di ciò, la narrazione della perfetta settimana di MR a casa con bambini & cane senza Hilary, viene intervallata da continui flashback. Ad un certo punto si inseriscono anche alcuni brani del libro che MR sta tentando di scrivere. Per le prime venti pagine ci sono i tentativi di Mary Rose di rispondere ad una mail affettuosa del padre.
Insomma quello che emerge dalla lettura è una lagna acrimoniosa e cattiva.
E senza indugio darei il premio Nobel alla MacDonald per aver saputo creare un personaggio che così abilmente concentri in sé tutti gli stereotipi dell’universo sull’isteria femminile, se non avessi il concretissimo dubbio che Mary Rose fosse (volesse essere) un personaggio positivo.
Almeno nelle intenzioni della sua autrice. Quasi la protagonista di un romanzo di formazione che arrivi – finalmente – all’età adulta trovando la pace, sistemando le cose con il suo passato e il suo presente.
A me Mary Rose ha ricordato moltissimo Eleanor, la protagonista di “Hill House” di Shirley Jackson. Per chi non l’avesse letto, un piccolo spoiler: è una storia “horror”. Mi ha ricordato anche lo Svedese di "Pastorale Americana" di Philip Roth. Un personaggio "positivo" con il quale mi è stato impossibile empatizzare.
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Opinioni inserite: 2
Pesante e dispersivo
Subito, senza giri di parole: non mi è piaciuto, per niente.
Dopo 340 pagine e 8 mesi (ebbene sì) sono ancora qui a chiedermi cosa avrà voluto dire l'autrice con questa storia (quale storia?!? non c'è una storia!) e sto ancora aspettando che accada qualcosa.
Confuso, senza inizio né fine, senza ritmo, stancante, noioso e ripetitivo.
Sono stata tentata di abbandonarlo più volte, l'ho messo da parte per leggere altro, poi l'ho ripreso, lasciato, ripreso...volevo arrivare in fondo, perché sono testarda, e anche per capire il motivo di questa mia insofferenza nel leggerlo.
Le premesse erano buone...ovvero quanto il passato, l'infanzia e la famiglia di origine (in particolare la storia dei nostri genitori) riesca ad influenzare la nostra "età adulta", la formazione del nostro Io.
La protagonista è una donna di 48 anni, omosessuale, sposata con una donna (in carriera) che ama, è una scrittrice, ma per sua scelta anche colei che si prende cura della casa e dei loro due bambini.
Il 90% della narrazione si concentra sul suo affaccendarsi per riuscire nell'impresa di crescere questi figli, col terrore di non esserne all'altezza...probabilmente a causa di suoi traumi infantili che cerca di analizzare tra il fare la spesa, infilare gli stivaletti alla figlia e trovare le forbici per dissossare il pollo...
Viene fuori che da piccola ha sofferto di cisti ossee al braccio (congenite o da trauma?), che la madre, attualmente colpita da demenza senile, abbia subito molti aborti (e conseguenti depressioni) e che lei porta il nome di una sorellina nata morta.
Il coming out della sua omosessualità è stato un momento duro e difficile da metabolizzare per suoi genitori, e tremendo per lei che ha visto vacillare il suo rapporto con l'amato padre.
Insomma gli ingredienti sono tanti e tutti buoni...ecco perché non mi capacitavo di non riuscire ad apprezzare questo romanzo.
Ne deduco che il problema non sia stato il cosa, ma il come.
Non mi è piaciuto il modo, lo stile, la scrittura, la struttura...
Peccato.
(Magari dico una stupidaggine, ma su di me ha avuto lo stesso effetto de "Le Correzioni" di Franzen...pesante e dispersivo, incapace di procurarmi alcuna emozione. Glaciale nella sua bravura.)
Spero con tutto il cuore che sia stato un episodio circostritto a questo romanzo, perché desidero leggere il suo "Chiedi perdono"...
Vedremo.
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Il peso della famiglia
E’ una storia familiare che racconta la vita di una giovane donna, Mary Rose, che sceglie di essere se stessa e che per questo va anche contro alla propria famiglia. E’ un libro in cui è proprio la famiglia in sé ad essere la protagonista, ovvero l’insieme delle figure, al di là dei singoli personaggi, genitori, fratelli, sorelle, figli, e anche il cane. E’ tutto un blocco di cui si sente il peso. Lo stile è molto articolato, è un racconto a tratti autoriflessivo, con dei flashback nel passato raccontati da altri punti di vista diversi da quello della protagonista della storia del giorno d’oggi. All’inizio è uno stile che ti entusiasma, perché ne percepisci l’innovazione e l’originalità; devo però dire che, presto, ti stanca, perché la lettura non è semplice ed il risultato è quello di un lungo racconto troppo strascicato per poter essere un vero libro. Hai proprio la sensazione del non avere respiro, ma in un modo che un lettore non dovrebbe provare. Sono comunque curiose tutte le frazioni di tempo che rappresentano una marcia verso l’età adulta. Sia per Mary Rose, sia per Maggie, la figlia piccola che è stato il mio personaggio preferito.