L'emporio dei piccoli miracoli
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L’emporio che risolveva i problemi
13 settembre 2012, in un paesino della cinta periferica di Tokio, Atsuya, Shôta e Kôhei, tre furfantelli da strapazzo, dopo aver commesso un furto in una abitazione, si trovano in piena notte con l’auto in panne alla disperata ricerca di un nascondiglio sino all'alba. Si rifugiano, così, in un negozietto chiuso da tempo immemorabile: l’Emporio Namiya.
Appena entrano nell'edificio cominciano ad accadere alcuni fatti inspiegabili: una lettera cade dalla fessura per la posta praticata nella vecchia serranda arrugginita, ma non c’è nessuno in strada. Una volta aperta la busta, la missiva si rivela essere una richiesta di consigli diretta all'Emporio Namiya da parte di una giovane atleta, incerta se proseguire gli allenamenti in vista delle Olimpiadi o assistere il fidanzato, malato in fase terminale.
I ragazzi, da un ritaglio di giornale ingiallito rinvenuto in un cassetto, scoprono che il vecchio proprietario dell’Emporio, Namiya Yûji, era divenuto famoso per la sua propensione a fornire meditati consigli a chiunque lo interpellasse per iscritto. Ogni volta che l’argomento era serio e toccava questioni delicate sulla vita delle persone, la sua risposta veniva depositata in una vecchia cassetta per il latte, posta sul retro del negozio. Interdetti se seguire quell'esempio, alla fine, i tre decidono di rispondere alla ragazza fornendole il loro personale parere, firmandosi, però, sempre come Emporio Namiya.
Nell'arco di pochi minuti giunge la replica e si instaura così una fitta corrispondenza: il negozio infatti gode di una specie di sospensione temporale e, all'interno, il tempo scorre molto più lentamente che all'esterno. Ma la cosa più fantastica, come scopriranno Atsuya, Shôta e Kôhei, è che le lettere sono state scritte tutte tra il 1979 e il 1980, cioè più di trent'anni prima. L’edificio, per qualche magica, incredibile congiuntura, collega il passato al presente: ciò che fu scritto allora giunge nel 2012 e quanto viene redatto adesso torna indietro nel passato.
Accettata questa sconvolgente realtà e dopo aver più o meno risolto le angosce della ragazza, i tre ladruncoli si troveranno a dover far fronte a dubbi più o meno penosi di altri postulanti che continuano a invocare l’aiuto dell’Emporio Namiya e fanno cadere le loro richieste nella buca delle lettere.
Assieme ad Atsuya, Shôta e Kôhe, quindi, anche noi riviviamo la vita di tanti giapponesi degli anni ’80, tormentati da dilemmi esistenziali o gravi problemi personali; ne seguiamo le vicende e, saltando dentro e fuori dal microcosmo dell’Emporio “magico”, apprendiamo come le varie situazioni si sono evolute, grazie anche alle risposte fornite dai “consulenti”. Soprattutto apprendiamo perché e come il vecchio Yûji avesse intrapreso quella strana attività di assistenza che gli aveva dato una nuova ragione di vita dopo la morte della moglie. Veniamo anche a scoprire che le risposte che lui dava con spassionata empatia risolvevano, in un modo o nell'altro, i problemi che gli venivano prospettati e, per quale magica ragione, il 13 settembre 2012, 33 anni dopo la sua morte, l’Emporio abbia ripreso a funzionare per una sola notte a beneficio di vecchi e nuovi richiedenti aiuto e pure i tre scombinati ragazzi riescano, miracolosamente, a prestare concreto aiuto a quegli ignoti supplici.
Come al solito affrontare la lettura di un’opera letteraria giapponese presenta i suoi lati positivi, perché ci mette in contatto con un mondo, una mentalità così diversa dalla nostra da apparirci aliena e, proprio perciò, affascinante, e quelli negativi perché non sempre si riesce ad entrare in sintonia con il diverso stile e sensibilità di quel popolo.
In questo caso, però, non ci sono stati dubbi. Sono rimasto davvero piacevolmente sorpreso da questo volumetto: “L’emporio dei piccoli Miracoli” è una deliziosa favola moderna, dove il fantastico presupposto (il negozietto-macchina del tempo) si sposa gentilmente con la vita reale e le sue spine.
Si tratta, sostanzialmente, di un romanzo a episodi, a racconti separati, ma strettamente allacciati gli uni agli altri e tutte le varie storie sono descritte con gentile garbo e con quella amabile, delicata grazia tipica del popolo nipponico. Spesso esse riguardano ragazzini o ex ragazzini che, per un motivo o per un altro, sono passati dal medesimo istituto per l’infanzia abbandonata e maltrattata, e ciò conferisce alle vicende di un’aura di malinconica mestizia, edulcorata, sempre, da sviluppi il più delle volte positivi, se non sempre lieti.
Non si può negare che alcune di quelle situazioni siano forse un po’ ingenue e le troppe coincidenze e connessioni, usate per riallacciare tutti i fili della trama, la rendono un po’ artefatta, poco plausibile. Però complessivamente è una adorabile poesia che odora di fiori di ciliegio e di bontà d’animo. In essa sono esaltati l’amore per il prossimo, la dignità e la onorabilità dei contegni umani, il desiderio di far del bene spassionatamente, per la pura gioia di essere stati utili a qualcuno anche se egli resterà anonimo e sconosciuto.
Insomma si tratta di una gradevole lettura che fa bene al cuore, strappa un soave, commosso sorriso e ci fa sperare che un futuro migliore sia sempre possibile, perché, parafrasando quanto scriverà il saggio Yûji in uno dei suoi consigli, anche se non sappiamo dove ci troviamo o dove dobbiamo dirigerci, perché la nostra mappa è totalmente bianca, possiamo comunque disegnare noi stessi su quel foglio; ciò che vogliamo: sta a noi scegliere. Sta a noi decidere in completa libertà: le nostre possibilità non hanno limiti.