Narrativa straniera Romanzi L'arpa di Davita
 

L'arpa di Davita L'arpa di Davita

L'arpa di Davita

Letteratura straniera

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È il 1930. L'America, appena uscita dalla Grande Crisi, vede affacciarsi sull'Atlantico il periodo nazi-fascista. Davita, una bimba di otto anni, assiste alla fine delle illusioni dei genitori, intellettuali impegnati a sinistra, che speravano nella fine del capitalismo e nell'avvento di una società più giusta. Con la tragedia di Guernica, nel 1937, dove si compie il destino del padre di Davita, ogni speranza sembra essere tramontata. Ma, proprio a questo punto, l'ormai adolescente Davita avverte il fascino della tradizione religiosa ebraica dei nonni materni.



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L'arpa di Davita 2014-12-08 19:58:32 siti
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siti Opinione inserita da siti    08 Dicembre, 2014
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“C’è un tempo...”

Citare Cohelet dei versi biblici del Libro Ecclesiaste, celebre per il lamento di Salomone sulla vanità di tutte le cose materiali, è doveroso a inizio commento:

“Per tutto c’è un momento e un tempo per ogni azione, sotto il sole...C’è un tempo per nascere e un tempo per morire.”

È doveroso perché questi versi li ho ritrovati a inizio lettura e mi hanno scossa ricordandomi qualcosa che conoscevo ma vagamente, un ricordo sfumato, sbiadito...la Bibbia!
Chaim Potok mi ha portato a quel messaggio o a parte di esso (quello che riesco a capire) e la sua lettura ne è stata poi influenzata. Ho conosciuto l’arpa eolica, la New York degli anni ’30, orrida agli occhi del romanziere nei suoi scenari urbani e così bella, come il Maine, nei suoi paesaggi marini. Ho conosciuto l’Europa finalmente narrata nel primo scorcio del suo “secolo breve” con l’ottica americana. Che pietà!! Che orrore!! Ho conosciuto una bambina, Davita, e l’ho subito amata e ho preso a contare le sue domande intelligenti e ad apprezzare le risposte finemente etimologiche della mamma.
Domande e risposte: una crescita non solo fisica o emotiva ma intellettiva, un percorso di vita a cavallo di una groppa solida, comunista, anticapitalista, sulle ali della libertà di pensiero e di scelte.

Un ritmo narrativo cadenzato e intervallato dai suoni, l’arpa eolica – su tutti – all’ingresso di una casa, di tante case, di un ingresso, di tanti ingressi a segnare anche inevitabili dipartite.
Cadenzato e intervallato ancora dai fini messaggi dell’autore (il senso della storia, del tempo, del passato, del presente, del futuro, il valore dei nomi, il contrasto tra il messaggio divino e la realtà storica vissuta in prima persona non da spettatore).
Equilibrio, serenità, accettazione, riflessione, crescita e soprattutto religione come mezzo per decifrare la realtà e i suoi contrasti. Nessuna opposizione, nessuna lotta ad una possibile sovrastruttura mentale ma un atteggiamento riflessivo, per l’autore di fede, e per me, al di là di ogni credo personale, di ogni ateismo, di ogni agnosticismo, di ogni materialismo, un messaggio che mi sento di consigliare.

Potok, qui novello Cohelet, a rinnovare il concetto di felicità, a ricordare che l’uomo percepisce un attimo, non il disegno totale, che l’uomo poco percepisce ma può vivere cercando di capire non perseguendo il piacere ma il dovere. “È decisamente la sola cosa giusta da fare” a ricordo di un altro familiare “è cosa buona e giusta...”
Un romanzo che ti cattura decisamente e che ti avvolge nella sua atmosfera con una prosa armoniosa e musicale fatta di intimi rimandi che risuonano, nella memoria, come un sapere mai dimenticato.
Un romanzo capace di toccare le corde dell’animo e di farle vibrare. Potere narrativo eccelso e in grado di coinvolgere il lettore come pochi sanno fare.

