L'estate incantata
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L'incanto della vita
Quando ami uno scrittore, la lettura di un suo lavoro è un’esperienza diversa. Percepisci ogni battito del tuo cuore; ogni parola letta pare scavare nel tuo essere, nella tua memoria, nella tua anima, per cavarne fuori cose che credevi di aver seppellito, intenzionalmente o meno. E per me Ray Bradbury è così: spesso declassato perché scrittore di fantascienza (etichetta che lui stesso rifiutava), ma che nella mia personale scala di preferenze pongo all’altezza dei vari McCarthy, Dostoevskij, Dickens; quegli autori che toccano le mie corde più intime e le scuotono senza ritegno.
“L’estate incantata” è un libro meraviglioso, che probabilmente ricorderò per sempre, come succede per tutti i libri che finiamo per amare. Poetico, profondo, riesce quasi a toccare le altezze raggiunte da quel capolavoro che è “Cronache marziane”; è un libro che non puoi fare a meno di chiudere e stringere al petto… perché alla fine diventa tuo. Eppure “L’estate incantata" non parla d'altro che, appunto, un'estate. Ma come lo fa, Bradbury, come lo fa! Ambienti, odori, sapori, sensazioni, emozioni: c'è tutto, ed è descritto con una poeticità che può anche non piacere, che può risultare pesante soprattutto al lettore medio di oggi (che si annoia), ma che io reputo fuori dal comune. La visione delle cose e della vita di Bradbury è quanto di meglio un uomo possa ambire per sé: una visione ottimistica; un continuo concentrarsi sul bene e sulla bellezza. Ciò non significa ignorare il male e la tragedia, ma affrontarla con quella forza che può dare solo un profondo amore per la vita. E se guardate le interviste di Bradbury, capirete quanto l’uomo Bradbury ha in comune coi suoi scritti; capirete che Douglas, il protagonista di questa storia, quando scopre di essere veramente vivo non è che l'alter ego dell'autore, che ha vissuto quest'esperienza comune a tutti noi ma che lui è riuscito a rendere al meglio con la bellezza delle sue parole.
Quanta nostalgia ha generato in me questa lettura, quanta amarezza nel ricordo dell'infanzia ormai passata; eppure quanta gioia nell'abbandonarvisi! Per un giorno svestiamoci del cinismo e del gelo che l'era moderna ci ha gettato addosso; inebriamoci del calore di un'estate incantata che un autore enorme ha condensato in questo libro, imbottigliando la bellezza della vita come fosse vino di dente di leone (chi leggerà il libro capirà), così da poterlo assaggiare ogni volta che ne avremo voglia semplicemente sfogliando, leggendo. Amando.
L'estate incantata in fondo non ha trama; anzi, direi che può definirsi una successione di raccontini con dei personaggi in comune (su tutti i piccoli Douglas e Tom Spaulding) e che nel loro insieme formano il quadro dell'estate incantata che apparirà sempre più nitidamente.
Ci divideremo tra la bellezza dei giorni estivi; personaggi bizzarri; automobili verdi e macchine della felicità; macchine del tempo che nulla hanno di meccanico, ma sono frutto dei ricordi di uomini che, se solo li ascoltassimo, potrebbero farci viaggiare lontano pur stando seduti.
Amicizia, amore, bellezza, tristezza, dolore. Ve l'ho già detto: in questo libro c'è tutto.
Che state aspettando?
“Era più grande, più forte, più intelligente di lui, non è vero? Sentiva anche lei la minaccia intangibile che saliva dalle tenebre, la malvagità delle cose che s’acquattavano nell’ombra? Se era così, allora non si acquistava più forza quando si diventava grandi; non si trovava pace nell’essere adulti; non esisteva, nella vita, nessun rifugio sicuro; nessuno era tanto forte da resistere agli incubi, o alla mezzanotte. […] Si rese conto che tutti gli uomini erano così: che ciascuno, ai propri occhi, era perduto e solo. Un’unità che insieme ad altre unità formava una città, ma che pur sempre rimaneva singola e spaurita. Come loro, sul bordo del crepaccio. Se Tom avesse urlato, se avesse chiamato aiuto, a pieni polmoni, sarebbe servito a qualcosa?”