L'eredità
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Il fine giustifica i mezzi (forse)
Rispetto alla forma del romanzo, quella del racconto sembra, a torto, minore. Ma con Maupassant siamo di fronte all’Arte del racconto. “I racconti della beccaccia”, “I racconti dell’orrore” (che io ho letto e riletto da ragazza) per esempio, sono piccole perle di narrazione, di acume, di intelligenza e di affabulazione.
“L’eredità” nell’edizione Einaudi è fuori catalogo, è introvabile nelle librerie e bisogna cercarlo all’usato oppure in biblioteca. Molto più probabilmente è possibile trovarlo nelle più recenti e varie edizioni di racconti del celebre scrittore.
Si tratta di un racconto molto interessante, per il realismo che permea la narrazione e per l’argomento sempre attuale: fin dove può spingere l’avidità dell’essere umano?
La storia ruota attorno all’eredità, oltre un milione di franchi, che la vecchia zia zitella lascia a sua nipote Coralie ad una condizione ben precisa però: che si sposi e che diventi madre.
La narrazione non si apre in medias res rispetto al focus del racconto, per cui il lettore ha tutto l’agio di conoscere l’ambiente in cui lavora il padre di Coralie, il signor Cachelin e il suo futuro sposo, signor Lesable. Si tratta di un reparto del Ministero della Marina, dove il primo, ex sottoufficiale di fanteria marina, è archivista e il secondo, giovane zelante e preciso, è un impiegato prossimo alla promozione.
Il signor Cachelin, consapevole dell’importanza del matrimonio di sua figlia Coralie, sceglie come genero proprio Lesable e fa di tutto per invitarlo un giorno a casa e spingere i due giovani l’uno nelle braccia dell’altra.
L’abilità di Maupassant sta nel rappresentare i personaggi con pochi tratti di penna, poiché non si sofferma a descrivere minuziosamente i particolari fisici, ma sa rendere bene un’attitudine dello sguardo, il modo di vestire, un veloce abbozzo della costituzione fisica perfezionata anche dai dettagli caratteriali e il lettore si trova davanti un personaggio a tutto tondo.
“La porta si aprì di nuovo ed entrò, in fretta e con aria preoccupata, un giovanotto di bassa statura, con le fedine da ufficiale di marina o da avvocato, il colletto dritto assai alto, che si mangiava le parole come se non avesse mai tempo di finire ciò che diceva. Distribuì delle strette di mano da uomo che non ha tempo da perdere (…)”.
I due giovani si sposano, ma il matrimonio dopo quindici mesi non ha ancora portato frutto. Nella famiglia Cachelin Lesable volano le parole amare, il disprezzo esplicito…tutto per quel benedetto testamento che prevedeva una clausola “da nulla”, una condizione facilissima da soddisfare!
Per Lesable era come avere davanti il palo della Cuccagna con il premio in cima, ma senza riuscire ad arrampicarsi.
“Si scambiavano frasi sgradevoli, e Cachelin, che indovinava l’accaduto, li bersagliava con frizzi da caserma, acidi e grossolani.
Un pensiero li tormentava continuamente, li rodeva, attizzava il loro reciproco rancore: l’inafferrabile eredità.
Adesso Cora trattava il marito dall’alto, con durezza. Lo trattava come un ragazzino, un moccioso, un uomo da nulla. E Cachelin, a tavola, non faceva che dire: - Io, se fossi stato ricco, figlioli ne avrei avuti tanti... Quando si è poveri, bisogna essere ragionevoli. - E, rivolgendosi alla figliola, soggiungeva: - Tu saresti come me, e invece.. - E lanciava al genero un’occhiata significativa accompagnandola con una spallucciata sprezzante”.
Una situazione simile non può durare a lungo e infatti…la somma ereditata verrà riscossa. Ma a quale prezzo?
Un capolavoro di ipocrisia, di amaro materialismo tipico della Francia della Bella époque e dell’Europa del progresso della seconda rivoluzione industriale.