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L'arpa di Davita 2014-09-18 22:19:18 pierpaolo valfrè
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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    19 Settembre, 2014
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Una sacra insoddisfazione

Parafrasando l’espressione preferita che papà Chandal, il padre di Davita, usava per esprimere tutto il suo entusiasmo e il suo amore per la figlia, devo esordire subito così: “Questo sì che è un bel libro!”
Siamo negli anni Trenta del Novecento, alla vigilia della guerra civile in Spagna. In Europa infuria lo scontro tra opposte ideologie e si affermano i totalitarismi. La Grande Depressione ha sconvolto il mondo occidentale e appare come l’avvisaglia del crollo del capitalismo. Fascisti, nazisti e comunisti sembrano ormai contendersi le spoglie di un sistema finito. A caccia di facili capri espiatori, dilagano i pogrom, l’antisemitismo, il sospetto, il tradimento, le faide.
Ilana Davita è una bambina che vive a New York con sua mamma, un’ebrea polacca, e suo papà, rampollo di una facoltosa famiglia del Maine. Papà e mamma hanno già una bella fetta di orrore alle spalle, ma Davita non lo sa. Non ancora. Il suo sguardo si mantiene ad altezza di bambino, la sua vita scorre tranquilla tra gli energici abbracci del papà e le meditabonde attenzioni della mamma all’interno di mura domestiche che, soltanto, cambiano un po’ troppo spesso per via dei continui traslochi.
In casa viene spesso tanta gente estranea, e parlano, fumano e discutono fino a tarda ora. Non ci si capisce nulla, ma entro i confini della sua stanza c’è un mondo più interessante da decifrare, popolato dalla strega Baba Yaga, da cavalli che galoppano in riva al mare e da uccellini che vagano per il mondo inseguendo una musica misteriosa. E c’è un’arpa sempre appesa alla porta di ingresso, un’arpa eolia pronta ad accoglierla in ogni nuovo nido e a suonare ogni volta che qualcuno varca la soglia.
Papà e mamma sono comunisti. Lei dunque è un’ebrea, figlia di comunisti. La scuola e la strada ne rafforzano il carattere e il coraggio, senza farle perdere candore e innocenza. Papà e mamma hanno tante cose a cui pensare. Cose importanti. Papà è giornalista. Mamma è un’intellettuale. Entrambi vogliono cambiare il mondo. E fermare il fascismo, che è il grande nemico, il grande pericolo. Davita è un raggio di sole. Davita è la loro vita, ma la vita di papà e mamma è al servizio di una causa superiore e assoluta.
Tutto questo ancora Davita non lo sa, o meglio non lo può capire. Davita poco a poco compone il puzzle della sua vita e si imbatte in pezzi dai colori e forme più disparati: guerra e uccellini, Baba Yaga e castelli di sabbia, comunismo, fascismo, scioperi, proletariato, lavoro, giornale, riunioni. Ogni casella prima o poi andrà a posto, intanto lei osserva e mette da parte.
Una sezione importante del puzzle è occupata dalla religione e anche questa è divisa in tanti frammenti.
Papà e mamma hanno abbandonato le rispettive fedi cristiana ed ebraica, dunque Ilana Davita non riceve un’educazione religiosa. Ma la quotidianità è fatta di incontri e di piccole scoperte e Ilana Davita si apre con curiosità alle persone che osservano il Shabbos, accendono le candele di channukkah, celebrano la havdoloh, recitano il kaddish, frequentano la yeshiva, evitano di leggere i giornali goyshe, mangiano cibi kosher, studiano la Torah, festeggiano il Lag Ba’omer. Davita, e il lettore con lei, è attratta e un po’ intimorita da questi strani suoni, riti e melodie, da questi giovani pallidi e magri che vivono in modo così diverso da lei, da queste pratiche che le suonano altrettanto incomprensibili delle fumose riunioni politiche che impegnano i suoi genitori. Ilana Davita poco alla volta si accosta a questo mondo come se esplorasse una stanza piena di oggetti misteriosi. La curiosità la spinge a frequentare la sinagoga, a spiare nel buco del tramezzo che separa uomini e donne, a infrangere innocentemente le regole, a dare scandalo senza sentirsene in imbarazzo e poi chiedere candidamente mille “perché” a chi non si è mai fatto domande perché è stato allevato nel più cieco rispetto della Legge.
Chaim Potok ci mostra come ci si possa accostare alla religione con semplicità, al di fuori da ogni dogma, e quanto le Chiese, pur indispensabili per vivere pienamente ogni fede religiosa, possano apparire talvolta ottuse, inique e disumane. Le istituzioni, anche quelle religiose, talvolta soffocano gli ideali e lo spirito vitale su cui sono state fondate e che dovrebbero proteggere. Chi cresce nel più rigoroso rispetto di dogmi, leggi e apparati, quando si imbatte in una falla del sistema, ne ricava la cocente esperienza del tradimento e della delusione. E’ il caso della mamma di Ilana Davita, che dapprima sperimenta la più intransigente ortodossia religiosa e poi si forma lei stessa alla più osservante ortodossia comunista: tanta rigidità rende fragile il proprio universo, che quando viene colpito dal cuneo delle contraddizioni si sbriciola in mille pezzi. Davita invece segue naturalmente il corso delle cose, senza preconcetti, con interesse genuino e senza perdere mai il suo senso critico. E quando la vita colpisce duro, trova una corazza più duttile e resiliente ad incassare il colpo.
Questo romanzo, che temevo ostico e difficile, mi ha invece conquistato immediatamente per il tono semplice e sobrio e per la sua capacità di assumere la prospettiva di una bambina intelligente e sensibile, che cresce e si forma in un’epoca così travagliata. La prima parte è più lieve e quasi melodiosa. Man mano che la Storia entra nella storia, con il suo carico di lutti e di sciagure, o ci si addentra nel bosco fitto dei riferimenti di cultura ebraica, il ritmo si fa più lento e riflessivo, ma ormai ti sei appassionato ai personaggi e non vedi l’ora di aprire la porta di casa, far risuonare l’arpa e seguire con partecipazione la loro giornata.
Ho trovato bellissimo il finale. Tranquilli, niente spoiler.
Ilana Davita , che ha motivo di essere furiosa con il mondo, demoralizzata e sconcertata, riceve da zia Sarah, che presta materne cure ad anime e corpi, un prezioso consiglio da portare sempre con sè: “Sii insoddisfatta del mondo, ma nello stesso tempo rispettalo”.
Grazie a Sarah, Davita raggiunge una comprensione del mondo dei genitori che prima non poteva avere: “non lo sapevano, disse dolcemente, ma erano posseduti da una sacra insoddisfazione”.
E l’uccellino è ormai pronto, a malincuore, a spiccare il volo:
“Tenevo mia sorella, la cullavo dolcemente, annusavo i profumi della sua piccolezza – olio, talco e latte – e, in un momento di amarezza, pensai: Goditi la tua infanzia. Torneranno abbastanza presto a riprendertela”.
Un sincero grazie ad Emilio Berra, dal quale ho tratto la segnalazione di questo romanzo. Tra l’altro, ha perfettamente ragione a definirlo un romanzo “terapeutico”, capace di riconciliarti con la vita.

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L'arpa di Davita 2014-08-09 20:31:26 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    09 Agosto, 2014
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Dalla parte delle donne

I romanzi di Potok non sono come quelli di tutti gli altri autori. Ha un modo di scrivere direi quasi paterno che guida il lettore a un approccio con il mondo carico di generosità e di idealismo. I personaggi di Potok non mettono mai se stessi al centro della propria vita ma delle idee o meglio degli ideali per i quali sacrificano le cose che ritengono più importanti, come la famiglia e gli affetti. Le passioni non danno mai una svolta al romanzo anche se nell'arpa di Davita troviamo una donna bellissima e intelligente, la madre di Davita, al centro dell'interesse di tre uomini il marito Michel, zio Jacob e il cugino Ezra. Ma nessuno di loro è poco meno che corretto. Mai un pensiero storto. Il personaggio che ho amato di più è zio Jacob, lo scrittore, e soprattutto le sue storie strampalate, senza capo nè coda e senza finale che ci regalano le pagine più belle del romanzo.
In un mondo di cavalli neri bisogna essere il cavallo grigio di zio Jacob, che vive e muore solo, ma porta qualcosa di nuovo, nuove idee. In un certo senso bisogna essere anche come l'uccello , alla ricerca della musica del mondo, del senso delle cose, dell'origine del bene e del male. Bella l'irrequietezza dello scrittore, che scrive cose senza senso, ma cerca la verità nella sua confusione e dice solo la verità per quanto non piaccia a nessuno. Non persegue il successo, non cerca e non riscuote l'approvazione e gli applausi ma si lascia dietro quasi una palpabile delusione e sconcerto nel pubblico. Non è capito, non è amato, e anzi, è frainteso e alla fine muore non tanto per le sue idee quanto per la sua ricerca della verità.
Mi ha colpito il fatto che pur rigorosamente ortodosso Potok spende molte pagine a favore delle donne, messe all'angolo dalla religione ebraica tradizionale. Forse a dei cattolici/atei come noi queste pagine potrebbero passare inosservate ma contengono molte tirate d'orecchio alla tradizione ebraica (la preghiera rituale per i morti che non può essere pronunciato da una donna, la storia del premio a scuola, la reazione del padre ebreo alla violenza contro la figlia) che solo un ebreo può cogliere nel suo pieno significato.
La prima parte del libro è bellissima, poi l'evoluzione della storia non mi ha soddisfatto pienamente. Il secondo matrimonio, il rapporto tra fratellastri ecc... Non so, c'è qualcosa che non mi convince del tutto. In ogni caso un bellissimo libro.

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L'arpa di Davita 2014-06-03 20:19:24 silvia71
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    03 Giugno, 2014
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Suoni contrastanti

L'arpa di Davita è un romanzo complesso, carico di messaggi, specchio in cui si riflettono avvenimenti storici del primo novecento europeo, intriso di ideologia religiosa e politica.
Ma L'arpa di Davita è anche una splendida storia di vita; è la storia di una bambina intelligente e curiosa cresciuta senza giochi e spensieratezza in un ambiente di adulti, in cui si parla di comunismo, stalinismo, fascismo.
Ilana Davita è la protagonista indiscussa del romanzo, di cui l'autore utilizza la sapienza, la fantasia, la fame di conoscenza per il mondo che la circonda per narrare uno spaccato storico importante e per trattare tematiche nodose come le tradizioni religiose, in particolare quella ebraica.
Il tessuto del romanzo è costituito da una trama fittissima di usi e costumi legati all'ebraismo e da una trama altrettanto corposa come quella del credo politico, inteso come forma di pensiero predominante e condizione di vita per raggiungere la libertà.

E' interessante il percorso narrativo di Potok, al termine del quale le iniziali convinzioni quasi ossessive di taluni personaggi vengono a scemare, a placarsi come onde infrante sugli scogli che scaricate della forza impetuosa divengono innocua schiuma.
L'autore mette in luce lotte e guerre combattute in nome di un ideale, che spazzano il mondo con i lori venti di morte e distruzione; uomini e donne guerrieri pronti a sacrificare la vita per l'idea che li sostiene, anteponendo il bene del futuro e del mondo a loro stessi ed ai loro affetti.
Le pagine di Potok riportano il clima di tensioni e terrore intorno all'anno 1937, quando in Europa ribollono venti di oppressione e di guerra; la guerra civile in Spagna culminante nella strage di Guernica e la pericolosa ascesa di Hitler in Germania.
L'intento di Potok è quello di cogliere i riflessi in terra americana degli eventi europei, senza tralasciare un tassello per lui importante, quello religioso.
Il fattore religioso è onnipresente, è linfa vitale lungo tutto il racconto, è modus vivendi, è vivere sociale, è costume, è famiglia, è istruzione, è cultura.

Ritornando a Davita e alla sua inseparabile arpa eolia, è un personaggio destinato a scalfire la memoria del lettore; Potok riesce a fare di lei trade d'union di tutti i temi trattati nel romanzo.
Davita cresce e combatte lei stessa per portare avanti le proprie scelte in un mondo ancora al maschile e poco propenso a concedere spazi alle donne.
Davita come emblema della facoltà di libera scelta in tema religioso, Davita come frutto prezioso di un albero spezzato.

Un romanzo intenso che per quanto stilisticamente si lasci affrontare con scioltezza, lo stesso non può dirsi per il contenuto. Contenuto che saprà ricompensare i lettori che avranno la voglia di ascoltare le parole della piccola Davita.

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L'arpa di Davita 2014-04-27 13:26:12 Emilio Berra TO
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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    27 Aprile, 2014
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Crescere fra i suoni di un'arpa a New York

"La verità è sovente molto dolorosa, ma è l'unica cosa che possa salvarci" (un personaggio).

Sicuramente uno dei romanzi americani più belli (come altri dell'autore) di questi ultimi decenni ; scritto da C. Potok, ebreo di profonda cultura ed umana sensibilità.
Egli non è uno 'sradicato', né è preso nel vortice del materialismo consumista o travolto dalla caduta dei valori. Ha, invece, alle spalle una tradizione millenaria trasferita, dall'Europa dei ghetti e dei pogrom, nel Nuovo Continente, ove rivive in nuove comunità ricostituite.
In lui troviamo, sì, un acuto osservatore della realtà, ma senza il nichilismo e la disperata freddezza che caratterizzano alcuni narratori statunitensi d'oggi.
"L'arpa di Davita", ambientato a New York negli anni '30-40 del '900, benché intriso di dolore e apprensione, è un romanzo denso di stimoli, palpitante nella ricerca di autenticità; come tutte le opere di Potok, quasi terapeutico, nel senso che aiuta a riconciliarsi con la vita.

Avendo io conoscenze piuttosto sommarie della cultura ebraica, sicuramente non ho colto alcuni dettagli su significati reconditi, ma la profondità e la complessità, con cui personaggi e vicende sono rappresentati, e la pacata bellezza della scrittura, mi hanno reso la fruizione affascinante e molto gradevole.

Il romanzo inizia un po' in sordina e tende via via a lievitare e divenire sempre più coinvolgente.
C'è una famiglia: marito giornalista di origine cristiana; moglie di famiglia ebraica; entrambi, per scioccanti vicende in cui vita personale e storia dolorosamente colludono, aderiscono totalmente all'ideologia marxista, un po' come si entra in una setta.
La figlia Davita cresce in quest'ambiente di lunghe riunioni serali ed improvvisi cambi di residenza (non era facile, all'epoca, essere comunisti negli USA) ; gli oggetti che ama sono un quadro con cavalli in corsa e un'arpa eolia, capaci di accendere la sua fantasia.

L'Europa è in tumulto, il diffondersi di sistemi autoritari 'fascisti' allarmano: il padre andrà in Spagna come inviato di guerra durante i violentissimi scontri che porteranno alla dittatura di Franco.
Da un amico di famiglia giungono a Davita toccanti dettagli del bombardamento scatenato su Guernica; quasi altrettanto sconvolgenti le notizie sulle faide interne alla Sinistra, che hanno insanguinato in particolare Barcellona. Un altro avvenimento che darà una svolta alle vicende sarà il Patto tedesco-sovietico.
E c'è sempre la comunità ebraica, ora come sfondo, ora in primo piano, con le sue luci e le sue ombre.

Quest'opera è anche (forse, soprattutto) un romanzo di formazione: la giovane protagonista (e voce narrante), fra le tortuose complessità della vita e con l'incontro con altri personaggi (qualcuno indimenticabile), approderà ad una promettente adolescenza.
La parte finale, orientata in senso quasi femminista (considerati periodo e ambiente), fa intravedere un'ulteriore svolta per Davita, le cui vicende idealmente proseguono in un altro libro ("Vecchi a mezzanotte"), nella cui ultima parte, in lei ormai affermata scrittrice sessantenne, non stenteremo a rintracciare peculiarità di carattere già presenti in questa preadolescente di molto talento.


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